Come la pandemia potrebbe diventare il punto di svolta per la realtà virtuale

Le vendite dei dispositivi continuano a essere deludenti, ma i visori VR hanno le potenzialità per diventare il dispositivo più adatto al futuro che ci attende

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Durante la fase più severa della quarantena, in tanti avremo probabilmente desiderato un visore per la realtà virtuale. Un modo per sfuggire, almeno digitalmente, alle quattro mura del nostro appartamento e immergerci in qualche località esotica, nella riproduzione digitale di un museo o di qualche sito archeologico. 

La crisi causata dal Coronavirus potrebbe allora segnare il trionfo della realtà virtuale, e rendere di massa uno strumento finora confinato in una nicchia di appassionati? Qualche segnale positivo relativo all’adozione di questa tecnologia inizia effettivamente a vedersi. Per esempio, la percentuale di utenti di Steam (una piattaforma online per videogiocatori) dotati di visori VR è cresciuta del 50% nel mese di aprile; un balzo attribuito sia a una maggiore richiesta in tempo di quarantena, sia all’uscita della versione in realtà virtuale del celebre gioco Half Life. 

Ma questi piccoli segnali positivi impallidiscono rispetto a quelli negativi, che indicano come, prima dello scoppio della pandemia, l’adozione delle tecnologie in realtà virtuale fosse addirittura in rallentamento. Secondo la società di analisi IDC, i dispositivi venduti nel mondo nell’ultimo trimestre del 2019 sono stati solo 1,4 milioni, addirittura il 23% in meno rispetto allo scorso anno.

Le ragioni dietro a queste cifre deludenti sono sempre le stesse: le aspettative troppo elevate nei confronti di una tecnologia ancora immatura e l’esperienza poco confortevole (il visore è scomodo e dopo qualche tempo la realtà virtuale può causare malessere). Soprattutto, il grande vantaggio di potersi immergere in un mondo digitale non compensa la maggiore maneggevolezza e definizione garantita dai classici videogiochi.

Questi sono limiti che col tempo verranno però sicuramente superati, ampliando la diffusione della realtà virtuale non solo tra i gamer, ma anche in un mondo del lavoro che, dopo aver scoperto lo smart working, non tornerà probabilmente più indietro. È questa, secondo molti, la nuova frontiera della realtà virtuale: ricreare in remoto l’ambiente di lavoro in una maniera molto più immersiva e interattiva di quanto non sia possibile fare attraverso i semplici programmi per le videoconferenze.

Lo dimostra anche il fatto che la principale azienda del settore, Oculus, ha annunciato l’introduzione nel suo store di nuove applicazioni pensate per il mondo del lavoro, tra cui Immersed e Spatial. Il primo permette di immergersi in uno spazio di lavoro VR privo di distrazioni, collegandosi in modalità wireless al computer per avere fino a cinque schermi virtuali aggiuntivi. Schermi che possono essere condivisi con i colleghi, i quali possono inoltre teletrasportarsi nello stesso spazio digitale. Spatial è invece una piattaforma di videoconferenze in VR che permette di lavorare da remoto con i colleghi come se ci si trovasse nella stessa stanza e che è stata recentemente adottata da colossi come BNP Paribas e Ford. “L’impressione è di recuperare immediatamente una serie di cose che in videoconferenza si perdono”, ha raccontato a Protocol il responsabile del design di Ford, Michael Smith. “Puoi indicare le persone, chiedere loro di avvicinarsi per mostrargli qualcosa e altro ancora”. 

In un mondo in cui il lavoro da casa si diffonde sempre di più, la realtà virtuale potrebbe quindi diventare lo strumento perfetto per ricreare l’interazione classica con i colleghi, oppure per immergersi nel lavoro senza distrazioni. Non tutti però sono convinti che questa tecnologia potrà mai colmare la distanza tra mondo fisico e mondo digitale: “Le interfacce non sono abbastanza evolute per creare dei luoghi di lavoro accettabili”, si legge per esempio su Axios. “Trovarsi in un ufficio virtuale può sembrare una piacevole novità, finché non devi prendere appunti su una tastiera che non puoi vedere”. 

La realtà virtuale potrebbe essere, almeno in teoria, lo strumento perfetto per vivere in un mondo in cui lo smart working diventerà la norma e in cui potremmo dover affrontare altre fasi di distanziamento sociale o addirittura quarantena. Ma i progressi che questa tecnologia deve fare per diventare un’esperienza naturale come sedersi davanti al computer o prendere in mano lo smartphone sono ancora molti.