Economia

Consumi, nella fase 2 il marchio "made in Italy" fa salire le vendite. E il packaging gioca un ruolo importante

Riferimenti all’italianità sulle confezioni come la presenza del tricolore e la scritta “100% italiano” potrebbero essere tra le leve del successo dei prodotti nel post emergenza. Da una ricerca dell’Osservatorio Immagino è infatti emerso come l’etichetta che evidenzi l’origine italiana aumenti le vendite dello 0,7% in presenza del tricolore e del +3,5% con la scritta “100% italiano”. Ma rimane il problema del falso made in Italy che all'Italia costa 100 miliardi l'anno di perdite a livello mondiale

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ROMA - Trovati i braccianti (grazie alla "sanatoria" per sei mesi di 220 mila stranieri) ora il problema sono i prezzi. Sono in crescita, soprattutto quelli di fratta e verdura. E se la raccolta o la produzione è 100% italiana o ha la bandierina bianca rosso e verde sul packaging, non è detto che il prezzo sia più basso. Tutt'altro, mangiar bene costa. Ma secondo secondo una ricerca di Coldiretti, l'80% degli italiani è disposto a pagare qualcosa di più (fino al 20%) se il bene che acquista è made in Italy. Ecco perché c'è chi sostiene che il rilancio dell'agricoltura e dei consumi post Covid 19, debba passare dall'italianità della merce e scriverlo chiaro e tondo sulle confezioni aiuta. Perché il richiamo all'italianità nel mondo della grande distribuzione continua a essere una delle caratteristiche più apprezzate dai consumatori nella ricerca di prodotti alimentari. A dimostrare una teoria che già ha delle solide basi (il made in Italy è molto apprezzato anche all'estero) è un'indagine condotta dall'Osservatorio Immagino di GS1 Italy su un campione di quasi 20mila referenze: se nell'etichetta c'è un richiamo all'italianità del prodotto (come il tricolore), l'aumento delle vendite fa un salto dello 0,7%, alimentando un giro d'affari che ha superato i 7 miliardi di euro. Questo per il passato. Ma il Covid 19 sembra aver spinto ancor di più i consumatori a sentirsi più tranquilli mangiando ciò che è prodotto in Italia.

L'italianità dei prodotti, secondo l'indagine, copre infatti il 25,2% delle referenze a scaffale e incide per il 24,4% sul fatturato del largo consumo. Dati positivi che, secondo gli esperti del settore dei consumi e della produzione, devono essere presi in considerazione anche nel post epidemia per rilanciare le vendite. Sempre che i consumatori, che sono anche cittadini, possano permetterselo, viste le fragilità del mercato del lavoro che emergeranno e già sono emerse nel post Covid 19. Chi il lavoro lo perde è più probabile mangi "junk food", cibo spazzatura. Costa meno quasi sempre.

"Nonostante l'emergenza sanitaria abbia destabilizzato l'economia globale, siamo fortemente convinti che i beni alimentari nostrani vadano tutelati al 100% e stiamo lavorando in questa direzione, continuando a investire nella realizzazione di prodotti attenti alle nuove esigenze dei consumatori per il post epidemia - spiega Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor - La garanzia di italianità e la presenza del tricolore sul packaging dei prodotti saranno leve fondamentali per il successo della GDO nel post epidemia". 
 
Oltre all'importanza del tricolore sul packaging, grande risalto è dato dalla scritta "100% italiano" che, sempre secondo la ricerca dell'Osservatorio Immagino, ha registrato una crescita del +0,4% dell'offerta e del + 3,5% nel giro d'affari su base annua. Performance estremamente positive anche per i marchi Doc-Docg che coprono il 2% del fatturato del made in Italy alimentare, mettendo a segno un aumento del 3,4% rispetto al 2018. E ancora, il trend delle etichette Dop si è mantenuto stabile con un aumento dell'1,8%. Conferma anche Ercole Vagnozzi, professore di Business Intelligence & Customer Relationship Management presso l'Università "Alma Mater" di Bologna: "Non esiste più una vendita di prodotti, ma esclusivamente vendita di un servizio - spiega Vagnozzi - in cui il prodotto rappresenta parte del processo che ingloba preacquisto e post acquisto. Nell'omnicanalità della vendita del servizio sul prodotto made in Italy, pertanto, la presenza della bandiera sulle confezione è l'emblema essenziale perché agevola gli scambi commerciali e rappresenta il biglietto da visita primaria per l'export. La comunità virtuale del mangiare italiano nel mondo è in continua crescita, e lo sarà anche nel post crisi coronavirus, generando il cosiddetto "glocalismo". Un aspetto positivo che si contrappone ai grossi stravolgimenti del prodotto che favoriscono l'italian sounding, rappresentandone una mera imitazione. Nel futuro prossimo i produttori dovranno gestire attentamente la messa a valore di queste esperienze, determinando il vantaggio competitivo difficilmente imitabile". Rimane però un problema, il falso made in Italy, di cui sono piene cronache e scaffali. Produttori che sulle confezioni appiccicano l'etichetta "made in Italy" su prodotti che di italiano hanno solo il nome. Un fenomeno che costa all'Italia (dati Coldiretti) oltre 100 miliardi di euro nel mondo.