Musica

Vogue Release 2020, i nuovi album da ascoltare subito

Tutto il meglio della musica in uscita, tra EP e album che non vediamo l'ora di tornare a cantare (e ballare) dal vivo ai nostri festival preferiti
Musica 2020 i nuovi album da ascoltare subito

Complici le restrizioni imposte dal lockdown, molti artisti hanno fatto di necessità virtù e si sono chiusi in casa - o in studio - a produrre e registrare musica bellissima. Ma quali saranno le canzoni dell'estate, sicuramente la più atipica della nostra vita? Quali i tormentoni che ci faranno ballare, seppur distanziati e muniti di mascherina? Difficile, difficilissimo dirlo: durante la fase 1, gli ascolti delle radio sono calati sensibilmente. Ma anche in questa fase successiva di transizione, non è mai stata così ardua la promozione musicale: a causa di festival e concerti fermi ai box, ma anche dell'annullamento degli eventi in store, i cosiddetti firmacopie. Eppure, come detto, è uscita e sta per uscire della bellissima musica: ecco perché la necessità di ospitare sulle pagine di Vogue.it uno spazio dedicato alle nostre release preferite. In attesa di poterle ballare di nuovo abbracciati.

ALBERTO BAZZOLI & GIANNI D'AMATO, ZERO

Come è nato Zero, e cosa significa per voi?
Zero, come ci suggerisce la parola, è un punto di partenza. Mentre con il primo EP, Superpop, abbiamo mostrato da dove proveniamo e quali sono le nostre ispirazioni - cultura anni ‘70 e disco music - ora vogliamo iniziare a costruire il nostro tempio.

Dal punto di vista musicale come descrivereste quest’ultimo progetto? 
Un tentativo pretenzioso di unire il sacro al profano. Da una parte l’orchestra di matrice Morriconiana e dall’altra l'elettronica formata da autotune e sintetizzatori.

Alberto Bazzoli & Gianni D'Amato

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione di Zero? 
Zero è un progetto realizzato grazie a tantissime persone: solo i musicisti sono 24. Oltre a loro, vogliamo ricordare le figure cardine della produzione che sono,  per la parte audio, Ivano Giovedì - tecnico del suono - e Vanni Crociani, arrangiatore. Per la parte Immagine/Video, il fotografo Simone Riccomi, qui in veste di regista e Luana Mazzieri, stylist. Grazie al frutto di queste ultime collaborazioni pensiamo si sia trovato un modo per trattare l’argomento serio ed elegante, non scontato e non blasfemo. I capi utilizzati nel video sono opere di fashion designer emergenti e questa soluzione sicuramente costituisce un valore aggiunto, così come le location della Val d’Orcia che fanno da sfondo al girato.

Qual è la storia della traccia? 
Il provino originario è di Gianni ma l’idea del brano è nata da un interrogativo goliardico affrontato più volte in momenti di nullafacenza: "Qual è stata la più grande star di sempre?”. I nomi che ci sono venuti in mente sono stati molteplici e le teorie a sostegno di tali candidature lo sono state ancora di più, quando ad un certo punto Alberto sancì la fine della speculazione con la frase  “John Lennon è sulla cresta dell’onda da 60 anni ma Gesù da 2000”. La risposta ci sembrò subito così banale quanto soddisfacente, tanto che ci spinse a scrivere questo brano. Il testo fa riferimento ad alcuni slogan, in parte rivisitati, di artisti contemporanei come Coco Capitán.

C’è qualcuno a cui vorreste dedicare Zero? 
A Jesus Christ, Superstar di sempre.

SAN HELL SING, ACAPULCO

Come è nato Acapulco, e cosa significa per voi?
L’idea di Acapulco nasce durante l’estate di 2 anni fa durante un viaggio che ci portò a scoprire le spiagge della Galizia. Avevamo con noi tutto il necessario per suonare senza bisogno di elettricità ma solo con piccoli alimentatori, cosi portavamo in spiaggia effetti a pedali, looper, un violino elettrico e un pad a percussione. Ci mettevamo a suonare davanti a scogliere mozzafiato ispirati da tramonti pazzeschi. Potremmo dire che l’EP rappresenta per noi un modo di intendere il mare: lo consideriamo un po’ il nostro punto di svolta soprattutto per la maturità con cui l’abbiamo affrontato.

Dal punto di vista musicale come descrivereste quest’ultimo progetto? 
Pensiamo che la nostra musica sia psichedelica nel senso che può evocare scenari immaginari o stravolti della realtà. Non siamo nella psichedelia anni '60, ma in quella più moderna, fatta di ibridazioni e di incroci. A tratti balearica e chill, crediamo possa essere classificata nello sperimentalismo elettronico, un genere vicino ad artisti come James Holden, Leon Vynehall o Pantha du Prince. 

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione dell'EP? 
San Hell Sing è un duo e l’EP è il frutto di questa passione e collaborazione. Per l’artwork cover dell’EP abbiamo lavorato insieme alla graphic designer Barbara Fregosi, mentre il video di Acapulco è stato realizzato dalla visual artist Cristina Angeloro. 

Qual è la traccia con una storia da raccontare? 
Tutte le tracce hanno genesi differenti ma un fatto insolito è che quando arriviamo alla fine raramente ci ricordiamo esattamente com’è nata. Il nostro processo creativo è piuttosto naturale e i brani nascono senza che ce ne rendiamo davvero conto, come se fossero il percorso di un’immagine che abbiamo assimilato dentro di noi dopo un’esperienza che abbiamo vissuto. 

C’è qualcuno a cui vorreste dedicare Acapulco? 
Vorremmo dedicare questo EP alle persone che ci hanno supportato, e anche a quelle che sono state chiuse in casa. Sdraiatevi sul divano, fissate il soffitto e fatevi un bel viaggione…

CHANNEL TRES, I CAN'T GO OUTSIDE

Come è nato I can't go Outside, e cosa significa per te?
Questo progetto è iniziato quando è arrivato il lockdown a marzo e i miei live sono stati cancellati. Avevo molte cose in testa e dovevo risolvere molti problemi diversi, perché la mia routine precedente, fatta di show ed essere sempre in movimento, non esisteva più. Per realizzarlo, ho dovuto ricordare un tempo nella mia vita in cui le cose non erano così complicate. È un progetto che ho scritto per tutelare la mia sanità mentale, e un memento in modo da non dimenticare tutte le lezioni che ho imparato durante la pandemia e le cose che ho scoperto di me stesso. Ho usato quindi questa musica come un modo per non provare così tanta ansia riguardo alle cose che stavo scoprendo.

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo progetto?
A parte Unfinished Business e Take Your Time, stavo sperimentando con la mia produzione e non stavo cercando di seguire le strutture delle canzoni a cui avevo lavorato prima. Ho davvero provato a lasciarmi andare e fare quello che sentivo.

Channel Tres © Gastón McGary

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
La seconda canzone, Chevy Malibu, parla della mia prima macchina che era una Chevrolet Malibu bianca del 2007 a cui avevo cambiato i cerchi. Ricordo che, dato che era la mia prima macchina, sembrava che la mia vita fosse cambiata. Non dovevo prendere l'autobus per Compton, ma potevo guidare fino a Hollywood, potevo andare guidando in diverse parti di LA: all'epoca avevo 18 anni ed era un periodo davvero spensierato. Mi si apriva tutto un mondo intorno! La prima cosa che feci con quella macchina fu metterle degli altoparlanti. Quindi la canzone, se alzi il volume, suona un po' distorta, un po' ovattata: e l'ho fatto di proposito, perché ho cercato di replicare quel suono degli altoparlanti della mia macchina di quel periodo.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione del disco?
Ci sono due collaborazioni su questo mixtape: una con Tyler the Creator e una con Tinashe. Tyler e io siamo in ottimi rapporti da molto tempo: seguo la sua carriera dal 2010 e lui è uno dei più grandi artisti di questo momento. Mi è stato chiesto se c'era una canzone nel progetto a cui poteva partecipare, e ho mandato Fuego. Gli piaceva, quindi ci ha messo una strofa. È stato bello perché è stato tutto molto semplice. 
Tinashe e io siamo invece diventati buoni amici durante la pandemia, ho iniziato a inviarle beat e lei mi ha inviato idee. In questo particolare caso, quello che mi aveva rispedito indietro corrispondeva perfettamente alla musica. L'ho quindi chiamata e le ho spiegato di cosa parlava la canzone, e lei è stata perfetta.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Il mixtape è dedicato in realtà solo al lockdown. E a chiunque stia vivendo qualcosa che lo può riguardare.

KAS:ST, A MAGIC WORLD

Come è nato A Magic World, e cosa significa per voi?
L'idea di realizzare questo nuovo album non è nuova, ma ci è diventata chiarissima quando è iniziata la situazione COVID-19. Abbiamo smesso di andare in tour, ma invece di compiangerci, siamo tornati in studio e ci siamo chiusi lì dentro per mesi. Abbiamo sempre voluto fare un album molto diversificato in termini di generi, e dobbiamo dire grazie a questo improvvisa paralisi dell'intera industria live, poiché ha permesso all'album di essere assemblato in modo impeccabile. Anche quando eravamo considerati produttori e artisti strettamente techno, abbiamo sempre cercato di spingere i confini di ciò che definisce le tracce, suonando con elementi insoliti e alterandone di proposito la struttura. In definitiva questo è ciò che ha definito il nostro suono. A Magic World è un'ode al mondo in cui viviamo, pieno di gioia e tristezza, alti e bassi, paradossi e complessità dell'essere umano.

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo progetto?
Senza confini e libero da qualsiasi pressione. È decisamente un album elettronico, un album dei KAS: ST nella sua forma più pura ma musicalmente che va oltre il solito. Dal rap alla trance veloce, passando per brani melodici da dancefloor, pop e persino una reinterpretazione orchestrale del brano Hell On Hearth.

KAS:ST © Henri Coutan

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Sicuramente Siren! Inizialmente abbiamo inviato una traccia piuttosto semplice al vocalist Be No Rain, in modo che potesse aggiungere i suoi testi. Ci è piaciuto molto quello che ha rimandato indietro, ma non era adatto al tappeto musicale. Abbiamo cambiato completamente il brano e ne abbiamo fatto uno completamente nuovo, da zero, usando la voce di Be No Rain. Il risultato è una traccia molto energica degli anni '80 che amiamo entrambi!

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione del disco?
Dopo aver fatto Hold Me To The Light lo scorso anno con Be No Rain, l'abbiamo invitato a collaborare di nuovo e abbiamo realizzato una traccia che amiamo, anche se in un modo completamente diverso rispetto al nostro precedente lavoro insieme. Abbiamo anche prodotto tre tracce con Brume, un giovane cantante francese che scrive e canta principalmente in inglese. La sua voce è speciale e funziona incredibilmente con la nostra musica. Adoriamo tutte e tre le tracce  con lui - Mirrors, Letters e Never Look Away- porta molte emozioni extra che aggiungono davvero qualcosa alla direzione dell'intero album. Poi ci sono due collaborazioni con Eli Hansom - 2 fratelli canadesi e la loro sorella - che portano un'atmosfera sognante in entrambe le tracce che abbiamo prodotto insieme. Abbiamo anche collaborato con Hi Levelz: siamo accomunati dall'amore per l'hip-hop della West Coast e lui ha apportato una grande atmosfera a Hope I'm Alone. Per la cronaca, questa è l'ultima traccia dell'album che abbiamo prodotto. L'abbiamo finito letteralmente un'ora prima della scadenza dell'album!

