la qualità della vita e i ritorni al sud

Il lavoro (quando c’è) fa scattare il richiamo del Mezzogiorno

Uno studio utilizza i dati della Qualità della vita per mettere in luce che il Sud dispone di alcuni servizi interessanti e per spiegare il fenomeno della mobilità verso Sud del pubblico impiego

di Michela Finizio

3' di lettura

I lavoratori fanno la fila per i posti di lavoro al Sud. Se trovano lavoro (e se lo trovano regolare), dal momento che la probabilità di occupazione è molto più bassa, stanno meglio dei loro colleghi del Nord in termini di salari reali. A garantire questo equilibrio sono gli accordi nazionali sugli stipendi che consentono solo lievi adeguamenti, e per lo più al rialzo, rispetto ai minimi stabiliti.

In coda, certo, rimangono i non occupati, ma il sistema - a chi un posto riesce ad ottenerlo - garantisce un potere d’acquisto più elevato nelle città meridionali. L’ultimo paper sugli effetti della contrattazione salariale, appena aggiornato con una nuova versione che utilizza i dati del Sole24Ore per studiare l’andamento della qualità della vita al variare della produttività tra aree del paese, sottolinea come questo sia solo uno dei fattori che influenza la preferenza sul dove vivere delle persone.

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QUALITÀ DELLA VITA: DOVE VINCE IL SUD
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Un salario reale più elevato per coloro che lavorano nelle aree “più povere” potrebbe essere giustificato dalla scarsa qualità di molti servizi e beni pubblici sul territorio, come una sorta di compensazione. Tuttavia, utilizzando la banca dati trentennale della Qualità della vita, la storica indagine su base provinciale, gli studiosi mettono in luce che il Sud - benché agli ultimi posti nelle graduatorie generali - dispone di alcuni servizi interessanti. Primi tra tutti, quelli climatici e ambientali (si veda il grafico a sinistra) e legati a fattori “esogeni”.

La differenza di comfort tra le province più o meno ricche, in generale, è tutt’altro che scontata: anche se l’efficienza dei servizi è spesso inferiore al Sud (si veda il grave fenomeno dell’emigrazione ospedaliera o la scarsa spesa in cultura), il divario non è tale da giustificare le differenze salariali. Ci sono, anzi, alcuni dati che premiano il Mezzogiorno: il minor inquinamento, la minor densità abitativa (quindi centri urbani meno congestionati), la minor criminalità legata ai “reati di proprietà” (stando, almeno, al numero di reati denunciati), la dimensione delle classi scolastiche (in media c'è uno studente in meno per classe al Sud), oppure il numero di medici di base in rapporto agli abitanti.

Non devono stupire, quindi, le continue richieste di richieste di ricollocazione al Sud dei lavoratori dipendenti: a parità di stipendio nel settore pubblico, la mobilità degli impiegati della Pa parrebbe indicare che i lavoratori trovano alcune province più desiderabili di altre. Questo schema è diventato particolarmente evidente in occasione della riforma della «Buona Scuola» del governo Renzi. Nel 2015 per ridurre la carenza di insegnanti nel Nord, venne offerta una posizione permanente agli insegnanti temporanei nelle scuole del Sud disposti a trasferirsi. La maggior parte rifiutò: 29mila su 56mila insegnanti preferirono rimanere nel Sud con un incarico temporaneo. Inoltre, circa il 5% di coloro che accettarono il trasferimento, entro un anno chiesero di tornare nel Mezzogiorno per necessità familiari.

Simile è quanto accade all’Inps. Su 60mila posizioni messe in palio nel 2018, solo circa 3.500 candidati sono stati assunti e assegnati al Nord. Inoltre nel giro di un anno circa il 10% ha chiesto di essere trasferito altrove: su 303 domande di mobilità, solo una era dal Sud al Nord e nove tra le diverse località del Nord. Tutti gli altri hanno chiesto di essere trasferiti nel Mezzogiorno.

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