zurigo
Crédit Suisse, un balletto razzista
al party: ora la banca si scusa
L’ex Ceo, l’ivoriano Tidjane Thiam, aveva lasciato la festa; poi costretto a dimettersi per uno scandalo, oggi accusa: sono quello che sono, non posso cambiarlo
La rottura di un lustro di tensioni, racconta lui, è stata a novembre 2019 una festa che è l’illustrazione da manuale del concetto di razzismo sistemico. Tidjane Thiam, ivoriano, allora Ceo di Credit Suisse, è l’unico nero tra gli ospiti del 60esimo compleanno del banchiere Urs Rohner, presidente del consiglio d’amministrazione della banca. Ci è abituato: Thiam, 58 anni, è quasi sempre stato l’unico nero ai tavoli delle grandi banche e società in cui ha seduto a Zurigo (prima di Credit Suisse, di Prudential, McKinsey e Aviva). Ma è quando alla festa entra l’unico altro nero che Thiam e la sua compagna decidono di andarsene: è un ballerino, vestito da uomo delle pulizie con secchio e straccio, e danza sulla musica anni 70 (il party è a tema Studio 54) facendo le mosse di pulire. Il dirigente esce, furioso. Quando rientra gli amici del festeggiato indossano parrucche afro.
L’aneddoto è finito ieri sul New York Times, confermato da tre ospiti e incastonato in una serie di rimostranze, da parte di Thiam, su come in 5 anni al timone della seconda banca della Federazione (le cui finanze ha in gran parte risanato) la sfida principale sia stata far dimenticare di essere «proveniente dal Terzo Mondo»: così era stato presentato a un evento della banca, che pure dirigeva.
Thiam ha lasciato la guida di Credit Suisse a febbraio, travolto dallo scandalo dei pedinamenti: il direttore generale Pierre-Olivier Bouée aveva ammesso di avere ingaggiato investigatori per seguire l’ex dirigente Iqbal Khan, che aveva lasciato il Credit per passare (sgarbo estremo) all’arcirivale Ubs. Thiam ne era ignaro, e lo ha dimostrato. Ma le sue dimissioni sono state chieste comunque. «Ho fatto il meglio che potevo», ha detto nella conferenza stampa di addio, passando l’incarico a Thomas Gottstein. «Ma sono quello che sono, e non posso cambiarlo. È l’essenza dell’ingiustizia prendersela con qualcuno per quello che è». Cioè, nel caso di Thiam, un banchiere nero raro come una mosca bianca, figlio di una discendente della regina del Senegal e nipote di un primo ministro ivoriano, ex alunno svogliato mandato a scuola dal padre, giornalista, al grido di «è finita l’era dei prìncipi africani pigri», e diventato poi studente prodigio.
Nel suo discorso non aveva fatto cenno alla sua provenienza; ma il New York Times, in un’inchiesta sul suo addio «stranamente poco discusso» in un ambiente allergico ai riflettori, apprende da undici dirigenti di Credit Suisse che hanno lavorato con Thiam che «il suo essere nero è stato un fattore sempre presente nel suo mandato, e ha posto le basi per questa liquidazione frettolosa».
Thiam è stato sempre lodato all’estero e accolto freddamente in Svizzera: un giornale arrivò a rimproverargli «un aspetto poco elvetico». La banca, contattata dalla stampa, ora si scusa: «Il compleanno, alla cui organizzazione sia la banca sia il festeggiato sono estranei, non era inteso in senso razzista. Il racconto di quella sera è distorto, e ci scusiamo se abbiamo involontariamente offeso qualcuno». Involontariamente, altro avverbio ricorrente quando si parla di razzismo sistemico.