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Muve, nessuno ha perso il lavoro e si riparte

Il direttore Gabriella Belli ipotizza per la fine del 2020 circa 700.000 visitatori tra tutti i musei della Fondazione, persi circa altrettanti col lockdown. Grandi assenti gli stranieri

di Laura Traversi

9' di lettura

Venezia non si piega alla pandemia e men che meno Gabriella Belli che dal 2011 è direttore del MUVE , i Musei Civici di Venezia, eretti a Fondazione dal 2008. Una multiforme realtà museale di 11 tra musei e siti identitari per la città lagunare, a partire da Palazzo Ducale, Museo Correr, Ca' Pesaro, Ca' Rezzonico, Palazzo Fortuny, per arrivare al Museo del Vetro di Murano. Oltre che Chevalier de l'Ordre des Arts et Lettres della Repubblica francese, nel 2011 ha ricevuto il Premio ICOM Italia come migliore museologo dell'anno. Le presenze turistiche a Venezia e in Veneto (Regione Veneto 2019-2020 su dati Istat) lette in chiave pre-Covid e post-Covid mostrano un calo drammatico, come in tutte le città d'arte italiane ed europee (a Parigi -70% di presenze rispetto al 2019): 71 milioni erano le presenze in tutto il Veneto nel 2019 (dai quasi 38 milioni a Venezia, ai 1,5 milioni di Rovigo, nel Polesine del Parco del Delta veneto, riserva della biosfera mab-UNESCO dal 2015. Un recente studio di Nomisma ( giugno 2020, per la Fondazione CARIPARO-Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ) mostra che anche nelle città medio-piccole, l'elemento fidelizzatore è dato dalle mostre, e che i flussi turistici sono stati in costante crescita fino al 2019, con un impatto importante per l'economia locale, misurato in 1,61 € per ogni euro investito dalla Fondazione.

Direttore, Fondazione significa autofinanziamento, dipendenti con contratto di tipo privatistico, bilanci certificati da un ente esterno (KPMG S.p.A.), gli effetti del lockdown su lavoro ed sulle entrate museali quali sono?
Autofinanziamento e ticketing proprio, ma anche alleggerimento burocratico nelle procedure - fatta salva la disciplina nazionale anche per le gare - che rende più funzionale l'azione culturale. Ma è la programmazione pluriennale ad essere “fondante” per questa forma di istituzione, valida malgrado le difficoltà attuali. Col lockdown, diversamente dal contratto pubblico, il ricorso alla cassa integrazione comporta condizioni impreviste. Malgrado riconosciuti risultati nella gestione di patrimonio, restauri e ricerche e bilanci di segno sempre fortemente positivo. La Fondazione ha 84 dipendenti, tra conservatori, curatori e amministrativi e 380 persone per la guardiania, legati alla cooperativa appaltatrice del servizio. Nessuno ha perso il lavoro, ma il cambio di condizioni pesa. Stiamo gradualmente tornando alla normalità, dopo molte ore di smart working, con turnazioni per garantire la copertura di tutti i servizi generali (ricerca, studio, archiviazione, mostre, prestiti, registrazione, amministrazione) nonchè sicurezza, controllo climatico e conservazione del patrimonio. Sia in presenza che da remoto. A musei chiusi fortunatamente le criticità, di solito, non ci sono. Per l'ovvia stabilità ambientale - in assenza di visitatori - quanto a temperatura, umidità relativa ed esposizione alla luce. Sono state le persone a soffrire, non il patrimonio.

