«Medusa con la testa di Perseo»: la statua che capovolge il mito greco diventa simbolo del #Metoo

Silvia Morosi

Una statua di Medusa con in mano la testa decapitata di Perseo è stata eretta a New York. Non in un luogo qualsiasi, ma davanti al tribunale dove lo scorso marzo l'ex produttore di Hollywood Harvey Weinstein è stato condannato a 23 anni di carcere, riconosciuto colpevole di stupro e aggressione sessuale. A realizzare l'opera nel 2008 l'artista italo-argentino Luciano Garbati, che ha capovolto la storia della mitologia greca e preso ispirazione dal lavoro di Benvenuto Cellini intitolata «Perseo con la testa di Medusa» (1545-1554), oggi visibile a Firenze, come ricorda l'articolo di Tessa Solomon su ArtNews.

Nel mito originale, infatti, è Perseo che tiene tra le mani la testa di Medusa, usandola come scudo, dopo averla decapitata nella grotta, e non il contrario. Visto il luogo dove è stata posizionata, la scultura è diventata un simbolo della lotta delle donne contro ogni tipo di abuso. La mitologia greca racconta — infatti — che Medusa, figlia delle divinità marine Forco e Ceto, nacque bella e mortale (a differenza delle altre due gorgoni, Steno e Euriale). Desiderata da molti, venne violentata da Poseidone nel tempio dedicato ad Atena. La gelosia di Atena non ricadde sul dio dei mari ma su Medusa, che venne trasformata in un mostro (con la chioma fatta di serpenti), capace di pietrificare chiunque l'avesse guardata.

Garbati ha voluto richiamare l'attenzione sul fatto che Medusa non abbia alcuna colpa per il danno che le è stato inflitto e sia solo una vittima. Ma la sua opera non ha mancato di accendere le polemiche, soprattutto sui social network, come spiega il New York Times. Qualcuno ne critica semplicemente l'estetica («Perché l'hanno rappresentata così sexy?», scrive un utente su Twitter; «Guardiamo ancora una volta il mito sotto una lente patriarcale», replica un altro), qualcuno osserva che la testa nelle mani di Medusa avrebbe dovuto essere quella di Poseidone. Qualcuno, infine, spiega che l'opera non ha nulla a che fare con il «#Metoo»: «La scultura ritrae un personaggio europeo ed è stata realizzata da un uomo, quando a fondare il movimento è stata una donna nera. Sigh...», scrive su Twitter l’attivista femminista Wagatwe Wanjuki.Bek Andersen, fotografo che ha lavorato con Garbati all'installazione della statua a Manhattan, ha replicato: «Per me, è emozionante che l'artista sia un uomo. Penso che gli uomini si sentano esclusi dalla discussione sul MeToo e quest'opera può avvicinarli e renderli parte attiva del dibattito».

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