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«Banche, con la crisi il divario Usa-Europa si allargherà ancora»

Lorenzo Bini Smaghi: «Le dimensioni consentiranno ai colossi statunitensi di assorbire meglio lo shock. Questa fase è l'occasione per promuovere un vero mercato unico dei capitali»

di Alessandro Graziani

(IMAGOECONOMICA)

4' di lettura

«Il divario tra grandi banche Usa ed europee è destinato ad aumentare. In entrambi i continenti si prospetta un calo della redditività, ma le dimensioni consentiranno ai colossi statunitensi di assorbire meglio e più rapidamente lo shock economico. In Europa servono grandi banche, ma temo che le aggregazioni paneuropee purtroppo per un po’ di tempo saranno impossibili. Sia per il calo della redditività, e quindi per la crescente difficoltà ad attrarre capitali privati. Sia perché, essendo diventate strumento di politica economica, è difficile che gli Stati rinuncino proprio in questa fase ad avere banche nazionali».

Lorenzo Bini Smaghi, economista e banchiere, è stato membro del consiglio direttivo della Bce ed è attualmente presidente della banca francese Société Générale. In questa intervista al Sole 24 Ore sostiene che la crisi economica scatenata dal Coronavirus possa essere sfruttata dall’Europa come un’occasione per accelerare nel processo di integrazione.

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«Il Mes e il progetto di Recovery Fund rappresentano una svolta», commenta l’economista che giudica positivamente l’operato di Bce e «sbagliata e incoerente con i Trattati la sentenza della Corte Costituzionale tedesca». Quanto alle banche europee, si preannuncia un periodo difficile e Bini Smaghi auspica che la crisi rappresenti «l’occasione per promuovere un vero mercato unico dei capitali».

Partiamo proprio dalle banche. Vede il rischio di nuove nazionalizzazioni nel settore bancario? E il temporaneo ruolo pubblico degli istituti di credito andrà a danno degli azionisti privati?

Mi auguro di no, anche perché la nazionalizzazione delle banche va contro l’idea del mercato unico europeo. Tuttavia, il rischio non può essere escluso, dato il calo di redditività del sistema bancario, che si accentuerà per effetto della crisi e dei vincoli regolamentari. Se si accentua il ruolo di utility “pubblica”, le banche diventeranno ancora meno attraenti per gli investitori privati.

Inevitabilmente la crisi genererà nuovi Npl. È d’accordo con la proposta del capo della Vigilanza Bce Andrea Enria di creare una band bank europea?

Le bad bank vanno finanziate con capitali pubblici. Bisognerà vedere se il problema degli Npl sarà uguale in tutta Europa o se riguarderà principalmente i paesi che non hanno completato la riduzione dei crediti a rischio prima della crisi. Il problema dovrebbe riguardare soprattutto le banche medio-piccole, meno redditizie e meno attrattive per i capitali privati.

Oltre ad acquistare titoli di Stato, la Bce sta inondando il mercato di liquidità. A giugno ci sarà una nuova Tltro. È indispensabile per le banche europee?

In questa fase le banche non sono il problema, semmai parte della soluzione. La preoccupazione è che la liquidità, erogata a tasso negativo dalla Bce, arrivi all’economia reale, e che si eviti un credit crunch. E in un’Europa in cui il mercato dei capitali è ancora arretrato, il credito viene fornito soprattutto dalle banche. Le garanzie statali sono essenziali perché consentono alle banche di fare prestiti senza impattare sui requisiti patrimoniali. Il problema è l’efficacia dei programmi di garanzia, che sono diversi tra paesi.

Cosa pensa dell’intervento della Corte Costituzionale tedesca sulla Bce? Può imbrigliarne l’azione?

No, la Bce può continuare la propria azione e anche rafforzarla se servirà. L’intervento della Corte tedesca è incoerente con i Trattati europei ed è preoccupante per l’indipendenza della Bce, il cui mandato è la stabilità dei prezzi. Dover tener conto di altri effetti che derivano dall’acquisto di titoli significherebbe politicizzare il suo operato. Ciò paralizzerebbe la Bce, che ha invece agito in modo tempestivo nella crisi.

Crede che le risposte che darà la Bundesbank alla Corte tedesca chiuderanno per sempre questa inattesa fase di incertezza?

Me lo auguro. Certo, resta sempre l’ipotesi di nuove future denunce alla Corte Costituzionale che costringeranno la Bce a esami continui.

Dopo la proposta di Germania e Francia sul Recovery Fund da 500 miliardi, il 27 maggio arriverà il progetto della Commissione Ue. Per alcuni osservatori, si tratta di una svolta per l’Europa, per alcuni analisti c’è invece il rischio che il fondo abbia dimensioni limitate e arrivi troppo tardi. Che ne pensa?

La proposta franco-tedesca rappresenta un cambio di impostazione importante perché apre a una vera politica fiscale europea. I 500 miliardi ipotizzati a fondo perduto hanno un effetto molto più rilevante, anche in termine di leva finanziaria, di semplici prestiti. Certo, per ora si tratta di una proposta, il negoziato con gli altri Paesi europei è in corso. Ma è evidente, a mio parere, la forte volontà della cancelliera tedesca Merkel di fare del rafforzamento dell’Europa un suo lascito politico.

Sull’utilizzo del Mes “sanitario” da parte dell’Italia lei si è già espresso a favore. Per ora solo Cipro lo ha richiesto. Crede che l’eventuale richiesta dell’Italia comporti uno stigma nei confronti degli investitori?

Al contrario, lo stigma da parte degli investitori potrebbe esserci se non lo utilizzeremo. Un paese come l’Italia che rifiuta un prestito che costa meno delle emissioni di titoli di Stato nazionali dà l’impressione di fare scelte poco razionali, su basi ideologiche.

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