Esteri

Alta tensione tra Parigi e Ankara, la Francia si ritira da un'operazione Nato nel Mediterraneo

(afp)
Al centro la questione libica, con i due Paesi schierati su fronti opposti
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Il Mediterraneo sta diventando sempre più un mare di tensione, forse l’inatteso terreno di scontro in un futuro prossimo. Dove la presenza sempre più forte della Turchia, con le navi pronte a schierarsi su aree marine differenti, crea divisioni rischiando di approdare a una situazione di caos. La Francia, il Paese attualmente in rotta di collisione maggiore con Ankara, ha ora deciso addirittura di ritirarsi da un'operazione di sicurezza della Nato, finché non otterrà risposte alle "richieste" relative ai suoi attriti con la Turchia.

“Abbiamo deciso di lasciare temporaneamente le nostre risorse – annuncia il ministero delle Forze armate di Parigi - dall'operazione Sea Guardian". Ed è la Libia, Paese in cui i militari turchi stanno difendendo Tripoli dall’assalto dei soldati ribelli della Cirenaica, il motivo che vede Ankara e Parigi su fronti opposti.


Lo scorso giugno la Francia aveva denunciato che una sua nave militare, appartenente all'operazione Sea Guardian, era stata oggetto di tre 'illuminazioni radar' – considerate un avvertimento grave, secondo i codici marittimi - da parte di imbarcazioni turche, mentre provava a fermare un cargo sospettato di violare l'embargo sulle armi alla Libia, dove Ankara difende militarmente il governo del premier Fayez al Serraj. La Turchia ha respinto ogni accusa, parlando di “malintesi”. Parigi però non si è accontentata e si è rivolta alla Nato, definendo l’episodio come un "atto di aggressione". Tuttavia, pochi alleati si sono schierati con i francesi, e solo 8 Paesi su 30 li hanno sostenuti. L’Alleanza atlantica ha così avviato un'indagine interna sull'incidente, che però non ha portato a risultati ulteriori. Così la Francia ha deciso lo strappo, affermando che "non sembra salutare" continuare a partecipare a un’operazione militare con alleati "che non rispettano l'embargo". La tensione fra Parigi e Ankara si allarga ad altri fronti, e ora anche un caso di spionaggio coinvolge i servizi segreti della Dgse e quelli del Mit per un affaire da chiarire nel consolato francese di Istanbul.

La questione reale ruota attorno ad affari economici molto concreti in Libia: la Francia, che da tempo ha puntato nei fatti sul generale cirenaico Haftar ora ritiratosi dall’assedio di Tripoli dopo l’impiego dei micidiali droni turchi, non può più contare sui contratti commerciali sperati. Che vanno invece all’incasso di Ankara, dove il presidente Recep Tayyip Erdogan sta astutamente giocando una partita rischiosa, ma che al momento lo vede come il vero vincitore e il solo interlocutore nell’area con il capo dello Stato russo Vladimir Putin. Per la Turchia è una sostanziale rivalsa verso Parigi, quando i bombardamenti voluti dall’allora presidente Nicolas Sarkozy contro Muammar Gheddafi fecero svanire ai turchi appalti d’oro e prospezioni petrolifere fruttuosissime. Che adesso si ripresentano in forma raddoppiata, per via degli accordi stretti con Tripoli su un braccio di mare di portata molto ampia.

Il numero uno della Marina turca, l’ammiraglio Adnan Ozbal, si è difatti fiondato nella capitale libica per incontrare i vertici del governo guidato da al Serraj. Il Memorandum d’intesa firmato alla fine del 2019 fra Libia e Turchia per spartirsi le corpose zone d’acqua nel Mediterraneo, davanti alle coste di Tripoli, è in grado di assicurare ad Ankara introiti formidabili e una presenza strategica invidiabile. Erdogan non è stato a guardare, in questo periodo. Ed è riuscito a raggiungere posizioni sfuggite invece a molti altri attori, Italia compresa, anzi forse più di tutti.


Ma la partita libica della Turchia è più vasta. Perché contro le manovre navali della sua Marina si stanno opponendo da tempo non solo la Francia, ma anche Israele, Egitto, Grecia, Cipro ed Emirati Arabi Uniti. L'emittente turca di Stato, Trt, annuncia ora di essere entrata in possesso di documenti riservati che rivelano le pressioni esercitate dagli Emirati Arabi per richiedere l'intervento degli Stati Uniti nel conflitto in Libia, e contenere i progressi ottenuti dal governo di Tripoli, il solo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Una mail rivela, ad esempio, che l'ambasciatore degli Emirati a Washington, Yousef al Otaiba, mandò il 22 giugno una lettera ai dirigenti americani con queste frasi: "A meno che non vengano tenute sotto controllo le azioni della Turchia, la situazione potrebbe degenerare. La Turchia continua a spingere e a lanciare provocazioni vicino a Sirte e ha dispiegato le navi della Marina al largo della costa. Secondo la nostra analisi questa decisione è stata presa deliberatamente per ostacolare l'ingresso dell'Egitto nel conflitto". Secondo il diplomatico emiratino, ne potrebbe conseguire uno scontro diretto fra Turchia e Egitto: "Se qualcuno pensa che la situazione sia caotica adesso, sarà cento volte peggiore". Nella turbolenta regione mediorientale, avvezza a decenni di guerre, ormai non è più il solo a pensarlo.