6 luglio 2020 - 08:58

È morto Ennio Morricone, aveva 91 anni

Il grande musicista e compositore di colonne sonore immortali — da «C’era una volta in America» a «Nuovo Cinema Paradiso» — si è spento nella notte in una clinica romana: si era rotto il femore in una caduta

di Valerio Cappelli

È morto Ennio Morricone, aveva 91 anni
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Ennio Morricone, premio Oscar e grande musicista e compositore, aveva 91 anni ed è morto nella notte fra il 5 e il 6 luglio in una clinica romana per le conseguenze di una caduta. La famiglia ha annunciato con una nota che i funerali si terranno in forma privata «nel rispetto del sentimento di umiltà che ha sempre ispirato gli atti della sua esistenza». La nota aggiunge che il maestro «ha conservato sino all’ultimo piena lucidità e grande dignità. Ha salutato l’amata moglie Maria che lo ha accompagnato con dedizione in ogni istante della sua vita umana e professionale e gli è stato accanto fino all’estremo respiro, ha ringraziato i figli e i nipoti per l’amore e la cura che gli hanno donato. Ha dedicato un commosso ricordo al suo pubblico dal cui affettuoso sostegno ha sempre tratto la forza della propria creatività».

«Non posso andare a Ravenna, ma salutami tutti», sono le ultime parole che giorni fa mi ha detto Ennio Morricone. È morto a 91 anni. Giorni fa sua moglie, l’amatissima Maria, mi aveva detto che era ricoverato in ospedale. Si era rotto il femore, forse è stato un modo per difenderlo. Aveva scritto la musica per la pièce Ci sono giorni che non accadono mai al debutto giovedì, me la canticchiava al telefono. Mi disse che prima del lockdown stava lavorando a tre commissioni, ma di avervi dovuto rinunciare: «Un pezzo avrebbe dovuto essere suonato al Duomo di Milano. Ma quello a cui tengo di più era destinato a una piccola associazione musicale».

Ha vinto due Oscar, che teneva nello studio sotto chiave. Perché li tieni così, in casa «nascosti», se siete solo tu e Maria? «Una fissazione, lo so, risale a tanti anni fa, quando uno dei miei figli prestava i dischi agli amici e non li rivedevo più. Li prendeva dallo studio. Vedevo che si assottigliavano sempre di più. Saranno passati più di quarant’anni? Eh lo so, sono fatto così». Diceva che le musiche a cui era più legato «sono quelle che mi hanno fatto soffrire di più o quelle di film belli che sono andati malissimo, come Un tranquillo posto di campagna o Un uomo a metà».

Il connubio e l’amicizia storica con Sergio Leone e gli spaghetti western cercava di sminuirli, ma con affetto. «Ho scritto più di cinquecento pezzi e mi chiedono solo degli spaghetti western». Era un uomo dolcissimo, un finto burbero capace di grande generosità. Mai una parola di troppo. Un romano atipico. Si divertiva a sorprendere l’interlocutore, diceva di non avere avuto una vocazione per la composizione, «è stato un processo graduale, prima volevo diventare medico, poi scacchista». Romano di Trastevere, il papà suonava la tromba all’Opera di Roma, siccome lo stipendio non bastava, scelse la libera professione. Presto Ennio lo affiancò nei night-club come seconda tromba. C’era la guerra, la prima cosa che gli veniva in mente parlandone era un prete partigiano che gli disse, «tra poco ne sentirete delle belle». Era la bomba di via Rasella. Si era trasferito da alcuni anni in una casa all’Eur, lasciando quella a due passi da piazza Venezia, nel cuore di Roma. «Vedi che vista?», diceva con lo sguardo rivolto a una distesa di verde con palazzi lontani come un puntino.

Un giorno gli domandai se ci fosse qualcosa di Sergio Leone che non aveva ancora detto. E lui: «Mi chiese se avessi qualche scarto di altri registi. Mi misi al piano e suonai C’era una volta in America. L’avevo scritto per Amore senza fine di Zeffirelli, ma ritirai la mia musica quando cercò di imporre nella mia colona sonora una canzone di Lionel Richie». C’era una volta Ennio, genio della musica per il cinema e per quella assoluta, come chiamava lui la classica, che riconobbe l’altra sua «metà», quella accademica, in maniera tardiva, negli anni ’90.

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