C’è qualcuno a cui vorreste dedicare questo album?
In memory of the world we lost. What we had. What we hope. What we’re eager to dream…\

NÒE, FAREI ANCHE UN FIGLIO

Come è nato Farei anche un figlio e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Mia madre a 31 anni partoriva me, seconda figlia. Mio fratello 4 anni prima. A volte ci ragiono su, e un figlio io lo vorrei anche fare, ma mi fermo a metà, tra paura e insicurezza. Oggi a trent'anni in molti ci troviamo precari: senza un lavoro, una casa, una città, senza il coraggio di costruire una famiglia. Anche uno degli istinti primordiali di una donna può essere condizionato e addirittura rifiutato razionalmente quando si pensa alla società d’oggi. Il mondo continua a correre troppo velocemente mentre noi, ancorati a rimpianti e desideri, abbiamo bisogno, forse, di un po' di lentezza. Ecco, questo brano rappresenta per me una maggiore consapevolezza di tutto questo, nella speranza di un miglioramento.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Lo descriverei come un progetto electro-pop, con influenze classiche e folk. È un progetto nato pensando al live, cercando il mezzo migliore per trasmettere energia a chi ascolta, non solo con la musica ma anche attraverso tutto il corpo. Per esempio, quando lavoravo al brano Farei anche un figlio ricercavo un sound energico che potesse esplodere in una danza per liberarci dai malesseri, come una vera taranta. Per questo nel videoclip ho voluto collaborare con il ballerino Simone Zambelli.

Nòe © Alessio Beato

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questa traccia? 
Il brano nasce da una session in studio, insieme ai ragazzi con i quali condivido il palco: Francesco Pomiero alle chitarre, Antonio Diotallevi al contrabbasso e al synth. In seguito abbiamo lavorato alla stesura della pre produzione con Rarde. La produzione finale, poi, è stata seguita da Fabio Gargiulo, produttore che ammiro da tanto tempo per la sua capacità di valorizzare l’artista senza snaturarlo. Fabio mi ha sempre portato fuori dalla mia comfort zone, facendomi notare i miei limiti ma dandomi allo stesso tempo la voglia e forza di superarli. Il brano è stato registrato nel suo studio, Yellow Rabbit di Milano, insieme a Massimo Sciannamea. Mix e mastering sono stati affidati a Sabino Cannone presso Morevox. L'ultimo pezzo del puzzle è stato Andrea Ponzoni e la pubblicazione con Freecom.

Qual è la storia della traccia? 
Ero seduta al pianoforte, improvvisando una melodia su tre accordi. La frase “Se avessi il coraggio, farei anche un figlio” uscì fuori dalle mie labbra in maniera naturale, impulsiva. Mi bloccai. Questa frase risuonò talmente forte che non riuscii più a continuare. Capii poi, che c'erano tante cose sotto a quella mancanza di coraggio. Questo pezzo ha suscitato in me tante immagini, ad esempio il velo nero, che riprendendo l'antico immaginario del lutto, simbolizza tutto ciò che perdiamo e rimpiangiamo. Volevo un'immagine che evocasse fortemente l'utero materno e gli istinti primordiali. Non è stato facile, ma quando quest'estate ho visitato le antiche Cisterne Romane di Fermo, ho capito subito che quello fosse il posto giusto per girare il videoclip. Il video comincia con Simone in posizione fetale, in procinto di nascere. Si muove poi nell’esplorazione di questo spazio umido, freddo e vuoto. Come un desiderio nascosto, inizialmente debole e incerto, cresce e mi viene a cercare. La sua danza sfocia intorno me, togliendo il velo delle mie paure. Mi abbraccia, ed io riesco finalmente a sentirlo.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare Farei anche un figlio? 
A tutte le persone che, come me, si sentono con il cuore in frattaglie. A chi ha rimpianti e non riesce più a danzare. La morte è un inizio, il resto una danza.

HENRIETTA SMITH-ROLLA AKA AFRODEUTSCHE, KAMALI

Come è nato Kamali e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Sono stato contattata dalla regista del film, Sasha Rainbow, tramite SoundCloud. Aveva ascoltato alcuni dei miei pezzi e mi ha chiesto se avessi mai realizzato prima una colonna sonora: da lì è iniziato tutto. Abbiamo iniziato a sentirci online e ci eravamo ripromesse di vederci, ma così non è stato. Quindi, la prima volta che ci siamo incontrate realmente è stato durante la cerimonia dei BAFTA! Non credevo che mi sarei mai aspettata di avere un lavoro nominato per un premio BAFTA, quindi è stata una sensazione strana, ma al contempo meravigliosa. Penso che sia la prima volta che sono davvero orgogliosa di un mio lavoro e penso che il riconoscimento ai BAFTA legittimi questo orgoglio. 

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
La musica era il mio modo di raccontare la storia di ogni personaggio e, ancor di più, le emozioni di ciascuno di essi: la madre, Sugathi, e ovviamente sua figlia Kamali. È stato un continuo confrontarsi con Sasha e il suo team. Ho iniziato con il voler creare una palette per Sugathi e Kamali, e insieme alla regista abbiamo deciso in quali scene avrei potuto raccontare quella storia. C'è un elemento di musica surf degli anni Sessanta, cosa che adoro, ma non necessariamente correlato alla storia di Sugathi o quella di Kamali. C'è anche una costante di assoli di piano: questo è il tipo di musica che Sasha aveva inizialmente sentito e che ci ha messo in contatto, ed è una introduzione agli archi, che è stato un modo ulteriore per creare l'atmosfera attorno a ciascuno dei personaggi.

Henrietta Smith-Rolla aka Afrodeutsche © Kasia Zacharko

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Darkness si è sviluppata su varie linee differenti. C'erano molte versioni diverse di quella traccia, perché inizialmente era un pezzo lungo che era stato improvvisato. Così ho dovuto realizzarne una versione più breve e modificarla per adattarla al film. Penso che sia stato il pezzo più commovente che avevo scritto per Sugathi, in cui stavo cercando di mostrare come doveva accettare il fatto di dover lasciare sua figlia. È stata una parte molto pesante del film, e così quella sessione di improvvisazione è stata piuttosto toccante: un'emozione di quelle forti davvero.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione del disco?
Ho collaborato con Sasha e il suo team, ma per quanto riguarda la musica e la produzione si tratta di un progetto solista.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Al mio amato padre. È a lui che dedico questo album.

INNER CITY, WE ALL MOVE TOGETHER

Come è nato We all move together, e cosa significa per voi?
Quest'album per noi significa persone che si uniscono: sia nel dancefloor, sia politicamente. Un gruppo di persone che diventa un tutt'uno al fine di fare qualcosa di positivo. Vogliamo riportare la positività di Inner City alla gente: e questo album arriva nel momento perfetto, proprio quando ce n'è più bisogno.

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo progetto?
È un sound per tutti i colori e tutte le etnie. È musica nobile, edificante, e che fa ballare le persone: è musica che tocca l'anima.

Inner City

Scott Sprague

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
We All Move Together con Idris Elba - grazie al modo in cui è nata: si è evoluta organicamente. Avevo già in testa di voler fare una traccia con Idris dopo averlo visto suonare Big Fun al Coachella in un videoclip - e mia moglie continuava a ripetermi che avrei dovuto lavorare con lui: credo perché le piacesse! Ma poi è maturata dentro di me l'idea di lavorare davvero insieme, ed è successo qualcosa di unico. Idris è venuto apposta dal Regno Unito a Detroit, per registrare nel mio studio in casa. È stata davvero una collaborazione molto familiare e intima, per così dire.

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione del disco?
Innanzitutto Idris Elba, come già sapete. La nostra cantante principale, Steffanie, che è stata in tour con noi, mentre la guest singer è ZebrA OctobrA che una volta era la mia insegnante di yoga! È andata così: un giorno ha annunciato che se ne sarebbe andata, quindi mi sono segnato il suo profilo Instagram e ho visto che era una cantautrice, cosa di cui non avevo assolutamente idea. Mi piaceva la sua voce, quindi le ho chiesto se le sarebbe piaciuto essere coinvolta nell'album ed ecco fatto! Tra l'altro, ha anche scritto una delle tracce chiamata Soundwavez, quindi sì: è stata una collaborazione fantastica.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
La vorrei dedicare al mondo: We All Move Together. 

PINGUINI TATTICI NUCLEARI, AHIA!

Come è nato Ahia! e cosa rappresenta per voi e per il vostro percorso artistico? 
(Riccardo Zanotti) Ahia! nasce da un periodo in cui eravamo costretti a casa: guardavamo serie e leggevamo libri. E l'unica cosa che ci poteva salvare era la creatività. Avremmo dovuto fare un tour, e quella era una parentesi della nostra vita che da musicisti non ci aspettavamo, ma abbiamo cercato di ricavarne il meglio possibile.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
È stata una piacevole sorpresa anche per noi. Sono canzoni che sono state concepite anni addietro ma sono state modificate e gli è stata data una vera e propria vita durante il periodo di lockdown. Ahia! è stato come un figlio non pianificato, che sa comunque darti tanta gioia. E soprattutto è stata una ancora di salvezza, che ci ha permesso di non adagiarci in un momento in cui sarebbe stato più semplice mollare tutto.

Pinguini Tattici Nucleari © Mattia Guolo

Quale traccia ha una bella storia da raccontare?
In ogni canzone che ho scritto, a volte il vissuto dietro è il mio, altre volte è di qualcuno che ho osservato.Per esempio Bohémien, parla di una convivenza a Milano, e descrive quel momento di euforia di quando si va a vivere insieme a una persona, in cui tutto sembra incredibile e fantastico. È dedicata a mia cugina e al suo ex ragazzo: ricordo che l'ho scritta in quel periodo in cui stavano insieme.

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione dell'EP? 
Abbiamo collaborato con Sony per quello che riguarda marketing produzione, idea concetti e grafiche. Dal punto di vista musicale abbiamo collaborato a stretto contatto con due produttori: Federico Ferraguzzo ed Enrico Brun. Siamo andati ogni giorno all'RCA di Milano, lo studio di Sony, e giorno dopo giorno abbiamo rimescolato le carte, curato l'arrangiamento e fatto esperimenti dal punto di vista sonoro che non avevamo mai fatto prima: e il merito di questo va soprattutto a loro due.

C'è qualcuno a cui vorresti dedicare Ahia!? 
Tutte le canzoni hanno storie diverse dietro e sono dedicate a persone diverse. Come progetto globale, c'è una persona a cui lo dedicherei, ma non posso dire a chi.

CHELOU, WAYWARD

Come è nata Wayward, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Spesso quando scrivo posso perdermi nella produzione di una canzone, ma Wayward era una di quelle canzoni di cui avevo bisogno solo della mia chitarra e dell'ambiente giusto. A volte la cosa più semplice può diventare la più potente e sento davvero che Wayward fosse una di quelle canzoni che avevano un senso nella sua forma più essenziale. Per me la pista è un'esplorazione della speranza e della pace garantite dalla semplicità e dalla bellezza che si possono trovare nella natura, un messaggio a se stessi per lasciar andare tutte le stupidaggini della vita e cavalcare quell'onda impressionante al massimo. 

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
Real, il mio ultimo LP, è per me una raccolta di tutti gli stili e i generi che avevo toccato nei dischi precedenti. È stata una progressione verso un formato live band, molto più sgangherato, capace di creare un'eccitazione e un'energia sonora che non avevo raggiunto prima: stavo ascoltando molto gli Smashing Pumpkins e i primi lavori di PJ Harvey all'epoca. Come per gran parte della mia scrittura, è un riflesso personale delle emozioni e delle esperienze che ho avuto durante il processo di scrittura.

