l’intervista
Raffaele La Capria «A 98 anni amo giocare con i nipoti. I miei insegnamenti: letture e tuffi»
Lo scrittore e la festa dei nonni: per coltivare gli affetti bisogna aver vissuto bene
Raffaele La Capria, lei ha tre nipoti e proprio oggi compie 98 anni, c’è bisogno della Festa dei nonni che si è appena celebrata?
«Certo. Perché i nonni hanno vissuto a lungo e possono trasmettere la propria esperienza. Però, per coltivare gli affetti sino alla fine bisogna aver vissuto bene. Lo specifico avendo vissuto bene».
Lei che nonno è?
«Un nonno che, come tanti, è stato più indulgente coi nipoti che coi figli. Ho un nipote grande, Eduardo, detto Dudù come me, figlio di Roberta e due sono figli di Alexandra, che è arrivata più tardi, dal matrimonio con la mia Ilaria Occhini. Alexandra ha avuto due figli da Francesco Venditti: Alice ha 22 anni, Tommaso 20. Studiano, si danno da fare. Alice ha fatto l’attrice in una fiction della nonna paterna, Simona Izzo, e Tommaso ha scritto e interpretato una canzone sempre in un suo film».
La chiamano nonno Dudù o nonno Raffaele?
«Né l’uno né l’altro che io sappia, ma a me piace Dudù, l’ho sempre imposto anche se portava scherzi e prese in giro. Quando vinsi il Premio Strega con Ferito a morte, Ennio Flaiano diceva “Dudù non sei più du”».
«Non mi sento vecchio», ha detto una volta, «mi sento sempre più un adolescente, invecchiato di colpo. Sempre figlio, sebbene più volte padre». Quando si è sentito nonno?
«Quando i nipoti mi hanno riconosciuto tale».
Un nonno scrittore e intellettuale gioca coi nipotini?
«Sì, certo. E anche bene».
È stato lei a insegnare loro a leggere?
«L’ho fatto, sì. Leggere da giovani è fondamentale: io sono stato un ragazzo solitario che ha iniziato leggendo Salgari e Stevenson davanti a una finestra che guardava il mare di Napoli nei giorni in cui non era abbastanza bello per fare il bagno. E poi sono andato avanti, fino a Dostoevskij, fino a Joyce. Ero un lettore inesperto e sprovveduto, ma mai, diventato uomo, ho ritrovato quella antica maniera di leggere così totalizzante. Quel ragazzo sapeva di letteratura più di tutti gli altri, persino dello scrittore che sono diventato».
Ai suoi nipoti ha insegnato anche i tuffi di cui è stato campione?
«Mi hanno visto e hanno imparato».
Che altro ha insegnato ai nipoti?
«La buona educazione».
Nel suo nuovo libro pubblicato con Mondadori, «La vita salvata», scrive che la bellezza è la cosa principale della sua vita. Come ha spiegato la bellezza ai nipoti?
«Ho detto loro che la bellezza ha in sé un valore morale oltre che estetico, che è un bene per lo stupore e la meraviglia che suscita in noi. È una specie di rivelazione di ciò che potremmo essere. Se abbiamo la bellezza, non ci serve altro. E, senza la bellezza, ne sono convinto, il mondo sarebbe peggiore, noi saremmo peggiori» .
Perché, per questo libro, la scelta di una conversazione con una scrittrice, Giovanna Stanzione, che ha solo 32 anni?
«Perché era molto importante per me parlare con un giovane, con tutti i giovani che ci sono là fuori. Con la sua generazione. Con le prossime. L’alleanza e il dialogo coi giovani è fondamentale perché loro porteranno avanti questa nostra vita, vivranno un poco più di noi e io ho molta fiducia in questi futuri noi. Se ci sforzeremo di comprenderli, ci meriteremo anche lo sforzo da parte loro di comprendere la nostra fallibilità e le nostre debolezze».
Che effetto le fa, in questi tempi di pandemia, il continuo appello al senso di responsabilità dei giovani verso i nonni?
«Diceva Giambattista Vico che esistono corsi e ricorsi nella storia dell’umanità, io dico che esistono anche nella piccola storia di ogni esistenza umana: noi adulti ci siamo presi cura dei nostri giovani, li abbiamo preservati quando non erano autosufficienti, ora tocca a loro preservare noi».
Ieri ha festeggiato il compleanno a «Positano Mare Sole e Cultura» con una serata che ha riunito scrittori come Edoardo Nesi, Sandro Veronesi, Elisabetta Rasy. E i festeggiamenti in famiglia?
«Intanto, mi hanno raggiunto mia figlia Alexandra e mia nipote Alice».
Sandro Veronesi firmerà la prefazione della riedizione di «Ferito a morte». Lei quando ha letto il suo «Colibrì» che ha pensato delle speranze immense che il protagonista investe sulla nipotina in arrivo?
«Non ho pensato a lui come a un nonno, ma ho pensato a me e a quello che è accaduto a tutti noi diventati di nuovo genitori in tarda età. Ho pensato a quando abbiamo avuto la speranza di poter essere migliori di come siamo stat