Scienze

La lontananza aumenta il desiderio del partner: quando ci si rivede il cervello "si illumina"

Gli esperti dell'Università del Colorado Boulder hanno analizzato l'importanza del desiderio verso un partner tramite tecniche di imaging cerebrale applicate sulle arvicole, dei roditori monogami
2 minuti di lettura
Senza ricorrere alla celebre canzone di Domenico Modugno, "La lontananza", sappiamo che l'assenza a volte può davvero fare in modo che il legame diventi più duraturo. E questo accade perché quando finalmente ci si ricongiunge con il partner una particolare regione del nostro cervello, il "nucleus accumbens", si illumina in maniera più o meno intensa a seconda della stabilità della relazione. Questo è quanto sostengono in un articolo pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences gli esperti dell'Università del Colorado Boulder, che hanno analizzato l'importanza del desiderio verso un partner tramite tecniche di imaging cerebrale applicate sulle arvicole, dei roditori monogami.

"Affinchè le relazioni possano durare nel tempo, ci deve essere qualche meccanismo che ci consenta di percepire il legame con quella persona nonostante la distanza. Il nostro è il primo studio a individuare le possibili basi neurali per la motivazione a ricongiungersi", spiega Zoe Donaldson dell'Università di Colorado Boulder. Il suo team ha osservato il comportamento e l'attività neurale delle arvicole per cercare di capire meglio quali siano le ragioni del cervello che guidano l'istinto di formare legami duraturi.

"Il nostro studio potrebbe essere utilizzato come base per lo sviluppo di terapie per condizioni come autismo, depressione e altri disturbi che rendono difficili tali connessioni emotive. Ma in questo momento ci fornisce anche spunti sul perchè il distanziamento sociale può essere così difficile", aggiunge il ricercatore, precisando che le relazioni umane sono solitamente fonte di conforto che deriva dal contatto fisico. Il team ha utilizzato una tecnica di imaging all'avanguardia per osservare il cervello durante le tre fasi delle relazioni tra due arvicole: l'incontro, l'accoppiamento e la convivenza, per poi analizzare anche il comportamento delle arvicole con altri esemplari.

"Alcuni studi precedenti hanno evidenziato che tenere la mano di un compagno genera un'alterata attività cerebrale nella regione chiamata nucleus accumbens, la stessa regione che si illumina durante l'uso di eroina o cocaina.

Credevamo che per le arvicole fosse simile, ma in realtà abbiamo scoperto che indipendentemente dal fatto che si avvicinano al compagno o meno, le arvicole sembravano manifestare un comportamento cerebrale omogeneo", spiega ancora Donaldson. "Quando però gli animali restavano separati, al momento del ricongiungimento si illuminava una porzione tanto più grande quanto più a lungo erano state insieme precedentemente. Questo ci ha permesso di identificare la regione cerebrale responsabile dei legami a lungo termine, ma sospettiamo che il processo sia legato anche alla produzione di sostanze chimiche come ossitocina, dopamina e vasopressina, come confermato da studi precedenti", osserva il ricercatore. "Sono in corso ulteriori ricerche, ma il nostro studio conferma che i mammiferi sono naturalmente predisposti alle relazioni, e questo spiega in parte il motivo del nostro disagio durante la quarantena: è un pò come quando non mangiamo nonostante la fame, il bisogno di relazione può essere paragonato a una necessità a livello fisiologico", conclude Donaldson.