Chelou © Hanifah Mohammed

Qual è la storia della traccia?
Wayward è stata scritta mentre vivevo in una capanna in Galles, influenzato dalla natura che mi circondava. Canzoni come Wayward e Whitewalls sono state una reazione diretta alla mia esperienza di surf nel freddo Oceano Atlantico durante l'inverno. La canzone, nella sua forma grezza, ha poi viaggiato con me a LA dove, per ironia della sorte, il duo di DJ Wayward, miei buoni amici, l'hanno ascoltata e se ne sono innamorati. All'epoca eravamo spesso con la leggenda funkadelic Amp Fiddler, che ha dato il suo contributo con un ipnotizzante assolo di piano. È un progetto veramente collaborativo, che inghiotte l'energia di tutte le persone e dei luoghi in cui è stata creata la canzone.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di Wayward? 
Come accennavo prima, sono molti i musicisti e produttori che hanno collaborato con me per questa traccia. Una volta tornato da Los Angeles, è finito tra le mani di mia sorella di 13 anni che, come in molti dei miei dischi precedenti, ha aggiunto i vocals. Dopodiché è intervenuto l'amico e produttore Subculture, che ha aggiunto i tocchi finali di mixaggio. Come sempre era nostra intenzione creare un bellissimo video animato per questa canzone e chi meglio del fantastico Ricardo Cavolo, le cui illustrazioni si adattano perfettamente alla risonanza astratta ed emotiva della canzone. Insieme all'animatore berlinese Cheng-Hsu Chung, ha creato un capolavoro di colore ed emozioni. Amo lasciare il mio lavoro nelle mani di artisti di talento che solo sentendo le parole della canzone creano nuovi mondi e rappresentazioni visive del significato dietro la musica.

C'è qualcuno a cui vorresti dedicare Wayward? 
La canzone è dedicata a tutti coloro che hanno sentito il peso del mondo sulle proprie spalle, e che hanno bisogno che gli si ricordi che esistono strade più semplici che tutti possiamo percorrere: strade che portano alla calma e alla felicità. Quindi, come dice la canzone: have another drink on me and let the good times flow.

FULMINACCI, UN FATTO TUO PERSONALE

Come è nata Un fatto tuo personale, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Il pezzo esiste perché ho bisogno di parlare del pianeta in cui vivo e di chi lo abita. Penso che sia l’argomento più affascinante di tutti. Si tratta del secondo singolo che anticipa l’uscita del mio secondo disco, e penso di essere cresciuto molto rispetto al periodo in cui scrivevo le prime canzoni. Un fatto tuo personale è il contrario del mio singolo precedente Canguro, che è un pezzo composto con la pancia. In questo caso ho scritto un testo in modo razionale, correndo anche il rischio di sacrificare l’aspetto poetico che è parte integrante della musica. L’uscita di questo brano rappresenta un momento importante per la mia vita, a prescindere dal percorso artistico, sono felice di aver messo per iscritto alcune riflessioni.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
La canzone è nata un paio d’anni fa per sperimentare un tipo di scrittura diversa da quello che faccio di solito. Avevo fatto una base di matrice hip hop old school e ci avevo scritto delle strofe sopra. Dopo un anno è nato un ritornello, e dopo una serie di riflessioni ho cercato di dare al pezzo una struttura e una sorta di stile, cercando di recuperare la presenza della chitarra acustica ed è uscito fuori qualcosa di molto strano, ho cambiato tutti gli accordi, era tutta un’altra cosa, ma non mi convinceva del tutto. Fondamentale è stato l’incontro con Frenetik e Orang3, grazie ai quali il pezzo ha finalmente trovato la sua identità.

Fulminacci © Sara Pellegrino 

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione della traccia? 
La produzione del brano è di Frenetik & Orang3, due nomi che non hanno bisogno di presentazioni. Appena sono entrato in studio a Roma mi hanno dolcemente trascinato nel loro mondo, fatto di passione e vibrazioni positive. È stata un’esperienza importante, che ha sicuramente influenzato il mio modo di pensare e quindi di scrivere. Tutte le decisioni tecniche sono state prese sulla base dell’istinto di chi ama la musica e la sa fare. La registrazione delle voci sulle strofe è stata la parte più emozionante, perché mi hanno aiutato a mettere a fuoco l’intenzione melodica, che è la cosa più difficile del mondo in un brano del genere.

Qual è la storia della traccia?
Non pensavo che sarei mai riuscito a pronunciare la frase “è una storia lunga” ma in questo caso è proprio vero. Negli ultimi due anni la canzone ha avuto due o tre forme differenti, e subito una serie di cambiamenti stilistici e compositivi radicali. Posso dire lo stesso per il testo perché avevo voglia di dire un sacco di cose e non c’era spazio. Ogni volta che leggevo un articolo o vedevo un film mi veniva voglia di aggiungere un’intera strofa. Ho permesso alle persone e a tutte le suggestioni di influenzarmi e una sera d’estate, guardando Comizi d’amore di Pasolini, ho messo insieme i tasselli e tutto sembrava finalmente avere senso. Perché al liceo nessuno mi ha detto che esisteva quel film? Spero sia colpa mia che in quel momento ero distratto.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare Un fatto tuo personale?
Dedico Un fatto tuo personale a tutte le persone che ogni giorno mi spiegano quello che non capisco.
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LOUS AND THE YAKUZA, GORE

Come è nato Gore, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Gore è un album autobiografico, è stata la mia vita negli ultimi anni. È sia il mio primo album, sia una parte sincera di me, quindi per me significa il mondo. 
Gore è stato inizialmente una raccolta di canzoni che ho scritto negli ultimi anni, ma non sarebbe l'album che è oggi senza i miei produttori, Mems e Ponko, e ovviamente l'incontro con El Guincho. Ho sentito parlare per la prima volta di Pablo - El Guincho - con la sua traccia Bombay, ma quello che mi ha veramente colpito era il suo lavoro in Malamente di Rosalia. Ricordo la prima volta che ascoltavo il brano e pensavo: "Wow, questo è esattamente il tipo di suono che sto cercando". Gli ho inviato direttamente una selezione di canzoni, e lui ha risposto velocemente dicendo che voleva lavorare sul mio intero album. Ci siamo incontrati nel suo studio a Barcellona e siamo subito stati connessi. Questo ha dato alla luce Gore. Anche Pablo ha avuto una grande influenza sul mio percorso artistico: ha visto il potenziale di quelle canzoni e mi ha aiutato a strutturare le tante direzioni artistiche che avevo in mente.
Per quanto riguarda il nome, Gore è uno dei sottogeneri di film horror. Sono quei tipi di film che sono così violenti, brutali e sanguinolenti da diventare divertenti per quanto sono assurdi. E penso che a un certo punto la mia vita personale era così difficile e hardcore, tanto da essere diventata assurda. E l'assurdo, può avere un aspetto divertente. La vita a volte può essere molto scura, e questo album è una testimonianza della mia forza.

Lous © Manuel Obadia Wills

Quale traccia ha una bella storia da raccontare?
Tout est gore ha una storia molto divertente. Nessuna traccia nell'album è stata realizzata in questo modo, questa è l'unica che ha seguito quel processo. Di solito inizio sempre con i testi, scrivo la prima riga, per passare poi alla composizione, al pianoforte o alla chitarra. Dato che voglio dire qualcosa, per me il messaggio è troppo importante, ed è impossibile farlo in altro modo. Questa è l'unica traccia del mio album in cui l'ho invece fatto nell'altro modo. Pablo, El Guincho, stava realizzando dei loop e gli ho detto: "Fammi ascoltare un po 'di roba". Mi ha fatto ascoltare diversi loop che aveva appena creato, inclusa la melodia di Tout est gore. Sono andata fuori di testa: “Wooooow”. E ho scritto i testi sulla melodia, cosa che non mi era mai successa. 
Ho avuto un attacco di cuore quando l'ho ascoltato per la prima volta. Davvero, non è uno scherzo: quella traccia era così incredibile che non riuscivo a respirare e mi sono sentita un po 'male. Ecco come è nata Tout est gore: ha un nome appropriato.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album? 
Nel mio album non ci sono featuring, ma ho collaborato con i miei due amati produttori Ponko e Mems. E naturalmente, El Guincho.  Abbiamo pubblicato una traccia con il rapper belga Hamza quest'estate che non fa parte dell'album: volevo che fosse una specie di regalo estivo per i miei fan. Ho anche collaborato con Damso su una traccia nel ultimo album QALF. La traccia si chiama Coeur en miette e ha questo tipo di strana atmosfera rock; il che è stato sorprendente all'inizio, ma l'ho subito amata!

KITO JEMPERE, YET ANOTHER KITO JEMPERE ALBUM

Come è nato Yet Another Kito Jempere Album, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Mi ci sono voluti circa otto anni per mettere insieme questo album, se penso a quando ho iniziato a lavorare su alcune delle tracce. Per me si tratta di un lavoro molto ambizioso, e allo stesso tempo corrisponde a quando mi sono detto: “Ora dovresti fare quello che sai fare meglio: connettere le persone”. Nei miei lavori precedenti ho sperimentato molto, provando a suonare molti strumenti e così via; in questo caso invece, la mia referenza principale è stato il mio album del 2014, Object. 

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
Questo album è praticamente tutto ciò di cui ho bisogno nella musica. Quando stavo facendo l'album principalmente era per mio gusto personale: stavo ascoltando il processo dalla demo al materiale finito in macchina, a casa e ovunque. Lo ascolto ancora molto, dato che l'ho realizzato come un album che voglio ascoltare ogni giorno. Ho cercato di raccogliere tutto ciò che amo nella musica e tutto ciò che forma il mio gusto musicale fin dall'infanzia. Quindi ho fatto un mash-up spaziando dall'IDM al jazz , al punk, inteso come stato d'animo, alla house e a ovviamente al pop. Direi che questo è un album pop che non raggiungerà mai lo status di pop. Direi che è musica pop per i reietti.

Kito Jempere © Anastasia Jilina

Quale traccia ha una bella storia da raccontare?
Ogni traccia ha un bel retroscena. Come coi mattoncini Lego, ognuna è stata costruita da piccoli pezzi per mesi e anni.  Max degli Hard Ton, il mio duo italiano preferito, canta in una traccia chiamata Your Ghost In Me. Stavo già lavorando alle melodie synth di questa traccia dal 2015, ma quando Mauro l'ha scelta e quando Max ha registrato la sua voce per la melodia cantando in una strumentale un po‘ fuori tempo, è diventata una canzone straziante: ed è quando la musica elettronica diventata veramente musica LIVE. Questo è ciò che amo. Il tempo e il momento cambia come vanno le cose: ecco come è nata questa traccia. In più ci ho messo la registrazione sul campo che Ruf Dug ha fatto per me a Ibiza e la melodia è diventata davvero un tutt’uno. Provare per credere.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album? 
In questo album c'è un lungo elenco di collaborazioni: Jimi Tenor dalla Finlandia, i locals New Composers. E poi Rich Thair di Red Snapper con sede a Londra, Jonny Rock con sede a Londra, Lipelis con sede a Mosca, Hrdvsion dal Regno Unito, Minako Sasjima dal Giappone ora a Berlino, i miei amici amici Noteless e Lovvlovver, la leggenda austriaca Wolfram, la band finlandese Maajo, Gadzhi, Cedric Gasaida, Juravlove di San Pietroburgo, la leggenda moscovita Mujuice, Ruf Dug di Manchester, il duo italiano Hard Ton e la diva moscovita Miriam Sekhon. Se racconto la storia di ognuno, mi ci vorrebbero dieci pagine: meglio di no.

C'è qualcuno a cui dedicheresti l'album? 
Voglio dedicare questo album ad amici e parenti, le persone senza le quali non potrei farcela. Solo, e unicamente con loro e per loro: grazie!

DJ HELL, HOUSE MUSIC BOX (PAST PRESENT NO FUTURE)

Come è nato House Music Box (Past Present No Future), e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
La musica house è stata originariamente creata all'interno della comunità black della nightlife gay di Chicago e New York. Nella mia mente sono tornato a questi primi giorni e ho creato qualcosa che si adattasse a quella zona e, si spera, rimanga nel tempo.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
È musica per ballare, perdere il controllo e dimenticare tutti i problemi. Evasione, inclusione e tolleranza sono le parole chiave del mio mondo musicale.

