I vecchi soldati
non muoiono: svaniscono

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
perché lei scrive che gli americani consideravano il generale MacArthur il vero vincitore della Seconda guerra mondiale?
Sandro Carta, Milano

Caro Sandro,
L’America era stata attaccata e inizialmente umiliata dai giapponesi. Battere i giapponesi era, per l’animo profondo del popolo americano, la priorità assoluta, più ancora che battere Hitler. E fu il generale Douglas MacArthur a ricevere a bordo della corazzata Missouri, ancorata nella baia di Tokyo, il ministro degli Esteri Mamoru Shigemitsu e il generale Yoshijiro Umezu, venuti a portare la resa incondizionata del Giappone (2 settembre 1945). In precedenza MacArthur era stato l’eroe della resistenza americana del Pacifico, a dispetto del pessimo rapporto personale con il collega George Marshall, capo di Stato maggiore, che accusava di averlo abbandonato alla mercé dei giapponesi. Riconquistò le Filippine, piegò l’Impero del Sol Levante, lo occupò militarmente, ne gettò le basi democratiche. Ed evitò con cura di imporre l’abdicazione dell’imperatore Hirohito, che «neppure nei giorni del grande massacro si era distolto dalla cura dei suoi fiori» (Giorgio Bocca).
Ma per MacArthur la guerra non era finita. Nel 1950 rintuzzò l’attacco dei nordcoreani, invase il Nord, occupò Pyongyang; fu preso di sorpresa dall’offensiva cinese, retrocedette, si ritrovò, contrattaccò, liberò Seul. Propose di usare contro i cinesi l’arma atomica, nell’illusione di poter liberare pure Pechino, senza provocare l’intervento sovietico. Il presidente Truman, che non voleva un’altra guerra mondiale, lo depose. Ma quando MacArthur dopo undici anni rientrò in patria, misurò la propria immensa popolarità. A San Francisco trovò mezzo milione di persone ad attenderlo. Sfilò tra due ali di folla plaudente a New York e a Chicago. Annunciò il suo ritiro al Congresso, interrotto da trenta ovazioni in piedi, citando una vecchia ballata militare: «Old soldiers never die, they just fade away»; i vecchi soldati non muoiono mai, svaniscono (è una frase che Igor Man sosteneva si potesse dire anche dei vecchi cronisti, e la citava ogni volta che doveva dire addio a un collega). MacArthur aggiunse: «Io adesso chiudo la mia carriera militare e semplicemente svanisco. Goodbye».
(Purtroppo non finì davvero così. Il vecchio soldato brigò per avere la nomination repubblicana; ma gli fu preferito un collega più cauto, Dwight Eisenhower).

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«Ciao Carlo Enea, le tue lettere ci mancheranno»

Vorrei ricordare un caro amico, collega di scrittura, che da qualche tempo non spedisce più le sue missive al Corriere. Purtroppo il virus che imperversava nelle valli bergamasche se lo è portato via. Carlo Enea Pezzoli, novantunenne, medico chirurgo primario, per quattro volte sindaco di Leffe, paese della Val Gandino-Seriana, scriveva con una certa frequenza lucidi, ben articolati e pepati messaggi sulla situazione di questo disastrato bel Paese. A me, suo amico di penna, onorato della sua stima, inviava in copia questi messaggi, con un commento costante, «vediamo se me lo pubblica». Gli rispondevo: sono d’accordo su quanto scrivi ma se vuoi che il Corriere pubblichi le tue lettere, devi ammorbidire, smussare, insomma attenerti alla melassa cerchiobottista. Altrimenti, niente. Infatti. Gli suggerivo di leggere «Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco ...» prima di scrivere. Un po’ d’ironia talvolta aiuta. «No, devono sapere che non tutti sono d’accordo sulla melassa e bisogna dirglielo senza se e senza ma», mi rispondeva. L’ultimo messaggio lo ha mandato il 5 febbraio. Molti lettori non sanno della laboriosa rete di contatti quotidiani che sta dietro a questa molto letta rubrica. Se ne è andato un maestro di educazione civica, merce sempre più scarseggiante dalle Langhe alle Piramidi. Quanta strada nei nostri sandali. Ciao dottore.
Luigi Cerea

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