13 giugno 2020 - 07:01

Il Pd: Conte ha violato i patti, ora basta portare la croce

Franceschini lancia la sfida a Conte sul decreto sicurezza: così il Conte 2 dovrà abiurare una legge del Conte 1. E anche Di Maio segnala la sua insofferenza

di Francesco Verderami

Il Pd: Conte ha violato i patti, ora basta portare la croce
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Conte ha violato i patti e il Pd non intende farsi governare da Conte per dpcm. «Non possiamo essere sempre quelli che portano la croce», dice Zingaretti riferendosi al premier, e siccome anche il Cireneo aveva solo due guance, i democratici ritengono di aver esaurito la loro dote di penultimatum.

È vero, c’è il problema dei troppi dossier aperti come assegni posticipati: c’è l’ex Ilva, Autostrade, c’è Alitalia e il resto mancia. Ma il vero punto di rottura riguarda il metodo che palazzo Chigi ha disatteso. Non è una questione banale: è un fatto di potere.

L’accordo stipulato quando nacque l’alleanza giallo—rossa prevedeva che tutte le decisioni passassero attraverso il filtro dei capi-delegazione al governo. Con l’emergenza Covid, Conte ha preso ad accentrare ogni scelta e il muro tra sé e gli alleati è diventato a un certo punto fisico, per via di quella montagna di sondaggi di cui si circonda sulla sua scrivania e che si sono trasformati in uno specchio nel quale rimirarsi, per sentirsi dire dai numeri che nessuno è più forte di lui nel reame.

Così nel Pd è montato verso il premier il malumore, che a detta di un ministro «è crescente». Certo, per i dem tentare la via della crisi vorrebbe dire esporsi al rischio del doppio smacco: qualora non riuscissero a gestire il passaggio e si aprisse la finestra di voto nel 2021, potrebbero perdere la partita elettorale e insieme la scelta del prossimo inquilino al Colle. Ma se è su questo che il premier fa affidamento per resistere a palazzo Chigi, la mossa di Franceschini l’altro ieri in Consiglio dei ministri è stata come l’accettazione del guanto di sfida. Chiedendo al governo di accelerare la modifica del decreto Sicurezza, il titolare della Cultura ha di fatto chiesto al Conte 2 di abiurare quanto fece il Conte 1, offrendo a Di Maio l’occasione che aspettava, stanco com’è di reggere sulle proprie spalle il peso della sedia gestatoria su cui è assiso il premier da due anni. Il titolare degli Esteri non vedeva l’ora, se è vero che di «Giuseppi» — testuale — «mi sono proprio rotto».

L’operazione è stata confezionata da Franceschini in modo efferato: «Con l’aumento degli sbarchi — ha spiegato candidamente — i nostri elettori non accetterebbero che applicassimo le norme scritte da Salvini». Spetterà a Conte provare a mediare coi grillini.

Prima o poi le volpi finiscono in pellicceria, è legge nel Palazzo. E stavolta i democrat non accettano perdite di tempo, perché — per dirla con Delrio— «con la politica del rinvio Conte ci sta portando sugli scogli», provocando peraltro il marasma al Nazareno. Il giochino a scaricare sempre «il peso della croce» di governo per il Pd va fermato. Ancora l’altro giorno, per esempio, la vendita di due navi militari all’Egitto aveva innescato la reazione di una frangia del partito in Parlamento, per via del «caso Regeni» rimasto irrisolto, e aveva esposto il ministro della Difesa. «Cos’è questa storia?», aveva protestato Guerini con Zingaretti: «Avevamo già venduto venti elicotteri al Cairo e nessuno aveva detto niente...». Ecco, i cirenei hanno esaurito le loro guance. Toccherà a Conte spiegare «pubblicamente» la differenza che passa tra la necessaria ricerca della verità per un delitto rimasto senza colpevoli e le delicate relazioni tra Paesi.

Un nodo che si attorciglia a un altro nodo, specie se il groviglio riguarda la polveriera del Mediterraneo e comprende anche la Libia. Su cui il Parlamento italiano dovrà esprimersi a luglio. Il rifinanziamento degli accordi con lo stato rivierasco è legato a una riscrittura del vecchio memorandum, senza il quale un pezzo di sinistra e di cinquestelle potrebbe non votare: «In tal caso — racconta un esponente della segreteria dem — al Senato mancherebbero i numeri». Lunedì Di Maio volerà a Tripoli proprio per cercare un’intesa, poi consegnerà al premier il dossier, che si aggiungerà agli altri dossier. Sono così tanti che per far spazio sulla propria scrivania Conte dovrà forse liberarsi degli amati sondaggi.

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