DJ Hell © Stacie Ant

Quale traccia ha una bella storia da raccontare?
Tutte le tracce dell'album rappresentano il mio DNA e la mia vita di DJ, produttore e musicista, nonché proprietario di un'etichetta. La maggiori influenze sono quelle di Ron Hardy e Lil Louis di Chicago.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album? 
L'album è stato prodotto in diverse studi e in varie città. Da New York a Berlino, passando per Monaco e Vienna. Tutte le tracce sono scritte e prodotte da me, DJ Hell. Per il concept dell'album non c'è stato bisogno di realizzare nessuna collaborazione: tutte le voci sono campioni o programmi vocali di Google. I visual digitali sono realizzati da Stacie Ant, un'artista canadese con sede a Berlino. Stacie è specializzata in realtà virtuale e in produzioni video e avatar. L'arte è eccezionale e altamente innovativa, sia nel campo del sesso futuro, sia per quanto riguarda le future esibizioni dei DJ. L'artwork fisico dell'album è stato realizzato invece dall'artista concettuale Jonathan Meese, pittore acclamato dalla critica.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare il disco? 
Lo dedico a Lil Louis. 

FEDERICO MECOZZI, KINETIC

Come è nata Kinetic, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Kinetic vuole descrivere il generarsi e il diffondersi della pura energia fisica che nasce dal suono e si trasferisce nel nostro corpo, attraversandolo con una potenza incalcolabile, superiore alla nostra comprensione. È l’energia della musica, che è in grado di scuoterci in modo violento, irrazionale, facendoci ballare, o a volte immobilizzandoci. Facendoci ridere o piangere, innamorare, portandoci indietro nel tempo o altrove nello spazio. Per queste ragioni è un brano al quale mi sento particolarmente legato, quasi un intimo manifesto poetico, poiché rappresentativo di questo legame infrangibile - che è personale ma credo appartenga, in forme e modi diversi, a tutti - con tutto ciò che è suono, vibrazione, musica. Ma anche con i rumori più disturbanti, che a volte possono scuotere e dare sensazioni musicali inaspettate. Non a caso questo brano è quasi sempre stato l’introduzione dei miei concerti: quasi come un rito propiziatorio che collega tutti, musicisti e pubblico, in un unico circuito elettrico.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
Kinetic è la sesta traccia mio primo album Awakening, uscito per Warner Music Italy nel 2019. È un progetto che ritengo in realtà difficile da collocare categoricamente nella musica classica o nel pop, nell’elettronica o nella world music. Proprio perché è una continua contaminazione di questi e altri mondi, che mi hanno formato e segnato negli anni, e che vogliono coesistere in una chiave molto personale e priva di troppi schemi, basata principalmente su quella ricerca di immediatezza emotiva e corporea che Kinetic in primis simboleggia.

Federico Mecozzi © Ivan Tiraferri

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di Kinetic? 
Ho realizzato Kinetic insieme a Cristian Bonato, produttore artistico del mio intero progetto musicale, coinvolgendo anche i musicisti che da tempo fanno parte del mio ensemble dal vivo. Il videoclip, girato e diretto dal regista Daniele Quadrelli, è essenziale e verte proprio sullo svilupparsi di questa energia cinetica, che diventa anche energia luminosa.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare questa traccia? 
Dedico Kinetic veramente a tutti. In questo momento storico in cui c’è un grande bisogno di energia - e in cui anche la musica sta soffrendo e faticando ed esprimersi - come auspicio che possiamo tutti ritornare a vibrare, connessi dalla quotidianità che ora ci manca. Ma anche da cose più grandi come l’arte.

ELA MINUS, ACTS OF REBELLION

Come è nato Acts of Rebellion, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Acts of Rebellion è stato creato, scritto, prodotto e registrato integralmente da me, nel mio appartamento a Brooklyn. Significa molto per me: è una sorta di inizio, di primo passo. Ho imparato a conoscermi meglio durante il processo creativo, in cui ho messo tutta me stessa. E questo, mentre produci arte, è il massimo a cui puoi aspirare. Come se stessi crescendo all'interno della mia propria pelle. Nonostante abbia fatto musica per tutta la vita, penso che questo sia davvero il primo passo di un nuovo percorso artistico come Ela Minus: un percorso che voglio continuare.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
Direi che è musica elettronica, ma con una struttura pop. Io faccio musica live, anche se a differenza della maggior parte degli artisti elettronici non uso un computer, ma solo strumenti analogici. Così come Acts of Rebellion che è musica live, nel senso che è viva e umana.

Ela Minus © Juan Ortiz Arenas

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare? 
Non direi che è una storia bella, ma la prima traccia dell'album si chiama N19 5NF, perché è il codice postale dell'ospedale a Londra dove sono stata ricoverata e ho rischiato davvero la vita. Proprio il giorno che ho finito il mix dell'album, ho infatti avuto un incidente e ho passato due giorni priva di sensi. Penso sia un segnale forte per me, come una seconda possibilità. 

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questo album? 
Ho collaborato solo con due persone per realizzare Acts of Rebellion. Innanzitutto la mixing engineer: è una italiana fantastica e si chiama Marta Salogni, in futuro voglio sicuramente continuare a lavorare con lei. L'altro è Helado Negro, un musicista di New York che canta in Close, l'ultima traccia dell'album.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare Acts of Rebellion? 
Lo voglio dedicare ai miei genitori e al mio amico e manager Philippe: senza di loro non so dove sarei. E poi voglio dedicarlo a tutti coloro che lo ascolteranno. Non vi conosco, non so quale sia la vostra faccia, ma vi giuro dal profondo del cuore che ho fatto questa musica per voi.

RACHEL LYN, OH DAYDREAM

Come è nato Oh Daydream, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
Il più delle volte immagino scenari come scene di film, rappresentazioni teatrali e suoni per spazi unici. Uso anche immagini e oggetti per creare. Registro i vocals in bagno, emetto suoni con la mia voce nel lavandino e tutti i piccoli rumori di sottofondo. Ho fatto anche registrazioni sul campo in esterna... Combinando tutto questo con il mio Modular in studio, ho potuto raccontare storie. La mia nuova etichetta e il mio album sono incentrati sul collegamento con il mio bambino interiore e sulla materializzazione dell'immaginazione. Avevo davvero bisogno di una piattaforma per i miei pensieri. Quindi creare uno spazio in cui io possa essere allo stesso tempo giocosa, espressiva e ingenua nei confronti dell'ambiente circostante è davvero entusiasmante per il mio futuro da artista.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest’ultimo progetto? 
È un album d'ascolto. È concettuale, pazzo, trippy, intimo, visivo, fai-da-te, organico e analogico. Alcune persone mi hanno detto che è un po' inquietante e strano, cosa che mi è piaciuta abbastanza. 

Rachel Lyn © David Paige

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questo album? 
Per le immagini di copertina e i videoclip (come Fairy World) ho collaborato con il fotografo e artista parigino David Paige, che per l'occasione è venuto a Berlino a girare per alcuni giorni. Abbiamo avuto una pessima fortuna con il tempo atmosferico: appena c'era un po 'di sole correvamo fuori e giravamo il video in fretta. Sono molto contenta del legame artistico che si è creato con lui, perché è diventato una parte molto importante della mia etichetta e delle storie che voglio raccontare: mi aiuta a renderle visivamente. Quest'anno abbiamo anche collaborato con alcuni brand di moda, e stiamo lavorando a una nuova installazione sonora e visiva da presentare nel prossimo futuro.

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare? 
You e Make Me Feel Inside La La sono state realizzate durante la stessa sessione di registrazione. Stavo facendo un warm up in bagno con i vocals, ho messo a punto il registratore e ho cantato una canzone che avevo appena scritto, che parlava di come qualcuno mi stava facendo sentire. Avevo scartato la registrazione originale, fino a quando non l'ho ritrovata un minuto prima di realizzare il master dell'album, e alla tracklist ho aggiunto You. So bene di non essere la migliore cantante al mondo. Volevo solo mostrare l'imperfezione sin dalle sue origini. A volte conta più l'idea rispetto all'essere perfetti.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare Oh Daydream? 
Non sono sicura se dovrei dedicare qualcosa a me stessa, ma il processo di creazione dell'album è stato davvero solitario e personale. Come se fossi uscita da qualcosa, guarito una parte di me e accettato la stranezza.

NICOLA SICILIANO FT. KETAMA126, RESTA CU ME

Come è nata Resta Cu Me, e cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico? 
(Nicola Siciliano) Resta Cu Me è nata durante il lockdown: ero in fissa con lo sperimentare sonorità diverse dal solito. È una della mie canzoni preferite dell’album; il testo è davvero personale, parla delle relazioni perse. Il mio percorso artistico non è influenzato solo da questo pezzo ma da tutto il disco dalla quale è stato estratto, Napoli 51, un tassello fondamentale per me.

Dal punto di vista musicale come descrivereste quest’ultimo progetto? 
Napoli 51 lo definirei futuristico. Fin dal titolo siamo andati a cercare queste atmosfere: infatti, lo si può intendere sia come un collegamento all’Area 51 sia come Napoli nel 2051. Nella parte grafica del disco abbiamo voluto intendere questa dimensione SCI-FI, cercando di svilupparla al massimo. 

Nicola Siciliano © Lorenzo Iannuzzi

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questa traccia? 
Questo brano, come ho anticipato, nasce durante il lockdown. Dopo aver lavorato alle produzioni insieme a Brun, ho inviato il pezzo a Ketama perché non riuscivo a vedere nessun altro sulla traccia, penso che le sue linee melodiche fossero perfette per il pezzo. Lui mi ha dato subito un riscontro positivo e nel giro di un paio di giorni mi ha inviato la sua strofa.

Qual è la storia della traccia? 
Parla di un amore finito male e di tutti quei rapporti che abbiamo perso, che ci fanno soffrire. Durante il periodo in cui l’ho scritta ero giù, e da sempre la musica mi aiuta a sfogarmi nelle situazioni difficili.

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare Resta Cu Me? 
Può sembrare banale, ma la dedico a tutti i miei fan, perché davvero senza di loro non sarei qua.

IL QUADRO DI TROISI, IL QUADRO DI TROISI

Come è nato Il Quadro di Troisi, e cosa rappresenta per voi e per il vostro percorso artistico? 
(Donato Dozzy) È nato dopo una piacevole chiacchierata. Andrea, che vedevo per la seconda volta, mi ha guardato dicendo: "guarda che io sono brava a cantare eh”. E io ho letteralmente percepito che non stava mentendo. In quel momento è nato Il Quadro di Troisi. Questo disco per me arriva come “ciliegina sulla torta”, dopo un percorso di sperimentazione che non si è mai fermato, in tre decenni. 
(Andrea Noce aka Eva Geist) Una grande prova, sotto il punto di vista artistico, professionale e personale. Credo che si sia attivato un processo di crescita, di autocritica e di guarigione attraverso questa collaborazione.

Dal punto di vista musicale come descrivereste quest’ultimo progetto? 
(Donato) Sono una persona molto curiosa e in musica sono passato fra mille generi, e ora tutto ciò è confluito in un'unica creatura. Questo disco, fra le altre cose, si collega e paga tributo ad un periodo per noi rilevante, fra il 1979 e il 1985 circa. 
(Andrea) Il Quadro di Troisi è un progetto pop complesso che racchiude diverse influenze provenienti dalla musica strettamente elettronica e da un genere più mainstream. Oltre ad essere complesso dal punto di vista tecnico e logistico - molto lavoro, molti contributi, molti anni - lo è anche dal punto di vista dell’immaginario. Cinema, televisione, commedia e intellettualità nostrane sono tutte influenze altrettanto importanti.

Il quadro di Troisi © Lara Cetti

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione di questo album? 
(Donato) In questo disco ho lavorato fianco a fianco con Pietro Micioni, mio fraterno amico - insieme al fratello Paolo - e mentore. Poi ci sono stati pregevoli contributi di Aimee Portioli, Alex Alessandroni Jr, Massimo Aureli, Daniele Di Gregorio, Fiona Brice, Tommaso Cappellato, Giusy Noce, Emanuele Cefalì e Andrea Lombardini. Infine menzione a parte per Stefano Di Trapani che ha scritto testi e musiche del brano L’Ipotesi.

