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Le due facce della Premier: Ancelotti in testa, Guardiola in crisi

Carlo Ancelotti (ansa)
Il tecnico italiano dell'Everton è in testa alla classifica a punteggio pieno grazie ad un mercato importante e ai gol di Calvert-Lewin, lo spagnolo nel mirino della critica dopo il tonfo casalingo del Manchester City contro il Leicester e una difesa che continua a sbandare
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LONDRA - Se Guardiola piange, Ancelotti ride. Lo stellare Manchester City sconfitto ieri in casa 5-2 dal Leicester di un immenso Jamie Vardy, l'Everton del tecnico italiano primo in classifica a punteggio pieno con nove punti, insieme proprio all'ex squadra di Claudio Ranieri sotto la cui guida vinse un miracoloso campionato nel 2016. Che cosa sta succedendo in Premier League? L'Everton può davvero ripetere le straordinarie gesta di quella squadra?
 
Impossibile dirlo, anche perché stavolta di fronte ci sono i "cugini" del Liverpool, ancora più schiacciasassi con Thiago Alcantara. Di certo, l'Everton ha tutte le premesse per diventare una grande squadra quest'anno. "Non ce lo aspettavamo di avere nove punti dopo tre giornate", ha ammesso Ancelotti alla Bbc, "ma è confortate aver avuto sempre un buon approccio nelle prime tre partite", e cioè la vittoria fuori casa contro il Tottenham di Mourinho all'esordio, il 5-2 contro il West Bromwich e la vittoria di sabato 2-1 contro il Palace fuori casa, contestata dall'allenatore avversario Roy Hodgson per un rigore sospetto.
 

L'ossatura della squadra blu di Liverpool è rimasta più o meno quella dell'anno scorso, dal portiere della nazionale Pickford all'attacco. È il centrocampo a essere cambiato, in meglio. Innanzitutto, insieme al recuperato André Gomes dopo uno spaventoso infortunio, ci sono due nuovi notevoli e indispensabili giocatori di filtro, come il brasiliano Allan dal Napoli e Doucouré dal Watford, quest'ultimo senza piedi d'oro, ma con quel peso specifico che mancava in mezzo al campo. E poi, ovviamente, James Rodriguez, che ha ritrovato il suo mentore Ancelotti dopo l'esperienza al Real Madrid, e che si è scrollato di dosso le ombre degli ultimi anni, dopo l'esubero dai galacticos e una lunga e deprimente parentesi al Bayern Monaco.
 

Ma arriviamo a Dominic Calvert-Lewin, 23 anni di Sheffield, cinque gol nelle prime tre partite, di cui uno di tacco contro il West Bromwich, uno in più rispetto a tutti quelli dell'intera stagione di due anni fa. Pochi dubbi: Calvert-Lewin è esploso proprio con Ancelotti, che ne ha fatto un attaccante estremamente moderno, scaltro e soprattutto concreto. Le avvisaglie c'erano state già l'anno scorso con 13 gol in 36 partite. Quest'anno Dominic, una prima punta di gran movimento e sempre più spietata sotto porta, sembra inarrestabile, limitando tra l'altro sempre più gli spazi e la crescita di Moise Kean. A questo punto la chiamata in nazionale sembra scontata. Non solo: Calvert-Lewin quest'anno, oltre agli assist di James Rodriguez, si giova anche dell'immancabile Richarlison sulla fascia sinistra, brasiliano poco appariscente e molto più Ravanelli, che, col suo moto perpetuo, si completa alla perfezione con Calvert-Lewin. Insieme, formano una delle coppie meno canoniche della Premier League, ma per questo anche una delle più imprevedibili.
 
Ma se sulla sponda di Liverpool c'è tanta evoluzione, a Manchester, lato City, si sta assistendo a un'inquietante involuzione. Non solo dopo la disfatta di ieri contro il Leicester (dopo l'1-0 del primo tempo), che ha segnato un inedito flop della carriera di Pep Guardiola, ovvero cinque gol subiti. Il problema arriva da lontano, e cioè dalle ricorrenti amnesie del suo City nelle scorse Champions League, ma è esploso definitivamente l'anno scorso. I "citizens", nella loro ricerca del calcio bello e impossibile, oramai sono sempre più fragili e porosi dietro. Lo si è visto con il Lione pochi mesi fa in Champions o per esempio contro il Monaco anni fa. Sembra un difetto oramai strutturale. Nella difesa del Manchester City cambiano continuamente gli interpreti, pagati centinaia di milioni, ma il risultato rimane: Stones, Walker, Eric Garcia, Laporte, Mendy, Ake, ora persino Ruben Dias dal Benfica per circa 55 milioni (incluso Otamendi), a quanto pare al posto del sogno Koulibaly del Napoli.
 

Certo, come ha detto Guardiola, "ci sono molti giocatori nuovi che devono imparare e il resto della squadra non ha protetto i quattro dietro". Ma ieri sono diventati definitivamente lampanti le lacune strutturali della difesa del City. Se colta di sorpresa da lontano, a 40-50 metri dalla porta come auspica nel peggiore dei casi il tecnico catalano, non c'è diga che tenga: una squadra come il Leicester, con giocatori offensivi veloci e guizzanti come Barnes, Praet, Maddison e il castigatore Vardy, ha fatto a fette ogni strategia difensiva dei "citizens". Ma c'è un altro grosso problema, di natura tecnica: i tre rigori concessi ieri dal Manchester sono stati il risultato di interventi scellerati di tre difensori diversi come Walker, Mendy e Garcia.
 
Guardiola ha detto che "la squadra era nervosa e ansiosa dopo i gol falliti sull'1-0", ma è anche il segno di una disarmante carenza nell'uno contro uno e di nervi fragilissimi. Il che sottolinea un'altra grave, strisciante pecca di questo City: la mancanza di veri leader in mezzo al campo (unica eccezione forse Fernandinho e negli anni scorsi Vincent Kompany) che tenga la squadra concentrata nei momenti capitali delle partite, come visto in tutti questi anni in Champions League. Visto il deprimente inizio dei citizens, questo potrebbe essere sempre più l'ultimo anno di Guardiola a Manchester, in scadenza di contratto. La favola di Ancelotti all'Everton, invece, sembra essere appena iniziata.
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