Primarie il 6 e 7 febbraio e 5.000 firme o il sostegno di almeno un partito per presentarsi. Ecco la base a cui lavora la coalizione di centrosinistra per trovare un regolamento per la consultazione interna che servirà a individuare il candidato sindaco in vista delle elezioni del prossimo anno. La bozza è stata predisposta (come avevano accettato tutti) dal Partito democratico e oggi, alle 18, verrà discussa durante la riunione con i soci di area. Per presentarsi ci sono due modi: raccogliere 5.000 sottoscrizioni (una mediazione tra le 7.000 inizialmente richieste dal Pd e le 3.000 proposte da alcuni soggetti minori) o essere sostenuto da una sigla che abbia almeno un gruppo rappresentato in un’assemblea locale o legislativa (consiglio comunale, di circoscrizione, regionale o in Parlamento), che, a sua volta, potrà proporre in questo modo un solo candidato. Possibilità di farsi avanti a chiunque faccia parte di una delle sigle, o chi firmerà il patto di programma: quindi, come ampiamente prevedibile, anche i candidati civici sono in gioco. Le candidature andranno presentate entro il 30 novembre: ancora un mese e mezzo, da oggi, per fare valutazioni, calcoli ed eventualmente provare a convincere gli indecisi, sia che si tratti di tirare dentro qualcuno (vedi Guido Saracco) sia che si tratti di trovare dentro il proprio partito la forza politica per lanciarsi nella mischia (vedi altri candidati del Pd). Per chi dovrà raccogliere le firme, da quel momento ci sarà tempo fino al 7 di gennaio. Così parte ufficialmente la corsa.

L’annuncio dei primi tre partecipanti
Al momento i nomi che hanno già dichiarato la partecipazione sono quelli di Enzo Lavolta, Luca Jahier e Igor Boni. Nel Pd si aspetta ancora l’ufficializzazione del capogruppo in Consiglio comunale, Stefano Lo Russo, e la decisione del senatore Mauro Laus, oltre che dell’ex assessora regionale Gianna Pentenero. Poi, ovviamente, c’è attesa per il rettore del Politecnico, Guido Saracco, che però sta tardando, e non poco, a buttarsi nella mischia. Sul fronte (forse) opposto c’è la questione dei Cinque Stelle, che ora devono riorganizzarsi. Il Movimento ha poco tempo per trovare una quadra con gli attivisti e i quadri regionali, prima di presentarsi agli Stati Generali di novembre se non con un nome, con delle proposte. Internamente è venuto fuori un argomento: se il centrosinistra presentasse il candidato meno politico possibile, la convergenza sarebbe più facile. Magari al secondo turno in caso di ballottaggio, quando si tratterebbe più o meno di dare indicazioni di voto. Valentina Sganga, capogruppo M5S in Comune e oggi detentrice del simbolo pentastellato torinese, però, invita alla prudenza e alla lucidità: «Sarebbe solo vendersi per una poltrona. L’operazione avrebbe senso solo nei termini di uno spauracchio per la destra, ma a quel punto avrebbe senso farlo dal primo turno, a partire dalla condivisione sui temi. Che al momento, come ho detto più volte, sembra difficile».

Quindi le distanze sono ancora lunghe ed è «difficile dire quale candidato favorirebbe una convergenza – prosegue la capogruppo – Personalmente ho molti dubbi che questa convergenza possa esserci: bisognerebbe costruire un percorso basato su progettualità e idee per la città, inclusi obiettivi e paletti». Una curiosità: dentro alcuni ambienti M5S ieri circolava la voce di un possibile candidato: quello dell’assessore al Commercio Alberto Sacco. Che però è destinata a rimanere una voce. Primo, perché Sacco non ha intenzione di proporsi. Secondo, per poter avere l’investitura da Rousseau dovrebbe essere iscritto al Movimento. Cosa che non è, e che non sarà in futuro.

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