il caso

Il Papa vuole i responsabili dello scandalo in Vaticano

di Massimo Franco

Il Papa vuole i responsabili dello scandalo in Vaticano

l Papa vorrebbe che lo scandalo del palazzo di Londra si chiudesse quanto prima, magari entro giugno: con nomi e cognomi dei responsabili di quella che si configura come una «stangata». Ma è improbabile che si rispettino i tempi rapidi chiesti da Francesco alla giustizia della Santa Sede. Lo scaricabarile su un’operazione che odora di truffa sta impazzando. «Si fronteggiano ex e nuovo Sostituto della Segreteria di Stato», sostiene una delle persone coinvolte, «con lo Ior sullo sfondo ed i Promotori e la Gendarmeria che tessono la propria narrativa». Ma evocare i nomi del cardinale Giovanni Angelo Becciu, l’ex, e di monsignor Edgar Pena Parra, attuale Sostituto, rischia di semplificare un conflitto combattuto con la pletora di mediatori e finanzieri coinvolti nella compravendita dell’edificio in Sloane Avenue 60. Dietro quell’«affare» che avrebbe fatto spendere finora al Vaticano 350 milioni di euro per un palazzo comprato nel 2012 da una società a circa 150, affiora un mondo pronto a difendersi nel momento in cui si sente minacciato.

Jorge Mario Bergoglio è tuttora deciso a raddrizzare le finanze vaticane dopo i tentativi compiuti in oltre sette anni. Il nuovo codice sugli appalti ne sarebbe la controprova. In più, sta per nominare un numero due all’Apsa, la cassaforte immobiliare della Santa Sede. E sembra volere rilanciare le riforme affidate nel 2014 al cardinale australiano George Pell; ma interrotte bruscamente dal processo per molestie, con l’assoluzione di Pell in appello a Melbourne, e dal siluramento quasi in contemporanea del revisore dei conti Libero Milone, nel 2017. Ma del processo a Pell, un amico di Francesco sostiene che è stato imbastito «con cannoni australiani e munizioni vaticane»: come dire che qualcuno aveva interesse a metterlo fuori gioco per colpire lo stesso pontefice. La sensazione è che ora la guerra tra cordate finanziarie sia esplosa di nuovo. Dopo l’arresto del mediatore Gianluigi Torzi, al termine di un drammatico interrogatorio di alcuni giorni fa in Vaticano, lo scontro si è inasprito.

E’ stata fatta filtrare la notizia che Francesco il 26 dicembre del 2018 ha incontrato Torzi e la famiglia a Casa Santa Marta, la sua residenza vaticana, con tanto di foto. E il finanziere Raffaele Mincione, ex proprietario del palazzo dello scandalo, ha evocato ricadute traumatiche dell’inchiesta in corso. Il 6 giugno ha dichiarato all’agenzia Adnkronos: «C’è una foto di Torzi con il papa, io ce l’ho. Ha avuto questo incarico da Pena Parra, messo dal papa. …Pena Parra verrà arrestato, immagino, insieme a Torzi, visto che è lui che ha delegato…». E ancora: «Lì è in corso una guerra politica, giusto? Il papa va d’accordo con Becciu? No. E chi ha messo il papa al posto di Becciu? Pena Parra. Ecco, il palazzo lo ha comprato lui, che è arrivato dopo quell’altro, su ordine del papa». Troppo semplice, forse. Viene il dubbio che sia un tentativo di scaricare sul passato recente operazioni partite all’inizio del pontificato. Si indovina un formicaio di interessi opachi, sfiorati dalle ultime decisioni papali. Si parla di documenti coi quali da Casa Santa Marta sono stati autorizzati i movimenti di denaro dell’Obolo di San Pietro per gli investimenti immobiliari. E si conferma la sensazione che la cerchia bergogliana sia infiltrata e usata da personaggi a dir poco controversi, ecclesiastici e non, col pontefice strattonato da segnali contrastanti.

La vera domanda è come mai, per decidere alcuni investimenti all’estero, il Vaticano si infili in vicende così opache. Il pasticcio immobiliare rimanda a mediazioni nelle quali appaiono e scompaiono decine di milioni di euro; e passaggi azionari nei quali non è chiaro se alcuni esponenti della Santa Sede siano vittime o complici, o entrambe le cose. La magistratura sta cercando cinque milioni di euro scomparsi nella trattativa tra Torzi e il Vaticano. Ma probabilmente ci sono altri rivoli di denaro da rintracciare all’estero. L’esito non è scontato. Tra l’altro, ci si chiede chi in futuro accetterà di farsi interrogare in Vaticano, col rischio di essere messo in carcere. Il papa appare deciso ad andare fino in fondo: ne va della credibilità di un pontificato che sulle riforme ha vissuto alti e bassi; e che nei giorni scorsi ha potuto registrare il raddoppio degli utili dello Ior, saldamente in mano al direttore «bergogliano» Gianfranco Mammì. Anche all’Apsa, come accennato, aspettano la nomina del nuovo numero due: un «laico» italiano. Ma intanto a metà maggio, finito l’isolamento per il Covid-19, i dipendenti hanno avuto una sorpresa: sarebbe ricomparso monsignor Gustavo Zanchetta, amico di Bergoglio, contro il quale la magistratura argentina ha spiccato nel novembre del 2019 un mandato di cattura per abusi sessuali. Zanchetta, nominato «assessore» dell’Apsa nel 2017, avrebbe ripreso il suo lavoro: un altro dei misteri di questa fase.

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