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Xavier Dolan: «Addio regia, ora faccio solo l’attore»

La buona notizia: il 27 giugno arriva – in streaming – Matthias & Maxime di (e con) Xavier Dolan, enfant prodige canadese. Storia di un gruppo di amici (sono gli amici storici del regista anche nella realtà) che si ritrova per un weekend al lago e viene coinvolto in un filmino amatoriale. Ma quando a due di loro viene chiesto di baciarsi davanti alla macchina da presa… Be’, niente sarà più come prima.

La notizia meno buona, invece, la dà lui stesso: «D’ora in avanti voglio solo recitare. Lo trovo più gratificante e più liberatorio che dirigere». E sì che le gratificazioni finora non gli sono certo mancate: la sua opera prima, J’ai tué ma mère (nel 2009, aveva 20 anni!), venne presentato direttamente a Cannes. Il quinto film, Mommy, nel 2014 al festival vinse il Premio della giuria e quello successivo, È solo la fine del mondo, nel 2016 si aggiudicò il Grand Prix Speciale della Giuria.

Xavier Dolan a Cannes (foto Ansa).

Era in It – Capitolo due

La decisione – spiega – l’ha presa girando, come attore, It – Capitolo due, dall’horror di Stephen King. «È stato incredibilmente divertente: ho bisogno di più esperienze di quel tipo, di creare al servizio di qualcuno. Di “esistere” negli occhi di altri artisti. Non è che non mi piaccia raccontare storie ma mi risulta sempre più duro, mi prende un sacco di tempo e di energie. Non intendo certo svegliarmi un giorno e pensare: “Oh, ho girato 18 film in 15 anni, però mi sento come se ne avessi 60”».
Non c’entra – assicura – il fatto che la sua penultima pellicola, La mia vita con John F. Donovan, non abbia avuto un’accoglienza entusiasta malgrado star come Susan Sarandon e Natalie Portman.

Xavier Dolan con Gabriel d’Almeida Freitas a Cannes nel 2019 (foto Ansa).

Sono abituato alle critiche

«Mi era capitato già in precedenza, convivo con le critiche da un decennio e, come disse Georgia O’Keefe, ormai mi sono stabilizzato in una posizione per cui sia le recensioni odiose sia le adulazioni hanno lo stesso effetto, e mi sento abbastanza libero».
“Abbastanza”, perché poi ammette di non essere affatto rilassato, a nessun livello: «Mi sono sempre considerato troppo basso ed è stato un grosso complesso, che ho cercato di compensare apparendo almeno carino». E ancora: « Sono molto, molto duro con me stesso, capace di odiare quel che ho realizzato. Ho bisogno di essere sempre in controllo: posso lasciarmi andare solo quando ho tutto sotto sorveglianza».

Un esempio? «Le lunghe conversazioni che ci sono in Matthias & Maxime attorno a un tavolo, con parecchi dialoghi che a volte si sovrappongono. Non c’è niente di improvvisato: la sceneggiatura è ferrea, benché realizzata con il contributo degli attori. Proviamo la scena, la riscrivo, la proviamo di nuovo, la riscrivo finché le parole scorrono fluide e naturali».

Xaver Dolan e Gabriel D’Almeida Freitas in “Matthias & Maxime”.

“Porto dentro un marchio”

E che Xavier sia una persona ferita ha deciso di “oggettivizzarlo” caratterizzando il suo personaggio, Maxime, con una grande voglia in faccia. «I suoi amici non la menzionano mai, lo accettano davvero per quel che è. Avere un simile “marchio” è un bagaglio pesante, ti sottopone a sguardi indiscreti e a un’attenzione costante da parte di chi magari pensa di essere invisibile e non lo è affatto. Devi imparare a vivere mentre ti fissano, ed è una situazione che conosco bene. Negli ultimi dieci anni sono cresciuto davanti agli occhi della gente, e quel marchio che lui ha sul volto io lo porto dentro. Una sorta di piaga che sanguina, che si tratti delle mie insicurezze o delle mie paure, lenite solo dalla presenza rassicurante degli amici. Proprio come succede nel film».

Xavier Dolan a Cannes nel 2016 con Vincent Cassel, Léa Seydoux e Marion Cotillard (foto Ansa).

“Viva le donne”

In Matthias & Maxime ci sono anche due madri importanti, un suo classico. «Sì, ma le mamme non sono un “tema cinematografico”: sono parte dell’esistenza, rappresentano ciò da cui veniamo. In realtà nei miei lavori spiccano di più perché non ci sono mai figure paterne come contraltare, ma non ne sento la necessità, non mi ispirano. Adoro scrivere per le donne, adoro vestire le donne (è pure costumista, ndr), adoro farle ridere, adoro riprenderle, adoro l’energia che portano, adoro la loro determinazione. Amo le donne!»

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA