Jacopo si affretta a riportare nel locale i tavolini sistemati sul marciapiede, mentre i suoi colleghi ripuliscono il bancone sull’uscio del locale. L’afflusso di cappucci neri è un campanello d’allarme per i residenti della zona, è il caso di rientrare a casa e chiudere i pochi negozi sopravvissuti al Covid. Come quello dove lavora Jacopo, Piccola Cucina, piatti siciliani e vino etneo. Si trova sulla 60esima tra Lexington e Park a Manhattan, ha appena riaperto dopo circa due mesi di chiusura forzata. Solo qualche tavolo all’aperto dove si può bere un bicchiere mentre si aspetta il cibo, rigorosamente da asporto. Per lui, come per tanti commercianti, il primo scorcio del 2020 è stato disgraziato. Ma la malasorte potrebbe non essere finita. Il sindaco di New York ha da qualche ora annunciato il coprifuoco, dalle 23 sino alle 5 del mattino non si può circolare, fatta eccezione per il personale essenziale e i media. Una misura indispensabile viste la maratona di scontri seguiti all’uccisione del cittadino afroamericano George Floyd successiva al suo violento arresto avvenuto la scorsa settimana, a Minneapolis.

Lo shopping criminale

La speranza di dar vita a dimostrazioni pacifiche, di sana protesta e di legittima rivendicazione per una giustizia più giusta, è stata spesso fagocitata da violenza e banditismo. Jacopo chiude il locale: «Ci vediamo nei prossimi giorni, spero». Il dubbio è legittimo perché il coprifuoco non sembra affatto intimorire i facinorosi radunati a Midtown. Giungono in auto, in bicicletta o in metro, alcuni trascinano una valigia con le ruote. Central Park South, lato Quinta Avenue, sembra la brutta copia del parco del Bronx dove i Guerrieri della notte (Warriors) si incontrano con le altre bande all’inizio del film di Walter Hill. Ma questi di guerriero hanno poco e, soprattutto, non sono lì per difendere il territorio, ma per spartirsi il bottino dello shopping criminale. Sono neri, ispanici e qualche bianco, uomini e donne, tante donne che sperano di tornare a casa griffate dalla testa ai piedi. Di politico non c’è nulla in tutto questo, di questioni sociali e razziali hanno appreso solo qualche rudimento per osmosi, giusto per sputare insulti alla guardia di turno o ai malcapitati passanti. Esigui in realtà, New York è oggi terra di nessuno. I pochi che brandiscono cartelli con scritto «I can’t breathe» (non posso respirare), le ultimi parole esalate da Floyd prima di morire sotto il peso del ginocchio del poliziotto bianco sul suo collo, sono ai margini, talvolta vengono anche derisi.

«Sono degli sciacalli», dice Pablo, uno di quelli che di manifestazioni ne ha fatte, ma sempre sane. «A Foley Square ci sono molti che stanno marciando per la giustizia, speravo si potesse fare lo stesso qui». Ma oggi per gente come Pablo sulla Quinta Avenue non c’è posto. Questa notte è dedicata solo allo shopping criminale. Ci incanaliamo nella fiumana di cappucci neri, alcuni di loro hanno fatto già il riscaldamento, tentati dai grandi marchi di Bloomingdale’s. Le barricate installate sulle vetrate del grande magazzino limitano i danni, qualche crepa ai margini, ma nulla di più. «Inutile perdere tempo, il meglio deve ancora venire», dicono i riottosi. La marcia prosegue mentre lampeggianti e sirene blindano il perimetro, auto e furgoni della polizia piantonano gli angoli a rischio, flottiglie di biciclette Nypd seguono a distanza i facinorosi. Il confine della 57esima è considerato il punto di non ritorno, chi lo varca ne esce con le tasche piene e con le manette ai polsi. Il primo negozio a essere preso di mira è Bergdorf Goodman, il grande magazzino di lusso, un’icona dello shopping di fascia alta. C’è chi predilige il casual e punta al negozio della Nike, le scarpe, manco a dirlo, vanno per la maggiore. Molti escono con le scatole rosse in mano, c’è chi le Air Max Jordan se le porta via al collo con i lacci legati, chi invece si concede il lusso di levarsi le vecchie calzature per indossare le nuove. Una coppia tenta di rubare il terminale usato per personalizzare le scarpe. I più eruditi puntano su Barnes and Nobles, la libreria, ma oltre i libri trovano poco: «Una felpa si rimedia sempre». Il trionfo è da Best Buy, negozio di elettronica, immancabile il maxi schermo e le cuffie stile dj, i telefonini non vanno più.

Tensioni sindaco-governatore

Il frastuono delle vetrine in frantumi fa tremare la Quinta. E suona la carica della polizia, la prima di una lunga serie, il corteo di saccheggiatori si disperde in flottiglie che si muovono verso Madison e la Sesta, trovando copertura tra le poche strade che non sono state transennate dalla polizia. C’è chi si lancia nel negozio di North Face approfittando del vuoto sulla 43esima. C’è chi riempie la valigia con le rotelle (ecco a cosa serviva), chi la valigia se la porta via dal negozio. La polizia carica di nuovo sulla Madison, scattano i primi arresti: manette di plastica e terga a terra. Qualcuno è invece sdraiato a pancia sotto: «È un pezzo grosso», ci spiega un’agente. Ci fa pensare che tutto questo non è solo figlio di un ignorante spontaneismo. La polizia a volte si lascia scappare qualche sciacallo. E questo ha fatto infuriare il governatore Andrew Cuomo, che ha attaccato il sindaco Bill de Blasio: «Ritengo che abbia sottovalutato il problema, lui e le forze dell’ordine non hanno fatto il loro lavoro».

Dopo aver lanciato pietre sulla Public Library (quale più infame simbolo del capitalismo) la marcia dei violenti prosegue verso Herald Square, non prima di prendersela con le vetrate alla base dell’Empire State Building (del resto è il simbolo dell’Impero). Macy’s è la meta conclusiva, tappa obbligata del saccheggio urbano: il grande magazzino viene ripulito con dovizia. E domani? «Downtown l’abbiamo bruciata, la Quinta è stata svuotata, proviamo a Times Square?». «Gotcha bro! Attenzione però domani tocca iniziare prima, il coprifuoco è alle venti»

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