26 ottobre 2020 - 22:31

Coronavirus, Bartoletti: «Capisco i medici di famiglia che non fanno i test negli ambulatori»

«Abbiamo bisogno di prepararci. È un miracolo se stiamo reggendo la crisi» parla il segretario dei medici di famiglia di Roma: «Il nostro lavoro andrà riorganizzato»

di Margherita De Bac

Coronavirus, Bartoletti: «Capisco i medici di famiglia che non fanno i test negli ambulatori»
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Lo sa che molti cittadini si lamentano di voi?
«Non è una novità. Se le cose vanno bene è merito dell’ospedale, se vanno male è sempre colpa nostra», risponde con humorPier Luigi Bartoletti, segretario dei medici di famiglia di Roma e vicepresidente dell’Ordine dei medici della Capitale.

Il sabato e la domenica non vi si trova mai.
«E lo credo bene. È dal ’78 che funziona così in base al nostro contratto. Dalle 12 del sabato fino al lunedì mattina riposiamo. Anche le Poste il fine settimana sono chiuse».

Quindi che risponde a chi sostiene che fate il comodo vostro?
«Rispondo che sì, è vero, ci sarà pure qualcuno che non lavora col dovuto impegno. Ma la maggior parte di noi da quando l’epidemia è cominciata si fa in quattro».

Che prove ha?
«Semplice. Se fossimo stati degli scansafatiche il sistema non avrebbe retto. In questi mesi di emergenza rossa abbiamo portato avanti le attività ordinarie che non sono scomparse. Parlo di visite, controlli, prescrizioni, vaccini, nuove diagnosi. Il mio studio è a Tor Pignattara, ho 1.300 pazienti. Il telefono ha cominciato a squillare alle 8 di mattina. Da quel momento, sempre occupato».

Vi sentite degli eroi?
«Gli eroi non esistono. Questo è il nostro mestiere. Però quando questa crisi sarà terminata, e mi auguro presto, bisognerà riconsiderare la medicina di famiglia e smetterla di continuare a utilizzarla come medicina delle scartoffie. La burocrazia in tempi normali ci mortifica. Poi arriva il Covid e si ricordano all’improvviso di noi».

Quello che non piace alla gente sono le vostre continue rivendicazioni sindacali. Ad esempio, perché non accettare di fare i tamponi rapidi negli studi?
«Noi nel Lazio ne abbiamo fatto richiesta già a luglio. La Regione ci ha dato l’ok a ottobre. Adesso stiamo correndo per fare formazione. Non sono attività da improvvisare dal giorno alla notte. Ricordi che a livello nazionale abbiamo eseguito 700 mila test sierologici che dal punto di vista del rischio ponevano gli stessi problemi dei tamponi. Insomma, a me non sembra così strano che qualche collega preferisca non caricarsi di un’altra responsabilità».

Come sta vivendo la professione in epoca Covid?
«Guardi, io amo il mio lavoro. Ero in ospedale e ho deciso di aprire l’ambulatorio per avere il contatto con i pazienti. Sono mesi difficili. C’è molta ansia, non sempre giustificata. Oggi un signore mi ha scritto quattro volte perché non ha trovato il vaccino antiinfluenzale in farmacia. Alla fine l’ho fatto venire da me anche se non fa parte dei cittadini che hanno il vaccino rimborsato».

Cosa consiglia?
«Non bisogna farsi prendere dal panico. Chi risulta positivo e sta bene non ha ragione di chiamarci. Deve stare a casa. Lasciamo spazio a chi sta male e ha veramente bisogno di noi».

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