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I risultati generali (anche di bilancio) e i flussi cui eravate abituati prima del Covid?
Nel 2019 il MUVE ha avuto flussi molto importanti, circa 2.142.000 visitatori, di cui il 75% a Palazzo Ducale . La bigliettazione conta, nel bilancio, per circa l'80 %. Nel 2017 gli incassi della bigliettazione del MUVE erano secondi solo a quelli dell' ACTV, l'azienda comunale dei trasporti (Fonte Annuario del Turismo 2017). Altre risorse vengono dai servizi, coi loro concessionari, da sponsorizzazioni ed iniziative esterne. La quota di queste ultime è cresciuta negli anni. Dalla riapertura, col 20% di visitatori rispetto agli stessi mesi del 2019, siamo risaliti al 50% di agosto, area Marciana in testa. Per la fine del 2020 potremmo ipotizzare di arrivare a circa 700.000 visitatori, avendone persi circa altrettanti col lockdown. Complessivamente facciamo i conti con una diminuzione del 65/70% rispetto al 2019, come per i musei di Parigi. A giugno 2020, le presenze turistiche registrate in Veneto erano 7.391.659, dai 3 milioni di Venezia ai 151.000 di Rovigo, provincia del Parco del Delta, ovvero circa il 10% dei valori di tutto l'anno precedente, soprattutto a causa dell'assenza degli stranieri, che contavano per l'86%.

Quali spese sono cresciute, in rapporto a sicurezza, minori ingressi e distanziamento?
È stata necessaria una revisione dei flussi, con un enorme lavoro dei servizi di sicurezza. Nei nostri musei, l' ampiezza dei volumi interni agevola il distanziamento sociale. Ma le norme prevedono percorsi contingentati, riduzione degli accessi, controllo della temperatura - grazie a scanner e metal-detector molto sensibili, anche in chiave anti-terrorismo - dispositivi sanitari in tutte le sale (su 40.000 mq), pianificazione di pulizia e sanificazioni ripetute dopo i passaggi del pubblico. Tutto rientra nelle spese di gestione ordinaria. I musei devono essere luoghi sicuri e far sentire completamente a loro agio le persone.

Quali i diversi pesi in termini di pubblico/ricavi propri e spese dei musei del MUVE? Chi aiuta chi?
Tutti concorrono ad un unico scopo: gestire in modo virtuoso la Fondazione, un unicum nella struttura scientifica ed amministrativa, con molta autonomia scientifica e di budget per i singoli musei. Come se avessimo vari dipartimenti dislocati nella città. C'è un forte interesse per i musei più piccoli, per visitatori il Museo del Vetro di Murano è il terzo del circuito. Vi abbiamo investito, dà un contributo identitario, concorrendo in modo importante anche al bilancio della Fondazione. Crescono anche i musei esterni all'area Marciana: Ca' Rezzonico, Ca' Pesaro, Palazzo Mocenigo e Palazzo Fortuny . Grazie a riordino, nuovi allestimenti, restauri e mostre temporanee orientate all'arte contemporanea, spesso durante le Biennali. È stata accresciuta l'attrattività delle sedi “tradizionali”, anche se la centralità di Palazzo Ducale è indiscutibile, e ha sempre “aiutato” le parti più piccole del sistema della Fondazione.

Venezia e il Veneto devono un'enorme percentuale delle entrate al turismo internazionale. Che rappresenta l'86% degli arrivi a Venezia e il 68% in Veneto. Nell'ordine europei, Usa, Asia, Oceania e Africa (Fonte Annuario del Turismo di Venezia 2017), come si fa ora con le frontiere sempre più a rischio?

Il turismo è “l'industria” di Venezia, che non conta su altri comparti altrettanto significativi. Abbiamo perso il 70%, ma del turismo internazionale abbiamo conservato quella quota europea che può raggiungere Venezia via terra, in macchina. Da Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Slovenia. Alcuni hanno pensato che la Biennale si dovesse fare comunque. In teoria, ma in pratica la Biennale aveva contratti stipulati con paesi che non avrebbero mai potuto essere presenti, dagli Usa all'Africa, fino a Cina e Giappone. Con pochi europei, col punto interrogativo di Francia e Spagna cadeva il senso generale di incontro tra culture. La complessità organizzativa implica un coordinamento molto articolato, che richiede mesi per arrivare al risultato. Però a settembre la Mostra del Cinema, la Fenice, il Campiello, la Biennale - con l' esposizione ai Giardini sulla sua storia - hanno mostrato una grande vitalità, nella massima sicurezza.

