21 maggio 2020 - 22:28

Marco Bucci e la sfida di tornare in moto: «Vivrò con una mano bionica»

Ivrea, l’incidente sul lavoro tre anni fa. I 12 movimenti controllati dal cervello

di Lorenza Castagneri

Marco Bucci e la sfida di tornare in moto: «Vivrò con una mano bionica»
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L a felicità per Marco è svuotare la lavastoviglie nella sua casa di Piverone, nel silenzio, spezzato dal frinire dei grilli, delle colline che abbracciano Ivrea. E, mentre lo racconta, sorride, quasi si vergogna. «Con due mani si fa più in fretta». Da più di tre anni era abituato ad averne solo una, per giunta la sinistra, con cui ha reimparato a compiere ogni gesto. Per un po’, anche a lavorare nella macelleria di un agriturismo dove era impiegato da anni e ha perso la mano destra, distrutta da un tritacarne.

L’incidente

«Come sia successo non so. Forse mi sentivo sicuro perché era un movimento ormai banale per me, anche se indossavo tutti i dispositivi di protezione. E poi, i miei titolari, una seconda famiglia, sono sempre stati fiscali sul rispetto delle regole di sicurezza. Un incidente pareva impossibile e invece è accaduto». Ma Marco, che di cognome fa Bucci, è rimasto un entusiasta della vita. E, adesso, sta riscoprendo la normalità dimenticata di avere due mani. Un’azienda di Torino, l’Officina ortopedica Maria Adelaide, gli ha applicato una protesi bionica parziale multiarticolata, dal valore di 40mila euro, pagati dall’Inail. Lo strumento restituisce a Marco le quattro dita perdute durante l’incidente — i medici dell’ospedale Maria Vittoria di Torino sono riusciti a salvargli solo il pollice — e gli consente di compiere 12 movimenti diversi. La presa si adatta alla forma dell’oggetto e un dispositivo di stretta automatica impedisce a questi ultimi di cadere, oltre a poter utilizzare schermi touch con l’indice della protesi.

Passione per le due ruote

E così questo ragazzo di 33 anni è tornato anche a stringere la mano agli altri, afferrare il cellulare e una tazzina del caffè e, dopo un periodo di allenamento, Marco spera anche di tornare a guidare la sua Kawasaki Ninja nera e sempre lucidissima. È una delle sue «bambine» a due ruote. «Sono metà toscano e metà emiliano, i miei genitori si sono trasferiti a Ivrea per lavorare all’Olivetti, al calcio preferisco le moto». E già adesso poterla di nuovo cingere, piegare il busto in avanti come se fosse in pista a quasi 300 chilometri orari e tornare con la mente a una delle tante gare vinte, è una sensazione che confida di non sapere descrivere a parole.

Nuova vita

«ln sella — racconta — divento di nuovo bambino. Guido da quando avevo 14 anni, poi otto anni fa ho iniziato a correre su pista, a livello amatoriale, ma dopo tanto tempo ero arrivato a una categoria interessante. Dopo l’incidente ho smesso. Penso che questa sia l’unica cosa che amavo e ho dovuto abbandonare. Ma ora, grazie a questa protesi e a un’altra, che l’Officina mi sta costruendo, specifica per la moto, sono pronto a ripartire da capo». E, mentre Marco parla, ci si accorge che molte sue frasi cominciano con «grazie all’incidente». Perché proprio quell’evento gli ha dato la spinta per cambiare la sua vita. A partire dal lavoro. Ora lavora in proprio; si occupa di marketing, personalizza con loghi aziendali qualunque oggetto ci venga in mente. Il suo motto è: «L’unico tuo limite è l’immaginazione». Ma cambiare non è stata un’esigenza fisica. Finito il periodo di recupero, era tornato in agriturismo, in cucina. L’idea è maturata da altro. «Prima ero sempre impegnato, non c’era mai il tempo per un pranzo con mia madre, poi ho capito che da un giorno all’altro potrebbe non esserci più l’occasione di condividere certi momenti. Voglio apprezzare ogni singolo momento della vita, che è bella ma può volare via in un attimo».

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