Gabriele Muccino: «Quell’insaziabile fame di bellezza che dobbiamo proteggere»

Il regista ha presentato a Portofino il cortometraggio «Open your eyes», realizzato per Azimut Yachts, che racconta un innamoramento attraverso opere d’arte: «In Italia c’è il rischio assuefazione, ma non dobbiamo perdere la riflessione su chi siamo. La sensibilità va sempre innaffiata (e la RAI ha un ruolo fondamentale)»
Gabriele Muccino «Quellinsaziabile fame di bellezza che dobbiamo proteggere»

Le luci della piazzetta di Portofino riflettono in acqua i profili delle case, in un affascinante zig-zag tra gli scafi delle barche. Il sole, già nascosto dietro il promontorio del faro, rischiara il golfo con le ultime forze, regolando la luminosità come un’app di photo-editing. «La location ideale per parlare di bellezza», sussurra Gabriele Muccino alla première di «Open your eyes», il cortometraggio realizzato per Azimut Yachts in occasione del lancio di Magellano 25 Metri. «È incredibile come in Italia il bello sia dappertutto, ne siamo inondati**.** Corriamo quasi il rischio di restarne assuefatti».

Il segreto è continuare a stupirsi?«Ammetto che quando vivevo a Los Angeles e tornavo a Roma, sentivo un impatto molto forte, tipo sindrome di Stendhal. Viviamo in un paese pazzesco: se ti stacchi per un periodo e poi lo ritrovi, ne capisci ancor di più l’unicità».

Un Paese che fa persino innamorare, come accade nel corto.«C’è un avvicinamento progressivo tra i due protagonisti (Francesco Scianna e Mariana Falace, ndr) attraverso lo scambio di foto di opere d’arte. È un’idea per raccontare lo yacht, che è un oggetto meraviglioso però non parla: per me è stata una specie di sfida».

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C’è una parte d’Italia al quale si sente particolarmente legato?«Adoro Napoli, Ischia, ma ho passato tanto tempo pure in Toscana, ad Ansedonia e sull’Argentario: da amante del windsurf, ho viaggiato ovunque in cerca del vento e delle onde, per me il mare è quello».

In questo girare per il mondo, tra red carpet e grandi star, c’è qualcuno che le ha lasciato un particolare insegnamento sulla bellezza?«Ho una mamma pittrice che mi addormentava con il valzer di Strauss, a sette anni mi portò a vedere “La tempesta” di Shakespeare. Non so cosa pensava che capissi, però in quel modo l’anima viene irrorata di immagini e suggestioni che ti restano dentro e lavorano».

Crede che oggi si stia perdendo la ricerca del bello?«Si sta perdendo la riflessione sull’identità, il pensiero su chi siamo. Se perdi quel tipo di conoscenza - che poi sono i ricordi - perdi le chiavi di lettura, non riesci più a decodificare la bellezza. La sensibilità va annaffiata costantemente, sennò si appiattisce».

Vede possibili soluzioni?«Un ruolo enorme è in mano alla RAI, che dovrebbe tornare a fare servizio pubblico pre-Mediaset. All’epoca aveva una duplice missione: fare intrattenimento ma anche mantenere alto lo standard culturale. Il Paese andava portato avanti, c’era questa responsabilità».

Tra l’altro alcuni programmi di divulgazione vanno ancora fortissimo.«Stiamo attraversando un periodo di transizione spaventoso: ho tre figli nati negli anni Duemila che vivono un’Italia totalmente diversa dalla mia. Ma la fame di bellezza resta, è insaziabile nell’essere umano, dobbiamo solo proteggerla e continuare ad alimentarla».

In un necessario atto d'amore.

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