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Basket, Petrucci contro il Cts: "Il calcio sì, noi no. Ma abbiamo gli strumenti per ripartire"

Il presidente della Federbasket Gianni Petrucci 
Il presidente federale illustra i sistemi per la ripresa dell'attività: "Il Comitato tecnico scientifico ha dato per scontato che non avessimo le forze per ripartire". Sulla A a 16: "Non sappiamo se Roma e Cremona ce la faranno, ma ho fiducia nella Lega e in Gandini. La A che riparte a settembre un'utopia? No".
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Nelle tempeste Gianni Petrucci ci naviga da quarant’anni. Ma onde così alte, il presidente della Federbasket non le aveva mai affrontate. Il Covid ha azzerato l’attività, stoppato i campionati, creato scompiglio in Serie A. Gli sport di contatto non ripartono e il basket, come il volley, non sa né quando, né se potrà rimettersi in pista.

Un momentaccio Petrucci.
«Però noi abbiamo due ottimi difensori: il ministro Spadafora e il presidente del Coni Malagò. Confidiamo in loro».

Ma il calcio non è anch’esso uno sport di contatto?
«Lo sa quanto valgono i diritti tv del calcio? Ma non è una polemica contro il calcio questa, per nulla. Ci è sfuggito un passaggio».

Quale?
«Il Comitato tecnico-scientifico ha detto: il calcio può tornare in campo perché fa i dovuti controlli sanitari. Ma lo stesso Cts non ci ha mai chiesto: voi del basket siete in grado di fare questi controlli? Perché dare per scontato che non fossimo in grado? Avremmo dovuto dirlo noi, a domanda avremmo risposto».

Avete comunque stilato due protocolli piuttosto dettagliati e anche molto severi.
«Certo: uno per l’attività normale, uno per quella agonistica che garantisce tutti i controlli del caso. Il ministro Spadafora ha detto chiaro e tondo che si deve riaprire. Il Comitato tecnico-scientifico non ci dice perché no. Nella commissione che ha stilato i nostri protocolli c’è anche il professor Landi, una delle massima autorità in materia di Covid. La legge in Italia dà al Cts il potere di aprire o chiudere uno sport per intero, ma i pareri in generale sulla pandemia e sulla ripresa sono molto vari. La risposta deve arrivare il prima possibile. Noi siamo uno sport che genera reddito per lo Stato, anche attraverso le scommesse sportive».

A questo fondamentale problema si aggiunge quello della Serie A che non riesce a trovare una forma per la prossima stagione, con due club, Roma e Cremona, a rischio per problemi economici, e Torino lasciata in stand-by. Come se ne viene a capo?
«La Legabasket, con il suo presidente Gandini, ha la delega federale ad agire e a mettere mano a questa situazione. Abbiamo avuto moltissime richieste d’inscrizione nelle serie minori e nel femminile sono entrate due realtà come Sassari e Campobasso. In A maschile la cosa è più complessa».

Il metodo-Gandini, ossia chiamare una per una secondo un ranking le squadre di A-2 e chiedere loro se avevano voglia e possibilità di fare la A, le è piaciuto?
«Gandini è un grande dirigente e mi fido al 100% del suo operato. Si è trovato in una situazione difficile, in un posto complicato come la presidenza della Lega. Da quando sono tornato al basket sono cambiati quattro presidenti, tutti in circostanze singolari, alcuni anche drammatiche. Cerchiamo di comprendere che quando si affida la responsabilità a una persona, la si deve far lavorare. La tempistica? Le iscrizioni alla A scadono il 31 luglio, abbiamo ancora un mese di tempo. È difficile per tutti. Ma guardate quante altre squadre professionistiche, anche nel calcio, sono sparite. Una crisi globale del genere non potevamo preventivarla».

Nessun pentimento per aver fermato presto i campionati?
«Nessuno. Le leghe erano d’accordo e non si poteva fare altrimenti. Anche la Nba, con tutto il potere che ha, non è certa di ripartire».

Voi dovreste farlo il 29 agosto con la Supercoppa Italiana e il 27 settembre col campionato. Sono date utopistiche, allo stato attuale?
«Non lo sono, sono date realistiche. Quello che conta oggi è quello che vogliono le società, e loro vogliono ripartire».

Con quante squadre in A si ripartirà?
«Saranno un numero pari. Sedici o quattordici, non lo sa nessuno, oggi. Ma non parliamo né di crisi né di caos. C’è un problema datato: lo status di professonistici ai club di A e non a quelli di A-2. Con l’aggravio di costi su quelli di A in termini di previdenza e tasse».

La legge sul professionismo è del 1981.
«Quando tutto si sarà calmato, sarà il momento di affrontare questo problema epocale per lo sport italiano, con il Parlamento».

Avete chiesto al Governo un intervento sul credito d’imposta sulle sponsorizzazioni. A che punto siamo?
«Dovremmo ottenere un plafond di 20 milioni di euro e sarà una grande vittoria nostra, del volley e della Lega Pro di calcio. Attirerebbe sponsor, investimenti, darebbe più fiducia alla piccola e media imprenditoria».

Gandini ha parlato anche di attivare un sistema di licenze per dare più stabilità al sistema nel lungo periodo.
«Nessuna richiesta ufficiale è arrivata alla Federazione, ad oggi i diritti acquisiti e il principio del titolo sportivo vanno rispettati. Non si può stabilire il principio che chi ha tanti soldi partecipa, chi non li ha non può giocare. Il bello dello sport è anche che non sempre vince la squadra più ricca. Noi, con la Comtec, la commissione tecnica di controllo, facciamo controlli rigorosissimi».

Ma se gli americani non potessero venire in Italia per la prossima stagione?
«Abbiamo chiesto, come il tennis e altri sport, una corsia preferenziale. Quando arrivano in aeroporto, subito tamponi e test sierologici. Chi è negativo resta, chi è positivo fa la quarantena».

Eppure, il ritorno di Datome in Italia e il mercato di alto profilo di Milano, Bologna, anche Varese, dice delle molta vitalità del nostro basket, ai livelli più alti.
«Il ritorno di Datome è un grande segnale per tutto il movimento, perché lui è un trascinatore, un uomo carismatico, un simbolo e un grandissimo giocatore».

Come nazionale, ieri ricorrevano i ventun’anni dall’ultimo torneo vinto, l’Europeo 1999.
«Non vorremmo fare come certi club, che festeggiano solo gli anniversari. Vorremmo tornare presto su un podio. E vogliamo capire perché a livello giovanile siamo tra le maggiori potenze d’Europa, soprattutto al femminile, e a livello seniores ci perdiamo».

La fiducia nel ct Sacchetti, passato da Cremona alla più “stressante” piazza bolognese, sponda Fortitudo, è intatta?
«Se non lo fosse, Sacchetti non sarebbe il ct della nazionale. Con lui c’è un rapporto umano che va molto al di là del rapporto sportivo. Ma il preolimpico sarà la sua tesi di laurea. Siamo ottimisti, abbiamo tanti giovani in arrivo, ultimo dei quali questo Banchero, italo-americano che aveva una voglia matta di azzurro».

Scendendo di molti gradini, la ripresa rischia di essere impossibile anche per lo sport di base.
«Abbiamo chiesto alla ministra della Pubblica istruzione Azzolina di riservare le palestre scolastiche solo all’attività sportiva. Abbiamo letto di diverse soluzioni per creare classi post-Covid anche nelle palestre, ma non vorremmo che venisse sacrificato lo sport di base. Rischiamo di perdere generazioni di ragazzini. Sarebbe una catastrofe».
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