Come si sta attivando per il fundraising? La voce ricavi rispetto a prima?
Il MUVE ha sempre ottenuto attenzione e generosità da grandi e piccoli sponsor. Da anni può contare su partners sostenitori focalizzati sui restauri del patrimonio artistico ( pitture murali, dipinti, opere lignee) che – per le condizioni climatiche lagunari - necessita di un'attenzione continua. Grazie ad un capillare lavoro di ricerca sponsor abbiamo avuto un importante sostegno per la riapertura delle sedi. Nuovi sponsor esterni sono arrivati da grandi aziende italiane (1,5 milioni di euro) per il patrimonio immobiliare. La Banca d'Italia ha supportato il restauro di Ca' Pesaro, dopo che l'acqua alta di novembre 2019 aveva privato l'edificio dei servizi del piano terra.

La comunicazione online è stata rafforzata in questo periodo? Quanto era già sviluppata?
Col Covid, nel nostro progetto editoriale online, abbiamo voluto veicolare l'inedito e il meno noto, facendo comunque delle scelte “identitarie” per la città: collezioni eccentriche ed originali, oggetti inusuali e speciali come tabacchiere, miniature, avori, pietre preziose, strumenti musicali. Un gruppo di 60 particolarità! Ma il patrimonio posseduto consta di 400.000 opere. Il riscontro è stato importante, nei siti della Fondazione abbiamo un milione di followers. Coi curatori e conservatori abbiamo voluto una comunicazione organica, di alto livello scientifico, evitando l'ipertrofia di forme di comunicazione autoreferenziali o ridondanti. È importante avere un coordinamento, un palinsesto e un vero piano editoriale, perché questo può incidere sulla conoscenza, che è il nostro obiettivo finale, e la sua comunicazione. La missione della Fondazione è promuovere cultura, conoscenza e formazione. Condividiamo un progetto sull'identità delle collezioni di Venezia, con contenuti e narrazioni meditate. Esempi di oggetti identitari erano online dal 2014 per Palazzo Mocenigo, col suo Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, in #WeWearCulture , o con l' iconico abito Delphos (1909) di Mariano e Henriette Fortuny, ispirato dall'Auriga di Delfi. Al primo giorno di riapertura di Palazzo Ducale, abbiamo avuto 2.000 visite, che ci hanno mostrato il bisogno di autenticità dei cittadini. Il lavoro della Fondazione non poggia su strumenti virtuali, non distraiamo nessuno dal rapporto diretto coll'autentico. La comunicazione digitale ha, invece, la funzione di preparare la visita prima, e di aiutare la memoria dopo. A questo crediamo. Infatti, dopo averlo progettato per tanto tempo, durante il lockdown abbiamo preparato il modello 3D di Palazzo Ducale che necessitava di silenzio e vuoto. Un lavoro complesso che sarà online, sul nostro sito. Palazzo Fortuny ci ha dato grandi soddisfazioni, con mostre molto sofisticate. È, per sua natura, un luogo magico, forse perchè l'ha abitato un genio del suo tempo. Questo “genius loci” continua a caratterizzare le sue mura in modo molto forte. Grazie allo sponsor che ci sostiene, a fine anno dovremmo riaprirlo.

Memoria, identità e autenticità si sono saldati nella sensibilità di molti cittadini alla riscoperta della loro arte, in Italia e nel mondo, prima e dopo il lockdown....
Forse l' indigestione di virtuale ha un limite, le persone sono fatte di emozioni. Che sono vere quando sono dentro la realtà, come nella Sala del Maggior Consiglio o a Ca' Pesaro, davanti ai Borghesi di Calais di Rodin. Le emozioni hanno bisogno di rapporti fisici, mentre col virtuale sei a distanza.

