24 giugno 2020 - 17:39

Lignano, in discoteca con la maglietta del «centro stupri». Indaga la Digos

Un gruppo prenota un tavolo per festeggiare un compleanno in un locale di Lignano chiedendo di avere un cartellino choc. I clienti protestano e il proprietario lo fa togliere. Scoppia una bufera sui social, poi le scuse.

di Domenico Di Pecile

Lignano, in discoteca con la maglietta del «centro stupri». Indaga la Digos
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Una telefonata in una nota discoteca di Lignano Sabbiadoro con la richiesta di un tavolo per sabato scorso per festeggiare un compleanno. Il giovane chiede che il cartellino da mettere sul tavolo prenotato abbia la scritta «Centro stupri». Detto e fatto. L’apologia dello stupro dei sette giovani friulani — tutti maggiorenni —, si compie sabato sera all’interno della discoteca quando i ragazzi decidono di riprendersi con il telefonino per esibire il cartello del tavolo e postare il video su Instagram. La vicenda è stata raccontata ieri da TPI.

Il cartello rimosso e gli insulti

Finalmente qualcuno all’interno del locale si accorge di quel gesto orribile. Interviene il titolare e fa rimuovere il cartello. Ma ormai la Rete è scatenata. E online spuntano le foto, di qualche giorno prima, degli stessi ragazzi sulle cui t-shirt compare ancora la scritta «Centro stupri». Dopo l’indignazione e la rabbia di centinaia di ragazze, i sette amici indossano l’abito dei leoni da tastiera e si scatenano sui social rincarando la dose. I loro messaggi vogliono zittire e mortificare le ragazze che hanno protestato e lo fanno con messaggi da rabbrividire, messaggi sia a sfondo sessuale sia razziale. Invocano addirittura la riapertura dei lager nazisti: «La parte divertente è proprio lo stupro - scrivono - vuoi mettere quanto è divertente? Ah, e la parola Negro è molto raffinata e ricorda i bei periodi».

Le indagini e le scuse

Sul caso vuole vederci chiaro la questura di Udine che ha coinvolto non solo la Digos ma anche la Polizia postale per approfondire l’aspetto che ha coinvolto anche la Rete. Inoltre la questura pare stia valutando anche eventuali aspetti amministrativi. I ragazzi alla fine hanno chiesto scusa, facendosi trovare tutti assieme quando una giornalista del Messaggero veneto ha telefonato in casa di uno di loro. Ma le giustificazioni da loro avanzate non reggono. Non basta, infatti, che abbiano riferito che tutto quanto è stato detto «non è quello che pensiamo davvero», anche perché i nuovi messaggi sono stati postati il giorno successivo alla serata in discoteca. Loro, però, insistono nel dirsi pentiti: «Siamo mortificati, ci dissociamo totalmente da quello che abbiamo scritto e detto». I loro genitori promettono pene severe. Ma il vero dato, come spiega Pina Rifiorati, avvocato di diritto di famiglia e presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Udine, è che esiste il pericolo che azioni di questo genere possano essere «liquidate semplicemente come fossero ragazzate. Certo, non bisogna mai generalizzare ma qui stiamo tornando spaventosamente indietro».

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