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“9-1-1: Lone Star”, la serie tv con Rob Lowe vigile del fuoco e beauty expert

Nel primo episodio di 9-1-1: Lone Star – su Fox ogni lunedì – un bambino schizza da un’auto accartocciata sulla cima di un albero, seggiolino compreso; a terra, stesa sulla barella c’è la mamma che osserva l’operazione di recupero, circondata da una sfilza di paramedici e vigili del fuoco con nasò all’insù. Chi si sta arrampicando per recuperare il pupo è Rob Lowe (Owen Stand), il capo dipartimento della caserma di Austin (Texas). Appena trasferito da New York assieme al figlio TK (Ronen Rubinstein), che a fine salvataggio esclama: «Quello è mio padre!». Perché suo padre è un eroe e perché anche lui è un vigile.

Rob Lowe e Ronen Rubinstein (padre e figlio nella serie).

Owen e TK sono fuggitivi convinti che l’aria del Texas sistemerà le cose. Di certo non il cancro ai polmoni di Owen, “regalo” di Ground zero, mentre la nuova location potrebbe fare senz’altro bene a TK: ricaduto nella droga dopo essere stato scaricato dal fidanzato. Per Owen c’è comunque una missione da svolgere a Austin: rimettere in piedi la stazione 1-26 dopo che tutti i vigili – tranne uno – sono morti in un’esplosione. Siccome 9-1-1: Lone Star – costola della serie madre ambientata Los Angeles – è una serie scritta anche da Ryan Murphy (Hollywood, Glee, American Horror Story), i nuovi vigili dovranno rispettare criteri di diversità. Sicché i primi assunti sono una donna musulmana (Marjan), un ispanico ossessivo-compulsivo respinto quattro volte alle selezioni e un vigile di colore transessuale (Paul). 

Judd (Jim Parrack), il sopravvissuto della caserma “covo della supremazia bianca” (che vorrebbe tanto rientrare ma soffre di sindrome post traumatica), chiama il recrutamento “operazione We are the world”. Battuta abbastanza divertente. Fossero tutte così Lone Star invece di essere (erroneamente) lo spin off di 911 sarebbe uno show totalmente grottesco quanto l’escamotage del bambino sull’albero. Niente invece è tragico a lungo, molto invece è fuori dall’ordinario quel tanto che basta per rimanere incollati allo schermo. In quale altra parte del mondo un vigile del fuoco si può permettere una casa di design come quella di Judd? In quale altra caserma, poi, il capo illustra ai dipendenti la skin routine perfetta contro il nemico numero uno dei vigili del fuoco: la secchezza?

Non è la prima volta che la bellezza di Rob Lowe viene sfruttata per quello che è, un fatto eccezionale. In Dietro i candelabri era la smorfia affilata di un chirurgo plastico, nell’andamento da sitcom di 9-1-1 diventa invece una gag d’ufficio: non approfittarne sarebbe stato un atto criminale. Poco importa che Owen abbia nel cassetto una lastra con due macchie scure sui polmoni: come durante la recente quarantena non c’è ragione di apparire sciatti e in tuta. E forse gli Stetson, i balletti country, i bovini tipici del Texas fanno davvero bene alla salute. A TK per esempio le cose vanno più che bene. Manco fosse finito a Oz riesce a rimorchiare un ragazzo gay in un locale etero, ovviamente la copia di un modello da copertina di Men’s Health. 

Liv Tyler è Michelle Blake.

Se 9-1-1: Lone Star diventerà uno studio di caratteri più approfondito, come la diversity studiata a tavolino fa supporre, si scoprirà ogni lunedì alle 21. Intanto il ritmo c’è, i salvataggi estremi introdotti secondo il format della chiamata registrata al numero di emergenza pure. La differenza con la squadra di Los Angeles la fa il “ritorno” del re della serie tv, Lowe. E quello di Liv Tyler, paramedico fumantino che cerca di capire in parallelo che fine ha fatto la sorella. Ma siccome 9-1-1 Lone Star è una serie scritta e prodotta da Ryan Murphy (oltre che da Brad Falchuk e Tim Minear), per il suo successo (già confermata la seconda stagione) potrebbero bastare le metanarrazioni.

Lowe che sciorina consigli di bellezza va benissimo, ma Liv che a un certo punto indossa un abito a fiori con anfibi pescato da Io ballo da sola è un altro livello. Per un certo tipo di pubblico un vero effetto speciale.

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA