(Simona Ravizza) Individuare velocemente un caso sospetto, accertare nel più breve tempo possibile con un tampone l’eventuale positività al Covid-19 e isolare di conseguenza tutti i suoi contatti stretti (familiari, colleghi di lavoro...) è indispensabile. È il motivo per cui il decreto del ministero della Salute del 30 aprile, tra gli indicatori fondamentali per la ripartenza – e in vista di una possibile seconda ondata dell’epidemia –, dà un peso rilevante alla
capacità di ciascuna Regione di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti.
Perché il sistema di tracciamento sia efficace, è necessario che
tra la data di inizio sintomi e la data di diagnosi – come indicato dal Decreto del ministero della Saluet –
trascorrano al massimo 5 giorni. «Dai primi rilevi emerge che quasi tutte le Regioni, a parte un paio, riescono a fare la diagnosi di un caso sospetto entro i tempi fissati – assicura l’epidemiologo Vittorio Demicheli, rappresentante delle Regioni all’interno della Cabina di regia del ministero della Salute per il sistema di monitoraggio –. E viene eseguito almeno il 90% delle inchieste epidemiologiche dei contatti stretti».
Ci sono, però, ancora
troppe differenze tra Regione e Regione nell’efficacia del sistema di sorveglianza.
Come sottolinea la Fondazione Gimbe, tra il 18 maggio e il 3 giugno, per esempio, a parità di incidenza di nuovi casi (4 ogni 100 mila abitanti), il Veneto ha fatto oltre 1.300 tamponi per 100 mila abitanti contro i neanche 800 del Lazio: «La capacità di ricerca del virus resta dunque ancora molto diversa tra le varie Regioni», riflette il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta. Ciò è legato anche
all’efficienza dei laboratori di microbiologia nell’eseguire tamponi e alla presenza di reagenti (ne avevamo scritto qui). Problemi ancora irrisolti e che in vista dell’autunno devono essere superati.
Ricorda il ministero della Salute: «La ricerca e la gestione dei contatti, per essere condotta in modo efficace, deve prevedere un
adeguato numero di risorse umane, quali operatori sanitari e di sanità pubblica, personale amministrativo e, ove possibile, altro personale già presente nell’ambito dei Servizi veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione, da coinvolgere secondo le esigenze locali. Sulla base delle stime dell’Ecdc, per garantire in modo ottimale questa attività essenziale
dovrebbero essere messe a disposizione nelle diverse articolazioni locali non meno di 1 persona ogni 10.000 abitanti includendo le attività di indagine epidemiologica, il tracciamento dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, l’esecuzione dei tamponi, preferibilmente da eseguirsi in strutture centralizzate (drive in o simili), il raccordo con i medici di famiglia, il tempestivo inserimento dei dati nei diversi sistemi informativi».
Questa rete, al momento, non è attiva in molte Regioni.