25 maggio 2020 - 15:07

Coronavirus, la ricetta del Giappone: soia, niente strette di mano, mascherine e (molto) senso civico

I presupposti per il disastro, in uno dei Paesi più vecchi al mondo in cui la costituzione vieta di dare ordini come un lockdown, c’erano tutti. Come ha fatto Tokyo - che dice addio allo stato di emergenza - a uscire anche dalla seconda ondata?

di Irene Soave

Coronavirus, la ricetta del Giappone: soia, niente strette di mano, mascherine e (molto) senso civico
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Nelle ultime due settimane, a Tokyo — una delle megalopoli più densamente popolate al mondo, con 14 milioni di abitanti — si sono registrati soltanto 40 nuovi casi di Covid-19. Sembra che stia finendo, in Giappone, anche la «seconda ondata» dell’epidemia di coronavirus: in tutto il Paese ci sono stati 16 mila contagi circa (su 126 milioni di abitanti), e «appena» 784 morti, e già in 42 prefetture sono state interrotte le misure di confinamento. La risposta giapponese alla crisi sembra adesso tra le più efficaci al mondo. Adesso: perché lungo tutta la prima ondata, iniziata con il primo paziente registrato il 16 gennaio, è sembrato che un disastro fosse sul punto di esplodere.

I «fattori di rischio» del Giappone

Gli ingredienti, del resto, c’erano tutti. Quasi il 30% dei cittadini ha più di 65 anni, proprio la fascia demografica in cui la mortalità del Covid-19 è più alta. La Costituzione, secondo la quale il premier Shinzo Abe ha pure potuto dichiarare (il 7 aprile scorso) lo «stato di emergenza» (sollevato lunedì 25 maggio), non consente in uno spirito antiautoritario divieti o multe, ma solo «consigli» o «richieste» da parte dei governatori: una risposta che a molti, all’inizio, è sembrata troppo timida, tanto che dopo il fortunato neologismo Abenomics (che designava le misure macroeconomiche di crescita messe in atto da Abe) i giapponesi hanno coniato il meno positivo termine «Abenomasks», che alludeva tanto alle mascherine inviate a ogni famiglia (in numero insufficiente) quanto al carattere percepito come un po’ posticcio delle sue politiche antivirus. Non a caso, mentre uno studio della società di sondaggi Morning Consult stima che in media i leader di tutto il mondo abbiano guadagnato il 9% dei consensi, Shinzo Abe è uno dei pochi che invece ne ha persi, calando del 10% come solo il presidente del Brasile Jair Bolsonaro.
Non hanno aiutato la scarsità dei tamponi fatti da un sistema sanitario molto pesante e pieno di costi; la sensazione di molti che la pandemia sia stata sottovalutata, all’inizio, per non rinviare le Olimpiadi, decisione che Abe non ha preso che a fine marzo; il caso della nave da crociera Diamond Princess, tenuta al largo di Tokyo in quarantena per quasi un mese fino a che 705 delle 3.700 persone a bordo si sono ammalate di Covid, e uno è morto.

Teorie disparate: dai fagioli «natto» al meteo

Quindi come ha fatto il Giappone a evitare il disastro? Le teorie nel mondo sono state le più disparate: uno studio dà molti meriti al natto, un composto di fagioli di soia fermentati molto comune in tavola, che potenzierebbe la risposta immunitaria; alla consuetudine dei medici giapponesi a trattare le polmoniti più ostiche; e perfino, secondo uno studio informale ma non troppo faceto, alla scarsa presenza nella lingua giapponese di consonanti «plosive», che costringono quindi a sputacchiare quando si parla.

Un misto di senso civico e buone abitudini

Ma l’ingrediente chiave sarebbe, secondo gli esperti interpellati dal Guardian, un misto di responsabilità individuale, senso civico dei cittadini e buone pratiche del governo. Il governo: se è stato lento a chiudere le frontiere, Abe è stato tra i primi leader al mondo invece a vietare del tutto le occasioni di affollamento: musei, parchi, cinema sono stati chiusi subito, e tutti gli eventi sportivi e musicali cancellati. Abe ha avuto il coraggio di chiudere le scuole a marzo, in una pioggia di critiche: scemate poi quando molti altri Paesi nel mondo lo hanno seguito. Ma il fattore fondamentale, secondo i ricercatori del Waseda Institute - un centro di ricerca di politica economica di Tokyo - è stata la cultura dei cittadini. Il forte senso di responsabilità individuale dei giapponesi, già abituati peraltro culturalmente a limitare il contatto fisico, a usare le mascherine e a una scrupolosa igiene personale (e al religioso togliersi le scarpe al momento di entrare in casa), avrebbe fatto la differenza.

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