Tutte balle

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila

Di Natascia Ronchetti
11 Luglio 2020

Sullo scandalo lombardo dei pazienti Covid inviati nelle Rsa ora sta emergendo quello che il Fatto scrive da mesi. E cioè che quelli trasferiti sono stati molti di più di quanti ne ha sempre dichiarati la Regione: “Ne sono stati accolti solo 147, in 15 strutture”, ha continuato a dire l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Ma le cose non sembra affatto che stiano così. Non in base ai documenti sequestrati dagli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria (come ha riportato ieri La Stampa), nel centro di smistamento dei pazienti che la Regione ha istituito al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Documenti, acquisiti su ordine della Procura meneghina, che parlano di 7.500 pazienti, dei quali 4.700 Covid a bassa intensità e 2.800 negativi (anche se non tutti erano stati sottoposti al doppio tampone per escludere definitivamente la positività). Ma riavvolgiamo il nastro.

Era il 28 marzo quando il Fatto scriveva che i dimessi dagli ospedali perché clinicamente guariti, cioè senza più sintomi ma ancora con carica virale, venivano dirottati su hospice e Rsa. Scelta che allora aveva già riguardato almeno il 30 per cento di ottomila dimessi: vale a dire 2.400 persone, come precisato dallo stesso portavoce di Gallera, da noi interpellato nell’occasione. Dichiarazione stranamente ritrattata alcune settimane dopo: “Un mio errore”, il dietrofront del portavoce.

Arriviamo al 24 aprile, quando il Fatto, di fronte al silenzio della Regione Lombardia e delle Ats scopre, chiamando una per una le case di riposo, che il numero è ben diverso da quello dichiarato da Gallera: sono almeno 225. E i trasferimenti, a quella data, stanno proseguendo. Il presidente Attilio Fontana, l’assessore Gallera e le Ats continueranno a non rispondere, limitandosi a sostenere che le Rsa accoglievano i pazienti su base volontaria e solo a determinate condizioni, come la presenza di un’area autonoma, per evitare il possibile contagio degli anziani.

Non risponderanno nemmeno quando il Fatto, il 25 marzo, pone loro dieci domande. Primo: come è possibile che si parli sempre di 147 pazienti Covid e che a distanza di giorni e settimane il numero rimanga sempre invariato? Nel frattempo la “strage dei nonni” è già iniziata. La Regione Lombardia ha sempre sostenuto che gli anziani morti nelle case di riposo non possono dipendere dal ricovero di pazienti Covid. Ma è un fatto che l’Istituto superiore di sanità ha appurato, con una indagine che ha coinvolto il 43,1 per cento delle 678 Rsa presenti in Lombardia, che sono stati quasi 2.100 i decessi dall’1° febbraio al 5 maggio.

Ancora non si sa quanti dei 7.500 pazienti movimentati dal centro di smistamento del Trivulzio siano effettivamente finiti nelle Rsa, quanti in altre strutture sociosanitarie o centri per le cure intermedie: gli investigatori dovranno analizzare i documenti per ricostruire il percorso ospedaliero. “Ma era evidente fin dall’inizio che non potevano essere solo 147 in tutto – dice Cesare Maffeis, medico, presidente dell’associazione delle case di riposo del Bergamasco –. Solo nella nostra provincia ne abbiamo accolti molti di più. I numeri la Regione ce li ha ma non li fornisce. E non ha nemmeno un esperto di strutture socio sanitarie, si vede da come è stata scritta l’ultima delibera sulla riapertura delle Rsa, che non hanno ancora ricevuto nulla per aver aperto le porte ai pazienti Covid: cornuti e mazziati. La Regione Lombardia è sorda ma siamo pronti ad alzare la voce”.

Quanto all’effettivo numero dei morti, restano i dati dello Spi-Cgil, che ha fatto una indagine sul territorio regionale: cinquemila. “Un tasso di mortalità superiore del 400 per cento a quello degli anni precedenti”, dice il segretario regionale del sindacato, Valerio Zanolla.

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