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare? 
(Donato) Il Giudizio: durante le fasi di registrazione ho approfittato di un periodo di assenza di Andrea e mi sono avventurato nel canto per la prima volta, dopo i tempi della scuola, registrandole un sottile coro in una parte del brano. Piccolo e quasi invisibile, e lei ovviamente se n’è accorta. Ero imbarazzato ma mi pare le sia piaciuto.

C'è qualcuno a cui volete dedicare Il quadro di Troisi? 
(Donato) A mia Zia Magda. Se fosse ancora viva ne avrebbe adorato i testi, e probabilmente anche la musica. 
(Andrea) Io l’ho dedicato a mia madre, di cui porto in arte le iniziali. Perché lei è dentro di me e ha fatto del suo meglio per supportarmi.

BONOBO & TOTALLY ENORMOUS EXTINCT DINOSAURS, HEARTBREAK

Come è nato Heartbreak, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
(Totally Enormous Extinct Dinosaurs) I due brani che compongono l'EP sono stati ultimati durante il periodo di lockdown, ma fortunatamente la maggior parte del lavoro è stato realizzato quando io e Bonobo potevamo essere fisicamente nella stessa stanza: abbiamo fatto tramite e-mail solo gli ultimi aggiustamenti. In realtà realizzare un disco del genere si è rivelato divertente e più facile di come è normalmente. Non c'era spazio per perdersi in piccoli dettagli e preoccuparsi delle cose: l'abbiamo fatto e basta. Posso affermare con sicurezza che è stato un bel processo per entrambi. Solitamente ci metto troppo tempo a finire i miei dischi da solista: questo lavoro invece ha avuto un buon ritmo. Non ho idea di cosa significhi per la mia traiettoria artistica in senso tradizionale. La mia ambizione come artista ora come ora è quella di essere attivo, e quello che succede alla mia carriera non è al centro dei miei pensieri. Certamente la vita è migliore se la vivi con questa mentalità!

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Può sembrare paradossale fare un disco di musica da club ora, ma la verità è che la maggior parte dei produttori dance della mia generazione ascoltava musica da club molto prima di frequentare i locali. Per molti artisti la distanza dal club è stata una cosa stimolante: ci sono cose più belle da cui trarre aspirazione, rispetto all'odore di birra stantia. Per quanto riguarda Heartbreak, penso che entrambe le tracce offrano qualcosa di diverso da ciò che io e Bonobo realizziamo individualmente; non in modo drastico ovviamente, ma è comunque un prodotto di due menti piuttosto che una. Musicalmente ci sembra di aver raggiunto una via di mezzo in quello che suoniamo entrambi quando mettiamo i dischi. Non che ci sia qualcosa di insolito in questo, ma entrambi siamo DJ molto versatili che potrebbero suonare disco, old school hardcore e house nello stesso set. 

Totally Enormous Extinct Dinosaurs © Grant Spanier

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questa traccia?
Io e Bonobo ci siamo scambiati vicendevolmente demo e idee per un periodo piuttosto lungo, e sia Heartbreak sia 6000ft sono tracce che provengono da quella interazione. Dopo alcuni pomeriggi di jamming insieme, sembrava che avessimo insieme qualcosa che valeva la pena pubblicare come singolo collaborativo, e abbiamo deciso di mettere insieme una seconda traccia, 6000ft, per accompagnarlo.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare Heartbreak?
A tutti i club.


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PAPIK FT. FRANCES ALINA, CARELESS

Come è nata Careless, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
(Nerio Poggi) È nata durante il lockdown e, come tutte le altre canzoni che ho scritto, di solito quando compongo non so cosa uscirà.  In questo caso è uscito un brano molto pop, sicuramente un po' diverso dalle cose fatte fino ad ora. Ho subito capito che la voce ideale era quella di Frances, soul e pop allo stesso tempo. Per Papik sicuramente una novità stilistica, senza però uscire dal seminato.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Non saprei descrivere e circoscrivere il progetto, ma il mio intento è sempre quello di creare un sentimento di relax e benessere in chi ascolta, non dico delle emozioni perché mi prenderei troppo sul serio. Un mio fan tempo fa mi disse che faccio "musica felice": ecco, questa è la definizione alla quale ambisco, specialmente di questi tempi! Il disco è pieno di situazioni musicali diverse, vocalità diverse: credo che questo sia stato anche il segreto del vol. 1, e ho voluto insistere sulla medesima via. Louis Armstrong disse che esistono solo due generi musicali: la musica buona e quella cattiva. Condivido.

Frances Alina

Qual è la storia della traccia?
Parla di una ragazza che, senza troppe aspettative ma con fiducia, si approccia ad una nuova storia dopo una grande delusione. Quando pensi che sia tutto nero ti accorgi che "le sorprese non finiscono mai" come dice il testo, tutto scorre e tutto cambia.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questa traccia?
Ho collaborato in gran parte con Peter De Girolamo, musicista di enorme talento, polistrumentista ormai in pianta stabile con Papik. Lui è molto più giovane di me e questo fa sì che ci sia uno scambio culturale musicale importante tra noi due, molto produttivo e divertente per entrambi. Alle chitarre Alfredo Bochicchio, chitarrista storico della band. Infine, ma molto importante, Ely Bruna che è l'autrice del testo. Collabora con me sin dal primo disco anche come cantante.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare Careless?
La dedico a tutti quelli che nella vita non credono ad una seconda possibilità, quelli che un po' si autocommiserano senza sapere che dietro l'angolo c'è altro per loro. Insomma la dedico a chi deve imparare a ri-volersi bene.

CARA, 99

Come è nato 99, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
99 è stato un viaggio senza confini che ha avuto inizio col mio primo brano pubblicato, Mi serve. Quando ho conosciuto il mio produttore D.whale siamo subito entrati in connessione, sia a livello umano sia a livello musicale. Abbiamo giocato con le sonorità e le parole fin da subito cercando di non porre mai limiti all’immaginazione. Dentro questo EP ogni brano è una sfumatura diversa di quello che sono e tutte quante sono collegate da un unico filo. Il viaggio di 99 è stato un flusso di coscienza spontaneo sempre in grado di stupire anche me in prima persona. Questo EP per me rappresenta il mio “volerci essere”, il mio grido sussurrato che prende vita tramite la mia musica. 99 è sicuramente un inizio, ma anche una linea tracciata da cui potermi reinventare ancora e ancora.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Penso che questo progetto sia musicalmente molto vario. Le ispirazioni che si porta dietro sono tra le più disparate. Ci sono delle sonorità internazionali in contrasto con un linguaggio a tratti più cantautorale. 99 è un mix di suoni e colori anche opposti tra loro e, proprio per le tante contaminazioni musicali di cui è ricco, credo che non sia collocabile in un genere.

Cara © Mattia Guolo

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Ogni brano del mio EP è anche un racconto, ma sicuramente è la traccia Tevere ad aver più il sapore di una storia vera e propria. Penso che le immagini presenti nella canzone riportino facilmente a uno scenario di una relazione finita e ai ricordi passati che questa si trascina dietro, come la sigaretta in due affacciati a un balcone e un bacio in quel bagno senza chiave. In Tevere mi racconto attraverso stati d’animo e immagini contrastanti. Mi trovo a cavallo tra la delusione di aver buttato via una cosa bella che avrei voluto continuare a vivere e la voglia di reagire dicendo a me stessa “non può finire così”. In questo brano parlo con malinconia di un vissuto che mi manca, ma che voglio anche lasciarmi alle spalle per guardare a quello che mi aspetta.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'EP?
99 è nato dopo l’incontro col mio produttore D.whale. Io e lui abbiamo iniziato a lavorare assieme in studio e collaborando, ci siamo ritrovati in mezzo a sonorità inaspettate che hanno dato il via al viaggio di 99. Alcuni brani hanno avuto origine in studio, a volte da una parola e a volte da una melodia. Altri, invece, sono nati nei momenti più disparati del nostro quotidiano. Io e Davide siamo sempre in contatto e, specialmente di notte, ci inviamo delle bozze e ogni tipo di idea che possa venirci in mente. Da quando ho iniziato questo percorso ho avuto modo di lavorare all’interno di un team con cui mi trovo davvero in sintonia e che è stato fondamentale per quello che è diventato il mio primo EP.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare 99?
Dedico 99 a chiunque vi si rispecchi, da una ragazza che vuole poter contare su sé stessa a un ragazzo che ricasca sempre negli stessi errori, ma ogni volta ci riprova ripartendo da zero. 99 è dedicato a chi vuole “esserci” e far sentire la propria voce, a chiunque non riesce a restare in silenzio.

IZI, RIOT

Come è nato Riot, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Riot è nato molto in freestyle. Si tratta di un vero e proprio album, ma è una raccolta di vari episodi, emozioni e colori. Mi sono sentito come il cappellaio matto, che sforna dal suo cappello diversi ambienti e mood. Ho iniziato a lavorare al disco prima dell'emergenza Covid, e l'ho ultimato durante questo periodo. E per realizzarlo ho viaggiato a Miami, Barcellona e Cannes: è stato un album un po' itinerante, da questo punto di vista.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Come ti ho detto, Riot è un album versatile, in cui coesistono molti universi e atmosfere diverse. Da quelle tristi e malinconiche, a quelle più festose e cazzare, passami il termine. Ci sono contenuti anche politici, in un mix di preghiere e di urla che mi venivano da dentro. Ci trovi dentro anche tantissimi featuring: non avevo mai fatto un album con tante collaborazioni prima d'ora, e ho voluto realizzarlo così per "sfogare" la mia volontà di essere direttore artistico, oltre che artista.

Izi © Mattia Guolo

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Parigi, che è un tributo a un brano omonimo del 1979 di Enzo Carella, un artista italiano che non conoscevo prima di ascoltare quel pezzo e ora mi piace tantissimo. Ero in studio a Miami ad ascoltarlo insieme a produttori da varie parti del mondo. Gli ho fatto sentire Parigi di Enzo Carella, insieme ad altri pezzi di De Andrè e Gaber, ed è piaciuto a tutti tantissimo. Ci siamo messi subito a lavorare su questa traccia, che è per me una sorta di schizzo, come quelli realizzati da Jackson Pollock.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album?
Se pensiamo anche alle produzioni, nessun pezzo di Riot è senza featuring: è un disco con davvero tanta gente dentro! Già nell'Intro c'è Dax, un rapper fortissimo canadese di origine nigeriana, molto narrativo. Al Pacino, prodotta da Sick Luke, è un rifacimento di Fischia il Vento in cui collaboro con IDK, un artista americano di origini londinesi. Matrix, realizzata dal mio produttore "fisso" David Ice, è invece insieme al rapper romano Nayt, un ragazzo che non le manda a dire e senza peli sulla lingua come me. Domani è invece un esperimento con Piccolo G, artista marchigiano che stimo molto, e Federica Abbate, una voce che io adoro dai tempi in cui ha collaborato insieme a Marracash. La traccia che più ha sollevato un polverone sui social è Miami Ladies, insieme a Guè Pequeno ed Elettra Lamborghini. La mia risposta a tutte le polemiche è: "fanculo al preguidizio". 
Flop è prodotta da Duffy, il beatmaker di Leon Faun con cui collaboro nella traccia, mentre Pazzo è opera di Leny Magoufakis, produttore belga di origine greca con cui ho lavorato a Cannes. Il featuring è di Fabri Fibra, che non ha bisogno di presentazioni. Foto è un pezzo molto ironico, in cui ho collaborato con Gemitaiz e Madman: alle produzioni Bijan Amir, del giro di OVO Sound di Drake. S8 K4SS4 è un'altra sorpresa: oltre a David Ice, ci sono le firme di Dargen Damico, pioniere della lirica italiana, e Benny Benassi, a cui ho scritto con il mio team durante l'emergenza Covid ed è stato entusiasta di collaborare. Pusher è realizzata da Sick Luke insieme a Guesan e Vaz Tè, due componenti della mia crew Wild Bandana. In Faya appaiono invece Maestro, un personaggio misterioso dalla voce assurda e Sav12, un emergente londinese. Infine Peligro, un featuring insieme a Disme, artista di cui sono amico da tanto tempo; di Parigi ti ho già parlato.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare Riot?
Lo dedico sia al sistema, sia a Dio, se esiste: gli mando un abbraccio, perché ho davvero bisogno di energia positiva da parte sua.

