25 maggio 2020 - 21:12

Lance Armstrong, nel documentario choc è l’anti Jordan: «Per me non c’è redenzione»

Dopo «The Last Dance», ora su Espn «Lance», viaggio in un animo tormentato: «Avevo in testa solo una cosa: doparmi. Non sapevo gestire un rapporto umano. Con mia moglie sono stato osceno. Io come Ullrich e Pantani»

di Marco Bonarrigo

Lance Armstrong, nel documentario choc è l'anti Jordan: «Per me non c'è redenzione» Lance Armstrong, 48 anni: è stato ciclista professionista dal 1992 al 2011 prima di venir travolto dallo scandalo doping (Afp)
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«Non mi costava nessuna fatica mentire: ho detto migliaia di bugie. Ero convincente, mentivo guardandoti dritto negli occhi: io dopato? Come osi pensarlo? Bugie e arroganza. Ero un animale da corsa: quando scendevo dalla bici non avevo idea di come gestire un rapporto umano». Se con «The Last Dance» l’America celebra Michael Jordan, eroe assoluto dello sport, con «Lance» (in onda da ieri negli Usa) Espn seppellisce il suo campione più disgraziato, Lance Armstrong.

Rivelazioni poche, le due puntate sono piuttosto un viaggio profondo nell’animo tormentato dell’uomo che ha vinto sette Tour de France e raccolto miliardi per la lotta ai tumori prima di veder sbriciolata la sua reputazione.

Si parte da un ragazzino problematico: «Un bulletto negato per baseball e basket che voleva disperatamente eccellere. Provai nuoto e triathlon e poi incontrai il ciclismo, sport selvaggio come me». Si passa al dopato precoce. «A 21 anni prendevo l’ormone della crescita che stimola il buono e il cattivo nell’organismo. Possibile sia stato causa del mio cancro».

Armstrong a 25 anni sviluppa un tumore devastante («Andai dal medico solo dopo aver tossito sangue a fiotti: la mia cucina sembrava una scena del crimine») e poi, dopo operazioni e cure pesanti, torna in sella con lo stesso pensiero fisso in testa: «Doparmi. Era arrivata l’Epo e sapevo che con lei potevo vincere e diventare ricco. Mi serviva solo un medico bravo, Eddy Merckx mi presentò il migliore, Michele Ferrari. Quando iniziai a vincere non dovevo nemmeno respingere le accuse: è un sopravvissuto, scrivevano i giornalisti, figuriamoci se Lance si dopa».

C’è il suo disprezzo per i rivali, tutti tranne uno: «Li odiavo, odiavo questo stringersi le mani, darsi pacche sulle spalle, odiavo la loro ipocrisia. Amavo solo Jan Ullrich, mio grande avversario. Venivamo entrambi da famiglie sfasciate, abbiamo vinto tutto col doping e poi gettato al vento fama, denaro e matrimoni diventando due reietti. L’ho incontrato in Germania mentre provava a disintossicarsi: è stato angosciante».

Di tre cose si è pentito: «Ho rovinato la vita a Emma O’Reilly, la mia massaggiatrice, dandole pubblicamente della prostituta per avermi smascherato. Ho violentato Filippo Simeoni, il corridore che denunciò il mio legame col dottor Ferrari. Avrei potuto metterlo in un angolo, lo minacciai come un boss mafioso durante la diretta televisiva del Tour. Sono stato osceno quando ho piantato mia moglie Kristin e i bambini per flirtare con la starlette di turno».

Sulla caduta: «Mi hanno incastrato i miei ex compagni. Tutti. Con una firma sui loro verbali avrei avuto un sconto di pena e mantenuto i miei sponsor. Lance testimonial dell’antidoping, il cattivo redento che insegna agli altri a non peccare. Li mandai a farsi fottere. Ho confessato da Oprah in tv perché volevo scegliere io come e dove immolarmi». E l’epilogo: «Ho chiuso i conti con la giustizia ma resterò un emarginato. Gli italiani glorificano un ex ciclista come Ivan Basso, gli offrono un lavoro, lo invitano in tv. Eppure Ivan ha fatto cose simili a quelle che ho fatto io. L’Italia ha ucciso Pantani, la Germania disprezza Ullrich e gli americani mi odiano. Per tre come noi non ci sarà redenzione».

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