Anche molte componenti dell'habitat culturale ed artistico vivono grandi difficoltà: dall'archeologia al contemporaneo. Le istituzioni comprano poca arte. Le collezioni invecchiano, lei disse una volta…La formazione non ne risente? Cosa lasceremo in eredità?
Si, i musei acquisiscono poco oggi. Esiste l' Italian Council , ma è una goccia nel mare. Dovremmo incrementare col segno del tempo presente. Credo che paghiamo l'immobilità dello Stato nell'acquisizione di patrimonio. Altro tema: sono pochi i musei d'arte contemporanea davvero decollati. Dovrebbero collezionare. In Italia sono nati tanti musei privati nel contemporaneo e, ciononostante, la situazione resta critica perché si è smesso di tesaurizzare la storia presente. Poi c'è il tema degli archivi, delle memorie, oggi annacquato. La digitalizzazione porta molto nel cloud, non perderemo nulla, ma non è a completa disposizione dei ricercatori e degli studiosi. Con le biblioteche ancora chiuse, è importante ricordare che la ricerca costruita in una biblioteca, invece, che davanti ad un computer è una cosa completamente diversa. Vorrei aggiungere che credo molto nel rapporto coi collezionisti. I musei devono aggiornare le proprie collezioni e possono farlo con prestiti e donazioni a lungo termine. Come col prestito della collezione Chiara e Francesco Carraro a Ca' Pesaro che segue le storiche eredità della Serenissima, delle Biennali d'inizio del secolo e degli anni ’50. Anche all'estero lavorano molto coi depositi a lungo termine, che poi diventano donazioni.

Col Dorsoduro Museum Mile fanno sistema Gallerie dell' Accademia, Guggenheim, Punta della Dogana-Palazzo Grassi e Palazzo Cini. Con sconti sulla bigliettazione. C'è più collaborazione?
Si, ha una connotazione geografica, favorisce la visita di quella sponda del Canal Grande, invogliando ad entrare in siti diversi. La semplificazione dovrebbe diventare strutturale (insieme alla prenotazione), agevolando le visite delle città storiche, come avviene in Piemonte, Lombardia e Valle d'Aosta. Noi abbiamo la Muve Card (25-45 €). I musei sono cambiati rispetto al passato e le risorse non bastano a dare le risposte dovute. Per sviluppare collaborazione, tutti dovrebbero rinunciare a qualcosa, per migliorare e semplificare l'offerta generale. Questo darebbe un aumento dei visitatori, laddove non vada invece calmierato, come a Venezia.

Quali priorità nazionali per tante città in difficoltà?
Bisogna investire su infrastrutture di collegamento e reti informatiche. In edifici antichi, portare il WiFi in ogni angolo è importante. In un Piano di Rilancio del paese le nostre eccellenze andrebbero meglio disseminate sul territorio, a partire dalle scuole di restauro e conservazione con cui potremmo tornare leader mondiali. Bisogna proteggere le città d'arte e non lasciar deperire il patrimonio. L'economia culturale è un bene straordinario che può cambiare la vita dei giovani e del paese. Turismo e cultura dovrebbero viaggiare insieme, dovremmo costruire nuova architettura, nuovi musei, segni di modernità, con un sistema ampiamente supportato, verso un allineamento al resto del mondo.

In tempi di maggiore peso del pubblico nazionale e locale avete programmato a Ca’ Pesaro la mostra su Umberto Moggioli (1886- 1919) aperta l’11 settembre e fino all’8 dicembre, come sta andando?
Fece da collante della “Secessione” italiana, con Gino Rossi, Tullio Garbari ed altri durante quella fase di presa di coscienza dei giovani pittori lagunari delle prime Biennali e di Ca' Pesaro. Sensibili alle avanguardie, soprattutto francesi, dove poi arrivarono Boccioni e Casorati. Un omaggio dovuto ad un artista di assoluto rilievo, morto a soli 33 anni di spagnola, che ha rinnovato il panorama veneziano del primo Novecento. I suoi paesaggi dalla laguna più selvaggia, a Burano e nelle valli da pesca più remote, restano indimenticabili ben oltre il Triveneto, saldandosi agli esiti della migliore pittura mitteleuropea.

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