NOTHING BUT THIEVES, MORAL PANIC

Come è nato Moral Panic, e cosa significa per voi e per il vostro percorso artistico?
(Joe Langridge-Brown) Buona parte del disco è stato scritto prima della pandemia, ma è un disco che suona particolarmente attuale perché avevamo già visto certe cose, che nel corso del tempo sono progressivamente peggiorate. Il disco precedente, Broken Machine, lo avevamo scritto on the road: questa è la prima volta per noi in cui abbiamo passato così tanto tempo a casa e abbiamo potuto dedicarci all’album. Credo quindi sia anche questo il motivo per cui questo disco parla un po’ meno di noi e un po’ più di quello che ci circonda.

Dal punto di vista musicale come descrivereste quest'ultimo progetto? 
(Joe) Abbiamo già due album alle spalle e di volta in volta ci siamo spinti oltre i confini dei generi musicali. Adesso abbiamo un po’ più di esperienza, che ci consente di sperimentare non soltanto a livello di scrittura ma anche a livello di registrazione. Il disco precedente era più un disco nato come reazione al primo album, mentre Moral Panic è più un disco stand alone che, forte dell'esperienza che abbiamo alle spalle, rappresenta una sorta di nuovo inizio, un nuovo capitolo, in questo senso. 

Nothing But Thieves © Jack Bridgland

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
(Joe) Dipende dai punti di vista, sicuramente per noi è stata interessante Impossible: mentre scrivevamo questo pezzo a un certo punto non ne venivamo fuori, pensavamo addirittura di scartarla. Eravamo chiusi in una stanza tutto il giorno e non riuscivamo ad andare avanti: d’altro canto quando ascolti di continuo i tuoi pezzi a un certo punto ti serve prenderne un po’ le distanze. E allora Dom (Dominic Craik, ndr) ha preso la canzone, ha cambiato gli accordi ed è tornato da me il giorno dopo; ed effettivamente la traccia è cambiata, l’abbiamo percepita diversamente rispetto a prima. Il disco è un disco molto denso dal punto di vista dei testi, è un po’ pesante e cupo, e per noi è importante ci sia un brano così di apertura, di respiro, di positività come Impossible. È importante per noi ma anche per chi ascolta il disco, perché è un po’ il pezzo che ha cambiato l’album. Penso che se non ci fosse quel pezzo il disco risulterebbe più pesante.

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione dell'album?
(Conor Mason) Anche per questo album abbiamo lavorato con Mike Crossey. Broken Machine era stata un po’ una reazione al primo album, lui ha alzato un po’ l’asticella con noi, soprattutto perché si tratta di un produttore molto eclettico, dato che si occupa di pop moderno e di indie ma lavora anche con band che fanno musica più "pesante". Quando ha rifinito Broken Machine, ha fatto un lavoro strepitoso e per questo motivo abbiamo deciso di rivolgerci a lui anche per Moral Panic. Peraltro lui ha un ottimo sistema di filtraggio: noi arriviamo già con i demo dopo avere già lavorato un po’ ai pezzi: lì poi interviene Mike, che ha questa capacità di trovare la giusta misura e fare in modo che i pezzi funzionino. Anche se, va detto, ha utilizzato in buona parte i demo che avevamo fatto noi. 

C’è qualcuno a cui vorreste dedicare Moral Panic?
(Conor) È un disco che parla delle persone, quindi è difficile indicarne una in particolare a cui dedicarlo. 

ENSI, OGGI

Come è nato Oggi, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
L’EP nasce dalla voglia di mettersi in gioco costantemente facendo cose nuove. Dopo aver pubblicato due dischi importanti come V e Clash, in cui mi ero raccontato molto, avevo voglia di spaziare in altri campi. Oggi è la naturale conseguenza di quello che ho sempre fatto, non è un’operazione di re-branding o una versione 3.0 di me stesso: continuo comunque a fare quello che ho sempre fatto con la stessa attitudine ma con maggiore freschezza.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Oggi è parte di un progetto più grande, è la naturale e coerente evoluzione del mio percorso musicale. Mi sono divertito molto facendo cose che per chi mi ha scoperto da poco sono inedite e che per chi mi conosce già da qualche anno sono familiari, sia dal punto di vista dell’eterogeneità della scrittura che da quella delle sonorità.

Ensi © Andrea Barchi

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Credo che sia Non sei di qua. É un brano d’impatto, che ricorda il rap da club dei primi anni 2000, con sonorità super bounce, che potevano andare bene per i grandi impianti, ma con la tecnica e le rime taglienti che da sempre mi contraddistinguono. Il brano racconta la voglia di tornare a casa, di rivedere le esperienze che mi hanno portato fino a qui con un occhio differente, con uno sguardo al passato ma con una chiave inedita.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'EP?
Ho deciso di circondarmi di produttori di almeno una generazione successiva alla mia, proprio per la voglia di sperimentare e conoscere persone nuove che stanno facendo la differenza nel settore e che hanno le carte in regola per restare. Produttori come Andry The Hitmaker, Lazza per 333Mob, Strage, Chris Nolan, Kanesh e Gemitaiz, che è quello più vicino a me dal punto di vista anagrafico ma che come produttore è assolutamente inedito. Sono contento di tutte e sei le sonorità, sono tutti brani con un mondo musicale definito ma in cui riesco a essere personale e diverso allo stesso tempo, in ogni traccia. 

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare Oggi?
Non c’è una persona o un momento particolare a cui voglio dedicare l’EP, ma mi piace citare una rima contenuta in Specialist: “riportiamo l’attenzione sull’arte”. Questa è la mia missione, una netta presa di posizione in un momento di grande esposizione per questo genere musicale, in cui spesso ci si dimentica da dove si proviene e dove la mela cade lontano dall’albero. Vorrei fare in modo di riportarla dove deve stare, almeno secondo me.

MECNA, MENTRE NESSUNO GUARDA

Come è nato Mentre nessuno guarda, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Il progetto è nato subito dopo aver chiuso il tour di Neverland, il mio disco precedente realizzato insieme a Sick Luke. Mentre nessuno guarda è semplicemente un altro mio disco, in cui sono riuscito a fare le cose come volevo io: dalla musica alle collaborazioni, passando anche per la promozione. Abbiamo realizzato un cortometraggio, che era una idea che avevo in mente da un po'.  Anche con Richard, l'autore dell'artwork, volevo collaborare da tempo, quindi sono davvero soddisfatto per come sono andate le cose. 

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
È un album molto personale e intimo, come gli altri miei dischi, ma ci sono delle aperture. A livello sonoro, ci sono dei pezzi che fanno ballare, mantenendo però l'impronta introspettiva tipica delle cose che faccio io. 

Mecna © Christian Kondic

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Scusa, l'ultimo pezzo del disco, racconta delle storie, più che avere una storia da raccontare. È un brano in cui io mi sono immaginato di parlare a delle persone con cui mi sono imbattuto durante la mia vita: dai ragazzi con cui ho iniziato a fare rap quindici anni fa, alla mia famiglia passando per le mie ex. È un pezzo in cui chiedo scusa, ma dietro a ognuna di queste scuse si cela in realtà un grazie.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album?
A livello di produzioni mi sono affidato ai miei amici di sempre, Lvnar, Iamseife e Alessandro Cianci, che sono i producer con cui ho iniziato a definire il suono che mi piaceva, da Laska - il mio secondo album - fino ad ora. Rispetto alle precedenti esperienze con loro, questa è stata un po' diversa, perché a partire da Neverland con Sick Luke ho iniziato a essere un po' più presente nel momento della realizzazione delle strumentali. A livello di featuring ho chiamato invece artisti che penso che abbiano dei punti in comune con quello che è il mio mondo: alcuni anche molto giovani, ma tutti artisti che stimo e con cui volevo collaborare da un po'. 

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Ai tre produttori, i già citati Lvnar, Iamseife e Alessandro. Perché, anche se non ce lo diciamo mai, stiamo facendo delle cose davvero belle insieme. Quando si è amici a volte si dà tutto per scontato ma ci tengo molto a sottolineare il fatto che abbiamo iniziato un percorso insieme che continua ancora oggi: è una cosa di cui vado molto fiero.

BEABADOOBEE, FAKE IT FLOWERS

Come è nato Fake it flowers, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Ho scritto Fake It Flowers in gran parte nella mia stanza a casa dei miei, dove scrivo tutte le mie canzoni. Un po’ di idee mi erano venute mentre ero in tour, ma poi ho finito le canzoni in camera e le ho portate in studio. Per me ha un significato davvero speciale perché racconta una parte importante della mia vita: sono storie di vita che vengono dal cuore e messe in un unico album. Il percorso è stato questo: ho iniziato con la versione acustica a casa, e poi le canzoni si sono sviluppate aggiungendo più suoni, dalle chitarre elettriche alla band. Le canzoni sono più articolate, ma sono state scritte comunque nella mia camera da letto, vengono da lì.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? 
Ha un mood prettamente anni Novanta. Molto ‘ragazze rock and roll’. Canzoni arrabbiate, intense, tristi, accompagnate da chitarra e band al completo; ma anche canzoni più semplici di ispirazione folk, realizzate con la chitarra acustica.

Beabadoobee © Callum Harrison

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Sorry è una canzone difficile da cantare e a cui pensare. Parla di un amico molto stretto che è bloccato in una situazione difficile, e spero che possa uscirne.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album?
Ho collaborato con la mia band e con i miei produttori. Sono partita dalle mie canzoni nella loro versione più semplice, scritte da me, e le ho portate alla mia band - Louis, Eliana e Jacob - e ai miei produttori Pete e Joseph. Abbiamo costruito un sound con la band e con vari livelli di strumentazioni, persino con l’orchestra e gli strumenti a corda!

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Nella versione in vinile dell'album ho fatto incidere "Love You Elijah”. L'ho dedicato al mio fratellino più piccolo.

FERDINANDO ARNÒ, MOURI, PRECIOUS, CHE PECCATO

Come è nato Che peccato, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
(Ferdinando Arnò) Quest’estate sono tornato a Manduria, in Puglia, il paese dove sono nato e dove è nato Carlo Alberto aka Mouri, l'autore e la voce della canzone. Mi ha fatto moltissimo piacere poter collaborare con un artista locale e coinvolgere le più attente menti creative del paese per realizzare il videoclip che accompagna la canzone.

Dal punto di vista musicale come descriveresti quest'ultimo progetto? È un mash up di stili. Ho voluto creare una base musicale  lontana degli stereotipi del rap e dell'hip hop, ma che calzasse perfettamente il flow di Mouri. Un approccio un po' alla Kendrick Lamar... Il risultato, che mi soddisfa molto, è l'incontro tra sensibilità e attitudini musicali diverse.

Mouri

elena caraccio

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione di questo singolo? 
Oltre a me e a Mouri, in Che peccato è coinvolta Precious, la figura più rappresentativa della queer trans ballroom scene di New York. Mi piace moltissimo il suo modo di rappare, duro e diretto, figlio delle hip hop battle che vanno in scena nei club di Manhattan e Brooklyn. 

