Al chilometro 83 c’era già
il generale Pappalardo

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
ma da dove spuntano i Gilet arancioni? Sfidano forse le Sardine che, visti i tempi, dovranno come minimo cambiare di nome? Che sorta di personaggio è il «generale» che li guida? Parrebbe di tutto rilievo, dato che ha militato a lungo nell’Arma «nei secoli fedele».
Alex Prato

Nella ripartenza, sarà necessario muoverci con intelligenza, in nome di una Italia intesa come sistema di bellezza e di valori. Come non preoccuparsi osservando quanti cittadini, forse esasperati da problemi economici, aizzati come sanculotti nei luoghi centrali di Milano e Roma? Mossi da un pifferaio magico a suon di propaganda farneticante, senza rispetto per la loro salute.
Brunella Guatta brugua@hotmail.it

Cari lettori,
La levatura morale e intellettuale del generale Pappalardo è quella che emerge dall’esilarante intervista scritta ieri sul Corriere da Fabrizio Roncone. Sarebbe divertente, se non fosse inquietante, anche il fatto che il suddetto generale fa il capopopolo da quasi dieci anni, forse più.
Nel gennaio 2012 me lo ritrovai davanti al chilometro 83 della Pontina, dove i camionisti in sciopero avevano bloccato il traffico tra Latina e Roma. Sulle barricate erano arrivati anche agricoltori e commercianti in difficoltà. Il movimento scelse un simbolo evocativo: il forcone. In pochi minuti fui sommerso da voci di protesta che mettevano insieme tutto, sventure pubbliche e private: «Vogliono sostituirci con i romeni che lavorano diciotto ore al giorno e mangiano una volta sola!»; «l’assicurazione è aumentata del 30 per cento in un colpo!»; «i politici hanno svernato alle Maldive con i nostri soldi!»; «avevo una pizzeria, pizzeria Ippocampo, ho dovuto venderla quando mi è arrivata la tassa dei rifiuti: seimila euro!»; «la Merkel è peggio di Hitler!».
I leader erano Sergio Pacini, detto Albatros, autotrasportatore — «mio padre Pacini Antonio fondò con mio zio Pacini Luigi la Autotrasporti Pacini, e a me tocca chiuderla» — e appunto il generale Pappalardo, che già si diceva pronto a marciare su Roma. Il punto è che il disagio sociale in Italia esiste. E non è detto che sia destinato a manifestarsi sempre in modo caricaturale, tipo presidio senza mascherine con pandemia in corso: quella sì roba da chiamare i carabinieri.

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«Evento annullato: senza rimborsi, falliremo»

Sono un piccolo tour operator italiano con la società che ha sede in Germania e attualmente sono coinvolto in una vera e propria «assurdità», ritrovandomi con il cerino acceso in mano. Ecco i fatti: avevamo programmato un evento per una azienda svizzera da tenersi sul Lago Maggiore a metà giugno 2020. Oltre 220 camere erano state prenotate presso l’hotel Dino di Baveno. Abbiamo pagato un anticipo di circa 50.000 euro. Adesso la mia società, in quanto obbligata a rispettare le leggi tedesche ed europee, deve restituire tutti i soldi al cliente svizzero. Infatti in Germania l’ipotesi del voucher obbligatorio non è contemplata, mentre l’hotel, forte della legge «Salva Italia» non mi restituisce nemmeno un euro, ma solo un voucher (con obbligo di accettazione per la legge italiana). Ma noi del voucher non sappiamo che cosa farcene, perché l’evento ormai cancellato non potrà esser spostato in altra data. Morale: l’hotel di fatto si arricchisce di 50.000 euro senza fare assolutamente nulla, mentre io devo rimborsare per legge 50.000 euro e fallisco. Concludo dicendo che noi rappresentiamo solo un caso delle centinaia di tour operator/turisti stranieri che perderanno i soldi per finanziare strutture italiane. Questa è definibile giustizia? Oppure si tratta di altro?
Fabio Pittella s.kaestel@adagio-con-brio.com

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