TORINO.  Curare un tumore con la meditazione, la parola gentile, la psicologia. Fu questa la terapia che Marina, a Torino, fu convinta a seguire dal suo medico. Aveva un neo, Marina, che si poteva asportare con un intervento chirurgico piuttosto semplice. Ma le fu detto che era più opportuno un percorso di autoanalisi: se avesse portato alla luce le carenze affettive che aveva vissuto, il male si sarebbe assorbito da sé. Non andò in questo modo: nel 2014, nove anni dopo la scoperta del neo, Marina morì. La storia è tornata a riecheggiare al Palazzo di Giustizia di Torino, dove i giudici della Corte d'appello hanno confermato la condanna a tre anni di carcere per una delle protagoniste della vicenda: Maria Alcover Lillo, 57 anni, origini madrilene, residente a Modena, omeopata molto conosciuta. Cooperazione in omicidio colposo. Alla pena detentiva si aggiungono i 270 mila euro di provvisionale ai familiari di Marina, parte civile con l'avvocato Marino Careglio. Per l'altro medico, Germana Durando, torinese, i tre anni e dieci mesi di reclusione sono già definitivi.

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Le protagoniste della vicenda
Se la Durando era la dottoressa di Marina, la Alcover Lillo era la maestra di Durando. Condivideva con lei lo studio di Torino, ed ebbe - secondo l'accusa - una parte attiva nella vicenda che non si limitò a quello dell'osservatrice occasionale. Marina, come si ricava dalle carte processuali, fu sottoposta a una terapia ricavata dalla medicina omeopatica «hahnemanniana». Quando notò il neo sulla spalla sinistra era il 2005. Le email raccontano le sue speranze e il suo calvario: «Leggo gli arcangeli, faccio fatica a meditare», «Ho paura che lui non voglia aspettare i miei tempi». Il 21 marzo 2014 si fece finalmente asportare il melanoma. Non bastò. «I linfonodi urlano, continuo ad avere male: ma se è il male della guarigione, ben venga». La morte la colse a settembre. La sentenza di primo grado rilevò «gravi profili di colpa» nella condotta della Alcover, che propugnò una «teoria fuorviante e priva di contenuto scientifico». Ancora nel 2016 l'omeopata ribadiva su Facebook le proprie convinzioni: «Mentre il melanoma cresceva la paziente stava bene e c'era il recupero della sua complicata esistenza. Cosa che non interessa al mondo medico meccanicista. La scelta sempre libera della paziente di farsi operare è stato il punto di partenza dell'esplosione delle metastasi».

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