Qual è la storia del brano? 
Quel che mi è piaciuto fin dalla prima volta che Mouri me lo ha fatto ascoltare è la narrazione del disagio esistenziale e professionale dei giovani del Sud,  giovani di grande talento che raramente riescono a trovare occasioni per esprimere il loro potenziale. 

C'è qualcuno a cui vuoi dedicare Che peccato? 
Lo dedico a tutti i ragazzi del Sud, in particolare a tutti i ragazzi di Manduria e alla fantastica crew che ha collaborato alla realizzazione di un videoclip onirico e immaginifico, un Helzapoppin' moderno che ha consentito a molti dei miei sogni di diventare immagine.

THE NEIGHBOURHOOD, CHIP CHROME & THE MONO-TONES

Come è nato Chip Chrome & The Mono-Tones, e cosa significa per voi e per il vostro percorso artistico?
(Jesse Rutherford) Chip Chrome & The Mono-Tones sono un esempio diretto di crescita e di non aver paura di cambiare. Volevamo prendere il controllo della narrazione, quindi abbiamo usato la nostra creatività per farlo. Ora che sta accadendo e sta funzionando, mi sento come se non avessimo confini per ciò che potremo fare dopo.

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo vostro ultimo progetto?
La descriverei come una versione meno drammatica dei The Neighbourhood. Sebbene i testi siano ancora contraddistinti da una certa vulnerabilità, l'estetica e il tono della musica non sono più così cupi e oscuri. Ci stiamo divertendo a fare arte insieme e vogliamo intrattenere il nostro pubblico al massimo delle nostre capacità. Saremo impegnati in un tour mondiale nel 2021, che toccherà l’Italia l’1 dicembre, al Fabrique di Milano.

The Neighourhood © Haley Appell e Lauren Leekley

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Lost in Translation è stata una traccia divertente da realizzare. Il processo ha richiesto un po' di tempo, ma ne è valsa la pena. Ogni volta che stavamo lavorando a quella canzone aumentava l'energia nella stanza! Anche poterla suonare in tour per un po' l'anno scorso è stato davvero bello.

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione dell'album?
Abbiamo realizzato questo disco per lo più insieme (noi della band) e con il co-produttore Danny Parra. Anche altri amici hanno collaborato di tanto in tanto, aggiungendo un sottofondo vocale o qualche strumentale... si è trattato comunque di tutte relazioni organiche e reali.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
L'intero disco è per me una sorta di nota a me stesso, quindi immagino che lo dedicherei a me, Jesse! Creare il personaggio di Chip Chrome mi ha davvero aiutato a capirmi di più. I testi di queste canzoni sono lezioni che mi aiutano a crescere e imparare.

RANDOM, RITORNERAI 2

Come è nata Ritornerai 2, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Ritornerai 2 è nata un sabato sera davanti a due birre. Come spesso mi capita, nei momenti più inaspettati, quando sto facendo altro, mi viene in mente uno spunto, un’idea per scrivere una nuova canzone. In quel momento ero emotivamente predisposto a farlo e, nonostante stessi per uscire, mi sono chiuso in casa e ho iniziato a scrivere. Questo brano rappresenta un grande passo in avanti nel mio percorso, a livello musicale e personale. Nel 2018 ho scritto Ritornerai, in cui ho parlato per la prima volta d’amore e delle mie esperienze. In Ritornerai 2 torno anche io con una consapevolezza nuova e aggiungo un piccolo nuovo tassello del mio mondo e un mio lato più intimo. Mi sto confidando tanto in questa canzone, per me è speciale.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo vostro ultimo progetto?
È un’esplosione di emozioni, è un pezzo che parte molto tranquillo, soffice, delicato, per poi crescere in maniera graduale. All’inizio della canzone si percepisce uno stato emotivo particolare, il desiderio di urlare e buttare fuori tutte le mie emozioni in un flusso di coscienza. Allo sfogo segue la fine della canzone, che si spegne improvvisamente, trasportandoti in un luogo silenzioso in cui analizzare tutto il groviglio di sensazioni che hai tirato fuori.

Random © @corsinelabedoli

Morelz

Qual è la storia della traccia?
Il singolo Ritornerai 2 racconta dei pensieri, spesso sbagliati, che invadono la nostra mente quando diverse cose stanno andando male, quando il mondo sembra crollarci addosso o la terra tremare sotto i piedi. In quei momenti è fondamentale capire realmente quel che sta accadendo, evitando di confondere ciò a cui teniamo veramente con ciò che tratteniamo per paura di aggravare la situazione in cui siamo. È fondamentale non rimanere intrappolati in una storia, se le cose non funzionano più, bisogna avere il coraggio di lasciare andare le persone ed essere meno egoisti.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album?
Ho lavorato con Marco Schietroma, Beppe (Giuseppe Martines) e Zenit. Il pezzo è iniziato con Beppe che ha composto una bellissima melodia al piano, poi Zenit l’ha rivista e in un terzo momento Marco ha aggiunto batterie e linee di basso.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Il testo di Ritornerai 2 è una dedica fatta ad una persona, ma la canzone è dedicata a tutti quelli che stanno vivendo o hanno vissuto un’esperienza sentimentale complicata. Mi piacerebbe che questo testo potesse aiutare le persone ad uscire o ad affrontare in maniera diversa la condizione in cui sono. Se dovesse accadere anche solo per una persona nel mondo, mi riterrei estremamente orgoglioso.

BLACK COFFEE FT. CELESTE, READY FOR YOU

Come è nato Ready for you, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Quando inizialmente ho messo le mani sui vocals realizzati da Celeste, era un'opera d'arte molto lenta, quasi malinconica. Sono stato in grado di prendere la voce, dare vita alla traccia e aggiungere il mio tocco caratteristico: il risultato è Ready For You così come la si può ascoltare oggi. La canzone dimostra inoltre che produco musica per tutti. La mia musica si espande al di fuori dei confini del clubbing. È un sound a cui il mondo intero può relazionarsi a un certo livello e ne sono molto orgoglioso.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo vostro ultimo progetto?
In poche parole, è una canzone che tocca il cuore e l'anima e ti farà cantare e soppesare ogni parola.

Black Coffee © Hi Ibiza

Qual è la storia della canzone?
La cosa divertente è che io e Celeste non ci siamo mai incontrati. Le nostre interviste recenti sono state in assoluto le nostre prime interazioni insieme. I nostri entourage ci hanno riunito e pochi mesi dopo, abbiamo questa bellissima canzone!

DAMIAN LAZARUS, FLOURISH

Come è nato Flourish, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
Verso la fine del 2019 ho iniziato ad avere un presentimento: la sensazione che non tutto andasse bene nel mondo. Potevo, al contempo, sentire la genesi di nuove idee musicali plasmarsi. Dopo un tour di dicembre e gennaio molto intenso, ho trascorso una settimana in un retreat in Austria poiché il mio corpo e la mia mente avevano bisogno di un reset. Nelle notti che passavo lì da solo, guardando le Alpi dal balcone della mia stanza, ho iniziato a prendere appunti su alcune idee che avevo sulle tracce. Quindi, quando ho iniziato a lavorarci, a metà febbraio ero fresco e rinfrancato, ma un senso di oscurità incombeva sopra di me. Sono generalmente una persona piuttosto ottimista con un atteggiamento positivo, ma quando la notizia del virus ha cominciato a diffondersi e ho iniziato a capire che le nostre vite stavano per cambiare radicalmente, da un lato musicalmente avevo nuove motivazioni, ma per converso ero più pessimista riguardo al futuro del mondo. Ho iniziato a sperimentare breakbeat e baseline oscure, creando strani suoni e frammenti di canzoni. Ero alle prese con concetti esistenziali e mi chiedevo perché il mondo stesse improvvisamente affrontando una tale catastrofe. Ma dopo alcuni mesi di lavoro quotidiano sulla musica, ho iniziato a rendermi conto che il mondo aveva semplicemente bisogno di essere resettato, e questo era il catalizzatore definitivo per consentire l'inizio di quel processo. Ho iniziato a sentirmi più ottimista e ho scritto il brano Into the Sun, ho rimesso mano a tutti gli altri brani e li ho rielaborati con uno spirito rinnovato. Penso di essere cresciuto molto musicalmente con Flourish: sono riuscito a realizzare un lavoro di cui sono orgoglioso in uno dei momenti più difficili e inquietanti di tutta la mia vita.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo vostro ultimo progetto?
Questo è un album molto più profondo e introspettivo degli ultimi due album di Ancient Moons. Volevo che fosse più psichedelico, più trippy. Ci sono complicate regolazioni del suono e molto lavoro di sintetizzatore in Flourish. Alcuni panorami stranianti e i cambi di livello mandano in tilt la testa. È un disco da ascoltare in cuffia: i suoni ti arrivano da tutte le angolazioni. Molte tracce evocano l'esistenza di una forza superiore, il mondo degli spiriti, i viaggi nel tempo e i viaggi attraverso lo spazio verso altri pianeti. In altre parole, qualsiasi cosa per fuggire da questo mondo.

Damian Lazarus © Alessandro Cinque

Alessandro Cinque

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Direi Mountain, perché è stata la prima traccia che ho scritto per l'album. Ero seduto sul balcone di questo retreat in Austria una notte, dopo aver avuto problemi a dormire, e nella neve ho visto una luce scintillare in mezzo alla montagna. Ho immaginato che fosse una forza spirituale che si accendeva e minacciava di far esplodere il monte. Ho scritto i testi quella stessa notte. Volevo usare la mia voce, in modo simile alla traccia Robot Heart, una collaborazione con Art Department di qualche anno fa: ma questa volta la mia voce è più contorta e minacciosa. La batteria è una specie di breakbeat jungle old school. Ho preso un classico come The First time ever I saw your Face e ho fatto cantare a Cari Golden la mia strofa preferita di quella traccia: "And the moon and the stars were the gifts you gave, to the dark and the endless skies”. Semplicemente fantastico.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'album?
Ho lavorato con solo tre persone alla registrazione dell'album. Il mio sound engineer e tour manager, Paolo Bartolomeo, che ha lavorato con me in studio negli ultimi 3 anni; Cari Golden, che ha cantato in Mountain e Dark Heaven Light; e infine Jem Cooke che è la voce di Into the Sun. Quando ho scritto quella traccia avevo in mente due artiste: una era Baby Rose e l'altra era Jem. Non riuscivo a decidere quale preferivo, quindi ho inviato la traccia a entrambe. Jem mi ha ricontattato subito per dirmi che durante un cerimoniale Ayahuasca le ero apparso in una visione e sapeva che doveva lavorare con me. Non ho più avuto dubbi! Tra l'altro mi ha detto che voleva scrivere e registrare subito, perché stava per avere un figlio. Mi piace molto l'idea di aver dato alla luce questa canzone, e che nella stessa settimana sia arrivata una nuova vita, credo sia splendido.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Lo dedico a tutte le persone che soffrono nel 2020: questo è un momento terribile per l'umanità, ma alla fine del tunnel c'è la luce. Dobbiamo fare un reset, e cambiare la nostra direzione verso una prospettiva più positiva; dobbiamo apprezzare di più il pianeta e il nostro prossimo.

LOCO DICE, THE SENTENCE

Come è nato The Sentence, e cosa significa per te e per il tuo percorso artistico?
The Sentence arriva dalla mia stessa idea della mia etichetta, En Couleur. Sono stato nel mio studio ogni giorno a creare, lavorare su idee e produrre e avevo già molto materiale. Come puoi immaginare, negli ultimi mesi ho avuto ancora più tempo per il mio studio. Invece di girare il mondo, ho finito un po' di tracce e ascoltato molta musica che avevo già finito: così ho iniziato a mettere insieme i pezzi.

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo vostro ultimo progetto?
Così come En Couleur, anche The Sentence è un lungo viaggio. Puoi immaginarlo come un lungo album diffuso su singoli EP. C'è dell'altro in arrivo!

