24 giugno 2020 - 21:21

Coronavirus, l’epidemiologo Donato Greco: «In alcune Regioni le mascherine non servono più»

Uno dei firmatari della dichiarazione sulla minore infettività del Sars-CoV-2: «È venuto il momento di modulare gli interventi anti Covid a seconda della zona geografica»

di Margherita De Bac

Coronavirus, l'epidemiologo Donato Greco: «In alcune Regioni le mascherine non servono più»
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Donato Greco, epidemiologo, perché ha firmato la dichiarazione sulla ridotta capacità infettiva del virus assieme ad altri nove colleghi?

Donato Greco
Donato Greco

«È una dichiarazione basata su avvenimenti scientifici. C’è un’evidenza crescente e palese anche in Italia che il virus abbia perso forza, come accade nella storia delle epidemie. Non è mutato eppure la sua carica infettiva è diminuita. Per colpire i polmoni, dunque per dare luogo a una malattia grave, ci vuole una carica virale molto alta. Valori che non vengono riscontrati negli asintomatici e nei cosiddetti sintomatici lievi, per intenderci le persone col semplice raffreddore».

Si spieghi.
«Immaginiamo il percorso del virus all’interno del corpo, a partire dalle narici. Quando arriva nei polmoni — il bersaglio — per poter innescare la polmonite deve avere una carica infettante molto alta».

Lei ha visto molti virus in azione, tra i quali il Sars-1 che colpì l’Italia di striscio. Crede che succederà la stessa cosa?
«È un meccanismo già visto. La Sars ebbe un impatto devastante a Hong Kong, poi si attenuò in quanto la sua capacità di replicazione diminuì, da noi ne arrivò l’ombra».

Come si fa a affermare che il virus è meno aggressivo se sta mettendo in ginocchio Brasile, India, Perù e minaccia alcuni Paesi europei?
«In Italia l’osservazione dei casi dice che è meno aggressivo. Il virus ha un ciclo naturale e a un certo punto si attenua dopo aver colpito il territorio in cui agisce. Ciò non esclude che possa essere contemporaneamente micidiale altrove. Dipende dall’area geografica».

Che volete dire in pratica sostenendo la teoria della minore infettività?
«Gli interventi di contenimento dell’epidemia vanno modulati. Le regole attuali non sono proporzionate al rischio reale. Risalgono a marzo, andrebbero aggiornate. Poniamoci una domanda. Vale la pena di mantenere restrizioni tanto dannose per l’economia se il rischio è diventato basso, direi molto basso?».

Risponda lei.
«La mia risposta è che è venuto il momento di riconsiderare le decisioni prese quando l’epidemia era nel pieno della potenza. Oggi ha poco senso indossare mascherina, guanti e tenerci distanziati in certe zone del Paese. Bisognerebbe procedere a quello che noi chiamiamo risk assessment, analisi del rischio».

Dimentica che in Lombardia la battaglia non è finita e che l’Italia è punteggiata di focolai locali?
«Non lo dimentico affatto. Dico soltanto che bisogna avere il senso della geografia. Non è più tempo di generalizzare le misure di contrasto all’epidemia. L’Italia non è Codogno. Attualmente mi trovo nel Cilento dove il virus si è sentito poco. Oggi i colleghi del comitato tecnico hanno gli strumenti epidemiologici per modulare gli interventi ed eliminare le misure inutili e dannose dove non servono».

Lo sa che le vostre uscite potrebbero disorientare i cittadini? Perché non ne parlate all’interno della comunità scientifica anziché portare in piazza le vostre discussioni?
«Noi esprimiamo le nostre opinioni in scienza e coscienza. Non significa incitare al liberi tutti. Però non facciamo populismo».

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