7 ottobre 2020 - 01:01

Marta, laureanda in Medicina: «La mia casa è una barca a vela»

La velista di Cagliari ha comprato il 10 metri «Churingas» e si è trasferita a vivere a bordo: «L’ormeggio mi costa come una stanza in affitto». Racconta sui social la sua vita ed è diventata un’influencer ma ha un suo sogno: «La barca come terapia per i bimbi»

di Alessio Ribaudo

Marta, laureanda in Medicina: «La mia casa è una barca a vela»
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«Le onde sono uguali per tutti ma solo pochi hanno il coraggio di cavalcarle», spiega Marta Magnano, laureanda in Medicina. Lei, 20 mesi fa, ha scelto di cavalcarle, ha comprato «Churingas», una barca da dieci metri, e ha detto addio all’appartamento che condivideva a Cagliari, la sua città, con altri studenti. È il sogno nel cassetto di molti, ma pochi, però, hanno il coraggio di mollare gli ormeggi «sicuri» e le comodità della terraferma. «Ci pensavo da anni — dice Marta, 30 anni — ma credevo che acquistare un’imbarcazione e viverci fosse possibile solo per i milionari. Poi dovendo cambiare casa il 31 dicembre 2018, ho fatto per gioco un giro su un portale di barche usate. Ho scoperto che erano alla portata delle tasche di una studente-lavoratrice come me e l’ormeggio sarebbe costato quanto un affitto. Così ho fatto l’affare e la barca è diventata la mia nuova casa». Affare si fa per dire perché era all’ancora da 10 anni.

La nuova vita

«L’acquistai il 10 gennaio 2019 — ricorda — c’erano mille lavoretti da eseguire a bordo, non c’era il riscaldamento, non c’era un boiler per una tazza di the caldo, però ero così felice che comprai un sacco a pelo e andai a dormire lì: la notte più bella della mia vita». Da allora ha iniziato a raccontare la sua nuova vita sulla pagina Facebook «Marta Magnano-Boat Sweet» e presto è diventata un’influencer con migliaia di follower tanto da essere invitata quest’anno al Salone Nautico di Genova. Le giornate erano infinite perché non bisognava solo rimettere a nuovo lo scafo ma conciliare il tutto con libri e lavoro. «Allo studio ho sempre affiancato altro — prosegue —. Sin da bambina ho avuto la passione per il mare e a 11 anni ho iniziato sulle derive e a 13 anni sono diventata aiuto-istruttrice di vela per i bambini che salivano sugli Optimist; ho gareggiato a lungo e poi a 21 anni, ho seguito il corso istruttori federale di primo livello con cui si possono tenere corsi di vela con le barche private; quindi e ho lavorato come coordinatrice di eventi». A Marta ora mancano pochi esami per laurearsi. «In questi 20 mesi ho studiato di più perché ogni volta che mi serviva concentrazione — racconta — bastava andare a largo e, nel silenzio della natura, diventavo più produttiva. Ho seguito meglio le lezioni da remoto e ho reso agli esami».

Il mare come terapia

La pandemia e il lockdown hanno rallentato l’ultimo miglio. «Mi mancano solo le materie in cui è prevista la presenza in ospedale ma spero di tagliare il traguardo entro quest’anno accademico». Guai a parlare di corsie e camici. «Mi affascinava la medicina dello sport ma non sono disposta a vincere un concorso per una specializzazione qualsiasi pur di avere un lavoro — argomenta —. Per cui voglio realizzare dei progetti che vedono il mare come terapia per guarire i bimbi. Ospito già sino a sette bimbi per volta che le mamme mi affidano dopo traumi legati a disavventure marinaresche. Io li aiuto mostrando, ora il mio lato materno ora quello da comandante. Alcuni di loro sono adesso fanno parte del mio equipaggio quando gareggio nelle regate». Le rinunce non pesano. «Sono nata in mezzo al mare e i miei amici sono velisti — continua — per cui ci incontriamo nei porti di tutto il mondo. In barca ci sta ciò che vuoi portare davvero: io sono golosa e ho frullatori e gelatiera. Poi sono un marinaio che di giorno gira scalza o sporca di grasso ma sono anche una donna e le due cose non si escludono. Con passione dimostro che i giovani, i meno abbienti e il gentil sesso, hanno tutte le carte per vivere di nautica». Ogni tanto serve far la voce grossa. «Capita nei porti dove non sono mai attraccata perché ci sono ancora tabù sulle comandanti — spiega — e navigo in solitaria anche per sottolineare è merito mio. Ogni tanto vedo titubare l’ormeggiatore con le cime perché cerca di vedere dov’è il marinaio che deve prenderla: mi faccio rispettare e la volta dopo non capita più». L’amore? «Le promesse da marinaio non mi incantano più ma ho capito che chi mi ama è chi vuole la mia felicità». In mare aperto.

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