Loco Dice © Grace Russo

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
La traccia che ha un bel retroscena è Indica Talking. Non credo di dover approfondire ulteriormente il titolo. Ascoltandola, si può capire dove mi trovavo quando stavo producendo la traccia.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell'EP?
Con The Sentence non ho collaborato con nessuno. È musica direttamente dal mio studio. Il precedente release di En Couleur è stato D Town Playaz, che è il mio progetto con Eddie Fowlkes, una vera leggenda di Detroit.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
Questo EP è realizzato con amore, ed è per tutti coloro che vorrebbero avere una pozione dell'amore. È per quelle persone di mentalità aperta, che pensano e si sentono fuori dagli schemi.

MATHAME, NEVER GIVE UP (RELOADED)

Come è nato Never Give Up, e cosa significa per voi e per la vostra crescita artistica?
La musica non rappresenta niente, di solito. É un qualcosa che ha a che fare con l’emozione. Possiamo dire che l’abbiamo captata da qualche parte: come fanno le antenne, hai presente?

Dal punto di vista musicale come descrivereste questo vostro ultimo progetto?
"Ultimo" è sicuramente un buon aggettivo, ma non rende giustizia al progetto. Never Give up è per certi versi il primo: ci ha visti muoverci in un mondo abbastanza complicato, che ha a che fare poco con l'istinto, e molto con i ragionamenti.

Mathame © G.A. Mocchetti

giovannimocchetti.com

Con chi (e come) avete collaborato durante la realizzazione dell'EP?
Ritorno sulla metafora dell'antenna, che è al contempo metafora e anche citazione. Riteniamo che chiunque abbia a che fare con delle pagine bianche, e provi a dar vita a qualcosa che prima non c’era, sia in realtà come un'antenna, che riceve dei segnali da chissà dove. Magari da qualcosa di veramente lontano e poetico come una stazione spaziale. Segnali che vengono poi elaborati senza sapere troppo né come né perché, quasi come una traslitterazione istantanea.

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
La storia più bella da raccontare sarà sempre la prossima. Riguardo a questa release, sicuramente quella per Adriatique, in collaborazione con i Tale Of Us. Ci siamo resi conto di avere fatto qualcosa di bello, nonostante avessimo un po' stravolto l’originale: tra tonalità e sample chop, è diventata insomma quasi irriconoscibile. Comunque, è diventata una pietra miliare del nostro suono, e i Tale Of Us gli hanno dato la grinta che serviva.  

C’è qualcuno a cui vorreste dedicare questo EP?
A tutti coloro che ancora non lo conoscono.

JESSY LANZA, ALL THE TIME

Come è nato All the time, e cosa significa per te?
Ho scritto “All the time" dopo essermi trasferita a New York dalla mia città natale Hamilton, in Canada. Non volevo fare un disco sulla nostalgia di casa, ma riascoltando le canzoni è chiaro che stessi soffrendo in quel periodo.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Direi che ho esplorato fino in fondo il mio amore per scrivere le canzoni. Per la realizzazione di questo album ho lavorato con un setup di uno studio molto più piccolo di quello a cui ero abituata, il che mi ha fatto prendere parecchie decisioni su che tipo di strumentazione utilizzare per il disco, e credo che questo doni al suo sound una qualità speciale.  

Jessy Lanza © Milah Libin

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Ho scritto la canzone Baby Love dopo aver visto la mia nipotina per la prima volta. Appena uscita dall'ospedale, la sensazione di amore incondizionato che mi pervadeva era tale che mi ha ispirato a scrivere subito quella canzone su di lei.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione del disco?
Ho co-prodotto e co-scritto All the Time con Jeremy Greenspan, è il terzo album a cui abbiamo collaborato. Vive ad Hamilton, in Canada, quindi ho guidato avanti e indietro da New York a Hamilton abbastanza spesso per lavorare insieme al disco.

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questo album?
A tutti i miei fan che hanno pazientemente atteso che ultimassi la realizzazione di All the Time.

MAYA JANE COLES, WOULD YOU KILL (4 ME)?

Come è nata Would You Kill (4 Me)?, e cosa rappresenta per te e per la tua crescita artistica?
Questa è stata una release piuttosto spontanea e giocosa per me. Avevo fatto qualche cut di campioni vocali e una parte sembrava quasi dire "kill somebody" ... In quel periodo avevo appena fatto indigestione della serie “Killing Eve” e probabilmente il tema dell'omicidio era presente nella mia testa. Era insomma un'idea divertente che è venuta fuori in un modo molto spontaneo.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Si tratta di musica da club, con un mood un po' oscuro, ma al tempo stesso ha quel non so di che di ascendente, il consueto contrasto che cerco di creare con la mia musica: mi piace creare un chiaroscuro tra elementi dark e malinconici, ed altri più leggeri e allegri. 

Maya Jane Coles

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Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Ricordo quando originariamente ho realizzato "Piano Magic", la terza traccia dell'EP. Ne avevo realizzato un mix approssimativo, letteralmente mezz'ora prima di uscire per una mia data al Fabric di Londra. Non avevo avuto il tempo realizzare un mixdown, né avevo avuto la possibilità di riascoltarla a mente fredda, quindi mi rendeva abbastanza nervosa suonarla davanti a un pubblico del genere. Ma poi, poco prima della fine del mio set, ho deciso di metterla come ultimo pezzo. Ho avuto una risposta così sorprendente dal crowd, che mi ha fatto capire che quella traccia aveva qualcosa di speciale. È sempre fantastico ricevere quel tipo di gratificazione con una traccia appena realizzata. Non c'è sensazione migliore

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questa canzone?
Direi che la dedico ai miei fan di vecchia data, dato che in tanti mi hanno detto che le sonorità di questa uscita ricordano un po' le produzioni che realizzavo tanto tempo fa. Il mio sound è comunque in continua evoluzione e c'è dentro qualcosa di nuovo e fresco, ma mi piace sempre rivisitare i miei vecchi canoni stilistici, pur mantenendo l'essenza di quando ho iniziato a fare musica da club. E spero che questa release mi farà trovare lungo la mia strada anche tanti nuovi fan!

LOLA LENNOX, BACK AT WRONG

Come è nata Back At Wrong, e cosa rappresenta per te e per la tua crescita artistica?
Ho scritto Back At Wrong a LA, vivevo lì e passavo le mie giornate scrivendo canzoni e andando in studio. Quel giorno in particolare volevo scrivere una canzone sulla relazione intensa che stavo vivendo in quel momento in cui la musica potesse descrivere questo amore appassionato e tumultuoso. Pubblicare questo brano per me è stato come un punto di arrivo, faccio musica da anni e far uscire questo singolo è come la culminazione di tutto il lavoro e l’impegno che ci ho messo, ore di prove e centinaia di canzoni scritte al pianoforte, sono davvero felice di condividere con gli altri il mio mondo e la mia visione.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Mi piace creare un equilibrio fra nostalgia e modernità. Back At Wrong ha radici e grinta blues ma fondamentalmente è una canzone pop con melodie orecchiabili e un sound fresco. Volevo che la musica riproducesse il caos della mia relazione e musicalmente ha momenti inattesi, alti e bassi, come sulle montagne russe.

Lola Lennox © Kevin Roldan

Qual è la storia della canzone?
Per me Back At Wrong è una fotografia che cattura la storia e l’emozione di un capitolo folle della mia vita. Mi trovavo in una relazione tanto disfunzionale quanto piena di passione e nonostante gli scontri continui non riuscivamo a stare lontani. Credo che la maggior parte della gente abbia vissuto una storia del genere, molti si portano dietro il bagaglio di quelle esperienze, e questa canzone parla delle ferite che restano nel cuore.

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione del singolo?
Ho scritto Back At Wrong con Dan Muckala e Ben Scholfeild a Los Angeles e il disco è stato prodotto a Nashville. Mia mamma,  Annie Lennox e il suo fidanzato Braeden Wright hanno coprodotto il singolo, è stato tutto molto naturale, mi conoscono meglio di chiunque altro e quando ci siamo riuniti nel mio studio a casa la musica è venuta fuori in modo molto spontaneo. E poi sono stata felicissima di lavorare con un tecnico del suono geniale, Spike Stent, che ha mixato il brano. 

C’è qualcuno a cui vorresti dedicare questa canzone?
Dedico questa canzone a chiunque si è sentito umiliato o ferito per colpa di qualcuno. Questa canzone parla di come ritrovare la propria voce, riconoscere il proprio valore e lottare per il rispetto che si merita.

CHARLOTTE DE WITTE, RETURN TO NOWHERE 

Come è nato Return To Nowhere, e cosa rappresenta per te e per la tua crescita artistica?
Sono sempre stata attratta dal potere dei vocals, e ho voluto usare ancora una volta interpretazioni corali e antiche nelle mie tracce. Un paio di anni fa, ho realizzato un brano chiamato "Varpulis", realizzato proprio con i Canti Gregoriani. Questo contributo si è rivelato fonte d'ispirazione per l'intero EP. Sono molto soddisfatta del progetto nel suo insieme: penso che mostri un lato più versatile di me. In particolare, ritengo che "Return To Nowhere" sia probabilmente uno dei migliori brani che abbia mai realizzato.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Oserei dire che è quello che la gente si aspetterebbe da me: è sicuramente fatto per la pista da ballo, con un “twist” diverso rispetto alle mie produzioni precedenti. 

Charlotte de Witte © Marie Wynants

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Direi che tutte le tracce dell'EP hanno una bella storia da raccontare. L'uso di quelle voci ha trasformato l'intero processo creativo in qualcosa di piuttosto emotivo. Soprattutto l'ultima traccia dell'EP, "What's In The Past", a volte può davvero emozionarmi.

A chi dedichi Return To Nowhere?
Difficile non parlare dello strano periodo che stiamo vivendo. Molte persone, e il mondo intero hanno sofferto, e stanno soffrendo molto. Quindi vorrei chiudere con un messaggio di speranza. You're not alone. Siamo tutti sulla stessa barca: tempi migliori stanno arrivando.

FRAH QUINTALE, BANZAI

Come è nato Banzai, e cosa rappresenta per te e per la tua crescita artistica?
Banzai è nato dall’esigenza di raccontare un po’ di cose che mi sono successe tra l’uscita del mio primo album (Regardez Moi, ndr) e questa prima parte del 2020. Questo lato del disco contiene racconti autobiografici e pezzi più leggeri, per me rappresenta un punto di svolta nella ricerca delle sonorità.

Dal punto di vista musicale come descriveresti questo progetto?
Il suono si avvicina all’RnB e a sonorità più black rispetto al lavoro precedente, volevo cercare di smarcarmi dall’indie italiano e di rendere il progetto più personale possibile, dai suoni delle strumentali all’uso della voce fino all’intero artwork del progetto. 

Frah Quintale © Valentina De Zanche

Qual è la traccia con una bella storia da raccontare?
Secondo me, Allucinazioni (feat. Irbis37) è un bello spaccato dell’amicizia tra me, Martino (Irbis) e tutti i ragazzi del suo collettivo. Il brano racconta una serata psichedelica finita all’alba da qualche parte a Milano. 

Con chi (e come) hai collaborato durante la realizzazione dell’album?
Sulle produzioni mi sono affidato come sempre a Ceri, con me anche su tutti i lavori precedenti. Inoltre, sono presenti Bruno Belissimo, Crookers e al microfono IRBIS37 (giovane talento di casa Undamento). Le collaborazioni nascono in maniera molto spontanea, condividere la stessa visione musicale è fondamentale ma è soprattutto il lato umano a rendere speciale una collaborazione. Preferisco lavorare con i miei amici che avere il nome del momento sul disco. 

A chi dedichi Banzai?
Lo dedico a chi ha l’esigenza di cambiare pelle di continuo, a chi sta cercando di cambiare delle cose nella sua vita,  a chi come me sente il bisogno costante di scoprire, di scoprirsi e di rinnovarsi.