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Come è cambiato (in meglio) l’employee experience nell’emergenza Covid-19

Due persone su tre affermano di sentirsi maggiormente efficaci nella modalità lavorativa da remoto rispetto a quella basata sulla presenza in ufficio

di Gianni Rusconi

(EPA)

3' di lettura

Mercer Italia (multinazionale della consulenza nel campo delle risorse umane) già dalle primissime fasi del lockdown ha avviato l’indagine «2020: the year work changed forever»: l’analisi è ancora in corso e il Sole24ore.com ha avuto modo di consultarla in anteprima. L’obiettivo? Determinare l’impatto della pandemia sulla ridefinizione del concetto stesso di lavoro e dello spazio lavorativo fisico/virtuale, delle relazioni fra colleghi e delle tecnologie a supporto. Circa mille i soggetti intervistati, in rappresentanza di un centinaio di aziende, e tutte le risposte sono servite a delineare il “sentiment” di manager e collaboratori rispetto alla fiducia nel business e nel proprio ruolo, alla collaborazione dentro l’organizzazione e al benessere dei dipendenti.

Fra le evidenze più interessanti, spicca il rafforzamento dei rapporti tra le persone registrato in questo periodo di lontananza. La valutazione della capacità di guida del proprio manager è cresciuta infatti del 5% rispetto al benchmark precedente, arrivando al 71% di punteggi favorevoli. L’accessibilità e l’umanità dei propri dirigenti è inoltre vista positivamente nell’85% dei casi mentre i più critici sulla “qualità” della leadership del diretto responsabile sono i giovani under 30, che solo in tre casi su quattro (il 76%) confermano l’apprezzamento per i propri superiori.

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Dal punto di vista dei manager, invece, è interessante notare come la stragrande maggioranza (l’87% per la precisione) ritenga di essere normalmente in grado di gestire i collaboratori anche lavorando da remoto e come lo stesso indicatore scenda al 76% se riferito a questo periodo di cambiamento. Uno scenario tutto sommato positivo, fanno notare da Mercer, che nasconde però un fondamentale chiaroscuro: nell’autovalutazione di questa efficacia, ai punteggi molto alti delle prime settimane sono seguiti progressivamente “score” in rapida diminuzione, fino a toccare flessioni di oltre il 15%.

Una possibile spiegazione a questa dinamica? La risposta degli esperti è la seguente: «Fare il manager a distanza richiede il ripensamento di interi modelli di gestione e di performance, mentre le aziende hanno concentrato al momento i propri sforzi di breve termine nel trasferire approcci pre-esistenti verso le nuove modalità di lavoro». Il fatto che solo il 64% dei manager con oltre 10 anni di anzianità aziendale si reputi adeguato a questa “sfida” (la percentuale sale all’83% per chi è presente nell’organizzazione da meno di tre anni) testimonia come il percorso di adattamento a questo “future of work” forzato non sia semplice per tutti. Anzi.

Tante, infatti, sono le variabili che i lavoratori hanno dovuto affrontare in questi due mesi, dai problemi nel trovare un giusto “worklife balance” (denunciati dal 33% dei manager intervistati e nel separare la sfera professionale da quella personale (difficoltà lamentata da quasi una persona) alla possibilità di impiegare il tempo a disposizione per attività utili alla formazione (situazione di cui ha approfittato però solo il 48% dei rispondenti nel complesso e il 63% dei Millennials).

Altri fattori messi sotto osservazione dall’indagine sono la produttività e il rapporto con le tecnologie. Se il 56% del campione ritiene che lo smart working faciliti l’efficacia del lavoro di gruppo, due persone su tre affermano di sentirsi maggiormente efficaci nella modalità lavorativa da remoto rispetto a quella basata prevalentemente sulla presenza in ufficio. C’è quindi grande disponibilità dei lavoratori verso l’esercizio della professione a distanza (modello che sarà molto utilizzato almeno per i prossimi mesi) e i più soddisfatti in tal senso sono (nel 71% dei casi) i cosiddetti Baby Boomers, e cioè i nati fra il 1946 e il 1964.

La consapevolezza di avere a disposizione tutti gli strumenti digitali utili a svolgere al meglio le proprie attività in remote working accomuna invece l’86% dei lavoratori censiti, ed è un dato in notevole aumento rispetto al recente passato. C’è inoltre una forte correlazione fra il valore percepito della tecnologia e la percezione di crescita della produttività individuale, ed è riscontrabile sia per la fase di lockdown sia per quella che viene definita “new normal”. Il 69% dei rispondenti, e la percentuale sale al 75% nel caso degli executive, crede infatti di poter affrontare il futuro con una maggiore consapevolezza e confidenza nell’utilizzo dei nuovi strumenti.

Un sentimento positivo, si legge ancora nel rapporto Mercer, che raggiunge picchi più elevati tra i dipendenti dei settori (farmaceutico ed Energy & Utilities) dimostratisi meglio attrezzati per rispondere all’emergenza e che sarà, probabilmente, alla base dei modelli che guideranno le aziende nella fase di ritorno alla nuova normalità.

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