La fine dell'ebola

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Il virus è stato sconfitto, l’epidemia è ufficialmente finita. L’Organizzazione mondiale della sanità ha fatto il grande annuncio giovedì scorso, ma con il mondo alle prese con i contagi di coronavirus che stanno di nuovo toccando numeri record, non c’è stato nemmeno il tempo per un brindisi alla fine dell’Ebola. Eppure c’è da imparare da questa storia, che ci appare lontana, perché il dramma si è svolto tutto nell’Africa occidentale, ma qualcosa dice anche a noi. 

Dunque la decima epidemia di Ebola fu dichiarata all’OMS il 1° agosto 2018, poco meno di due anni fa: l’Ebola è una febbre emorragica che porta rapidamente alla morte. Il fatality rate, ovvero la percentuale di persone contagiate che muoiono, è del 50 per cento, ma si arriva anche al 90. Per il covid-19 siamo attorno al 5, e anche se i conti reali si faranno alla fine, la differenza è eclatante.
In questo caso i morti ufficiali sono quasi tremila, tutti in Congo. Gli sforzi per contenere l’epidemia sono stati molto complicati dalle condizioni complessive del paese: da una parte c’era la sfiducia verso la scienza di buona parte della popolazione (quelli che dicevano: il virus non esiste. I negazionisti esistono, non sono creazioni dei social media.); dall’altra gli attacchi militari agli avamposti dei medici da parte dei ribelli governativi. Il bollettino finale recita: 420 attacchi, 11 morti, 86 feriti. 

Un anno fa esatto l’OMS dichiarò l’Ebola una emergenza sanitaria globale. Come è stata battuta? Con la generosità degli operatori sanitari in prima linea ovviamente a rischiare la vita. Ma accanto a questo ha giocato un ruolo fondamentale l’innovazione. Intanto c’è stato il vaccino, il primo vaccino per l’Ebola, un successo storico, che è stato realizzato rapidamente da una multinazionale americana; si chiama Ervebo e 300 mila dosi sono già state somministrate; e poi una rete di medici ha inventato una specie di cubo trasparente, il Cube, che è economico, trasportabile, montabile in poche ore e riusabile fino a 10 volte. Nel Cube si possono trattare i malati senza contagiare gli operatori sanitari, che intervengono infilando solo le braccia protette da guanti; e in più consente ai malati loro di vedere i familiari (l’isolamento assoluto era una delle cause della sfiducia della popolazione).

Per il Congo i problemi non sono finiti: c’è anche lì il coronavirus, intanto, ed è scoppiata una epidemia di morbillo. Ma l’Ebola sembrava invincibile e invece no. E’ stata una vittoria della scienza e quindi di tutti noi. Un brindisi ci sta.