il voto amministrativo

Francia, Macron rilancia sull’ecologia dopo la vittoria dei Verdi

Il partito ecologista Eelv conquista tutte le maggiori città e contribisce alla riconferma di Anne Hidalgo a Parigi. Il presidente accetta la sfida e, su un tema per lui difficile, annuncia investimenti «verdi»per 15 miliardi

di Riccardo Sorrentino

4' di lettura

Un brutto risveglio, per Emmanuel Macron. Anche se le elezioni amministrative - segnate come sono da fattori locali irripetibili a livello nazionale - non possono essere sopravvalutate, il quadro politico che ne emerge crea qualche problema al presidente, che solo qualche settimana fa ha subìto una defezione di deputato dal suo partito La République en Marche (Lrem).

Nessuna grande città è stata conquistata dalla sua forza politica, che si conferma quindi un “partito del leader”, forte per la debolezza delle formazioni politiche tradizionali e per la presenza di un partito, il Rassemblement national di Marine Le Pen, che si è autosegregato su posizioni troppo radicali per rappresentare tutti i francesi e la Francia. L’unica eccezione, Le Havre, ha visto l’elezione di Edouard Philippe: il primo ministro - che ora presumibilmente dovrà scegliere tra le due cariche - gode però oggi di una popolarità superiore, sia pure marginalmente, a quella del presidente. È già stato, inoltre, sindaco della città portuale normanna dal dicembre 2010 al maggio 2017 e il suo successore, il repubblicano Luc Lemonnier, non ha dato buona prova di sé: è stato costretto alle dimissioni per aver mandato sue foto nude donne non consenzienti.

Loading...

A Lrem è soprattutto sfuggita Parigi, dove è stata rieletta Anne Hidalgo con il 48,49% dei voti. La candidata di Macron Agnés Buzyn, l’ematologa ex ministra della Salute, è risultata terza con il 14,87% dietro Rachida Dati, discussa ex ministra sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, che ha ottenuto il 34,31% dei voti. Hidalgo, socialista, è stata probabilmente premiata anche per le sue posizioni ecologiste. Se i repubblicani e i socialisti, malgrado Parigi, appaiono ancora privi di rotta, sono infatti i Verdi che, dopo l’exploit delle europee, hanno vinto e clamorosamente: a Strasburgo, a Bordeaux, dove la vittoria non era per nulla scontata; a Lione, dove ha vinto uno sconosciuto Grégory Doucet, a Tours, ad Annecy, a Besançon. Soprattutto, il partito ecologista ha prevalso a Marsiglia, governata da Jean-Claude Gaudine, alla guida di una coalizione di destra, dal 1995. Toulouse resta a destra, malgrado i sondaggi favorevoli ai Verdi, come Lilla, sotto la guida di Martine Aubry, ex ministra socialista e figlia di Jacques Delors, che ha vinto con soli 227 voti di vantaggio.

Per Macron, ora, i verdi sono un’insidia. «Quello che ha vinto questa sera - ha detto ieri Yannick Jadot, uno dei leader del partito - mi sembra sia il desiderio di un’ecologia concreta, un’ecologia in azione». I Verdi francesi devono le loro recenti vittorie, dopo anni di scissioni e contrasti interni,a una decisa svolta verso un pragmatismo, soprattutto sul piano dei conti pubblici e della politica militare - nel 2013, per esempio, votarono a favore di un intervento in Siria - che non perclude loro una classica progettualità “di sinistra”.

Non sono inoltre, a differenza di Lrem, un partito del leader, ma il loro appeal ruota attorno a un’idea forte di politica; e sono, naturalmente, attenti al territorio - come lo è, con modalità e obiettivi diversi il Rassemblement national di Le Pen (che in queste elezioni ha vinto solo a Perpignan) - in un Paese in cui la geografia pone vincoli enormi.

Macron ora vuole recuperare terreno sul fronte ecologista - ieri ha annunciato investimenti verdi per 15 miliardi, l’intenzione di inserire il clima nella costituzione e i limiti di velocità a 110 km/h sulle autostrade - ma non gli sarà facile.

Il presidente ha assunto la leadership della politica climatica globale, dopo il ritiro degli Usa, per ragioni di potere e di immagine, ma la nomina dell’ecologista Nicolas Hulot, una delle personalità più stimate in Francia, non ha funzionato: Hulot si è dimesso, in polemica con le timidezze del governo mentre il suo successore, François Henri Goullet de Rugy, ha lasciato l’incarico per controversie sull’uso dei fondi pubblici. Élisabeth Borne, che oggi guida il ministero, non è più neanche ministro di Stato, come invece i suoi predecessori.

La débâcle di Lrem alle comunali mostra ancora una volta, inoltre, quanto sia debole il presidente sul territorio: fu la colpevole sottovalutazione delle tensioni nelle vaste aree della Francia delle province - malgrado l’allarme dell’allora ministro dell’Interno Gèrard Collomb - che ha portato del resto alla lunga rivolta dei Gilets Jaunes, che ha tratto le sue iniziali motivazioni dai problemi della vita quotidiana, resi peraltro più acuti per alcune timide misure “ecologiste” del governo: i limiti di velocità a 85 km/h sulle strade e la taxe carbonne sui carburanti.

Emmanuel Macron può stare tranquillo, forse, per la sua rielezione. L’ultimo sondaggio gli attribuisce il 55% dei voti contro il 45% di Marine Le Pen, mentre l’ecologista Jadot arriva a stento all’8% al primo turno: i verdi non sono ancora considerati un partito presidenziale. Le elezioni legislative potrebbero rivelarsi però ben più ardue e la stessa idea, accarezzata dal presidente, di sciogliere anticipatamente l’Assemblea nazionale, dopo la defezione di un gruppo di suoi deputati, potrebbe ora rivelarsi impraticabile.

Riproduzione riservata ©
Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti