Coronavirus, la voce degli «isolati» di Codogno

Le file davanti ai supermercati, le mascherine esaurite, le boccate d'aria fresca in campagna. Ma anche la voglia e il bisogno di tornare alla normalità. Ecco le testimonianze (anche celebri) dalla zona rossa
Coronavirus la voce degli «isolati» di Codogno

Rispetto al panico - forse comprensibile, certo irrazionale e purtroppo incontenibile - di sabato scorso qualcosa è cambiato. Come se, a distanza di 4 giorni, fosse subentrata una sorta di più logica e cauta rassegnazione. Quella vissuta dai 50mila residenti della cosiddetta «zona rossa» del lodigiano, ovvero l'insieme degli 11 comuni interessati dal decreto legge del 23 febbraio: in Lombardia Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D'Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia e Terranova dei Passerini, e Vo’ Euganeo in Veneto.

A casa da sabato, forzatamente. O, al massimo, a passeggio per le campagne: questo il massimo dello svago concesso, e in ogni caso stando ben attenti a non avvicinarsi troppo ai concittadini, conosciuti o meno, anch'essi alla vaga ricerca di una boccata d'aria fresca. Per provare, almeno per qualche minuto, a distogliersi dai pensieri della segregazione coatta.

Per tutti loro, l'impossibilità di allontanarsi dai comuni di residenza. Per tutti loro - perché questa è la sensazione diffusa - l'impressione  surreale (eppure realissima) di trovarsi dentro a uno di quei film di fantascienza che al cinema si vedono anche volentieri. Ma che non è la stessa cosa quando al posto di Will Smith ti ci ritrovi tu.

Abbiamo raggiunto - telefonicamente, se ci fosse bisogno di specificarlo - alcuni di loro per capire dalla loro voce come si viva, in queste lunghe e interminabili giornate, a Codogno e comuni limitrofi. Quali siano le difficoltà - anche pratiche - più grandi da superare. E quali i «si dice che...» da smentire. A cominciare da quello dei negozi di alimentari barbaramente svuotati in poche ore di qualsiasi genere di prima necessità.

Diego Pretini, impiegato commerciale di un'azienda di informatica, vive a Fombio, a un km e mezzo da Codogno. «Avevo fatto scorte di cibo in modo da averne per un paio dei settimane, venerdì scorso di rientro da un viaggio. E quindi fortunatamente non ho avuto bisogno di fare la spesa. Sì, sabato c'è stato l'assalto. Domenica i supermercati erano chiusi, oggi 4 sono aperti, dopo i riapprovvigionamenti. La situazione sta tornando alla normalità». La paura percepita, a questo punto, non è più quella di rimanere senza cibo, quanto di non avere nessuna, anche labile, certezza rispetto all'imminente futuro: «Non è il contagio, e neppure la morte, a fare paura. Quanto il non sapere, poi, che cosa accadrà. L'impressione è che non si sappia quali siano i piani che verranno attuati nel momento in cui la fase di incubazione presunta del virus sarà terminata. L'ordinanza, al momento, è valida fino all'1 marzo. Ma stiamo anche larghi, consideriamo il 7, 8 marzo, ovvero dopo i 14 giorni dall'inizio dell'isolamento: che cosa sarà delle persone che risulteranno sane? Verrà fatto il tampone a tutti, e i negativi potranno allontanarsi dai comuni interessati? Il problema è che non pare esserci una visione che vada al di là dei 5 giorni. Posto che i casi di contagio accertato sicuramente, ora di allora, saranno aumentati, quelli che risulteranno sani, potranno lasciare la zona rossa? Una tra le possibili soluzioni più sensate - a mio modesto avviso -  potrebbe essere fare una sorta di censimento, basato anche sul senso civico, su una specie di autocertificazione: chi non ha incontrato nessuno in 14 giorni e non presenta sintomi, potrà considerarsi "salvo"?». Grandi disagi obiettivi, a oggi, Pretini non ne vede: «Vige il buon senso, stiamo isolati a casa, tranquilli. Al limite c'è un po' di noia, tutto qui».

Una vignetta di Lele Corvi sul tema.

Lavora da casa, come sempre, Lele Corvi, fumettista e disegnatore: «Non esco molto, questa situazione non sta modificando più di tanto la mia routine. Abito proprio di fronte all'Ospedale Civile. Non si vede più il viavai abituale che c'è sempre, anche di macchine. Tutto è deserto. Lo stato d'animo diffuso vacilla tra il "moriremo tutti" e il "è un banale raffreddore". La verità credo stia dove vuole il buon senso, ovvero in mezzo».

A colpire Corvi è la carenza di informazione:** «**Per tre giorni non si è saputo nulla, anche il sito del Comune ha iniziato a dare notizie in modo tempestivo solo ieri. Noi possiamo anche leggere le news su internet, ma è molto più complicato per gli anziani: per loro servirebbero modalità di informazione più capillari, quasi porta a porta. Penso a quelli soli, abituati ad affidarsi al passaparola, che oggi però è pericoloso».

Se gli approvvigionamenti di cibo, in sé, non sembrano più essere un problema, Corvi sottolinea però come stiano alla base di un altro paradosso: «Per andare al supermercato servono mascherina e guanti. Ma mascherine e guanti sono finiti, non si trovano più. E poi: si può entrare pochi per volta, ma così facendo fuori si creano file molto lunghe, con gente a stretto contatto. Il rischio contagio si sposta dai supermercati alle zone appena fuori di essi, con grandi assembramenti di persone». Corvi, che al tema sta dedicando anche una serie delle sue vignette, conclude con una nota amara:«Vivere con questo pensiero fisso, che non ti molla, è una sofferenza vera. Anche se i dati non sono poi così preoccupanti, uno ci pensa in continuazione».

Pragmatico e concreto lo stato d'animo di** Anna José Buttafava**, proprietaria dello storico salone da parrucchiere di Piazza Novello, sempre a Codogno: «Stiamo bene, ma non di morale. Ci sono molti dubbi e poche verità. Ho lavorato nel salone fino a venerdì pomeriggio, poi - prima ancora che arrivasse l'ordinanza - abbiamo deciso di disdire gli appuntamenti di sabato. Con grande sofferenza, per me e per i miei 13 collaboratori. Dietro ci sono 13 famiglie che hanno bisogno di lavorare. Codogno oggi è città chiusa, che soffre. Temiamo le ripercussioni per il dopo, ci hanno già messo addosso un marchio, un bollo che sarà difficile scrollarsi di dosso».

È - comprensibilmente - anche la tematica economica a impensierire l'imprenditrice: «Il futuro sarà difficile da gestire, forse anche quando si saranno spenti i riflettori. Viviamo giorno per giorno. Penso anche alle aziende più grandi della mia, come la MTA, che ha più di 600 dipendenti. Neppure i proprietari dell'azienda ci possono entrare, in questi giorni. Quello che chiediamo è la possibilità di farci lavorare, anche in forma ridotta, anche facendoci i tamponi a nostre spese: chi ha i sintomi lo può fare, senza i sintomi no, anche se si è stati a contatto coi malati. Anche molti medici non lo hanno fatto, perché non ce ne sono. Siamo disposti a farli pagandoceli, pur di lavorare: non siamo abituati, qui, a vivere di sussistenza».

Uno dei temi caldi del momento sono le voci di possibili fughe per così dire clandestine dalla zona rossa. «Non mi risulta che i miei concittadini escano dai comuni interessati dall'ordinanza, e comunque non li reputo così scriteriati. Abbiamo tutti del buon senso. Sappiamo tutti che dobbiamo stare attenti per impedire l'ulteriore diffondersi del virus, è anche nel nostro interesse».

Tra gli «isolati» più noti anche il comico e scrittore Maurizio Milani (nella foto in alto), diventato celebre grazie a Zelig che non perde in senso dell'umorismo, neppure nella sua personale analisi che non è certo superficiale: «Mi chiedo: le misure prese non saranno un po' troppo drastiche, forse? Fino a venerdì c'è stato molto pendolarismo, qui. La stazione è uno snodo importante, i treni che da Milano vanno a Cremona e Mantova passano tutti da qui. I ragazzi che frequentano l'Istituto tecnico agrario, nel fine settimana sono tornati a casa, in giro per tutta la Lombardia. La mia sensazione, un po', è che abbiamo chiuso la stalla quando i buoi sono già scappati. Non posso dire se questo isolamento estremo sia giusto o meno, perché io lo subisco in prima persona, sono parte in causa. Però ritengo molto strano che da noi siano stati trovati tutti questi casi, e nemmeno uno a Parigi, ad esempio, una città enorme con un flusso di turisti spaventoso...».

Tra i molti problemi pratici del momento, Milani ne segnala alcuni che potrebbero sembrare banali. Ma che banali non sono. «I bancomat sono svuotati, le banche sono chiuse. C'è un problema di liquidità. Si va a credito, come si faceva una volta: compro il prosciutto e dico "segna, che quando finisce pago tutto". Le sigarette, mancano anche quelle, non si trovano. Per i tabagisti è un problema vero: la gente inizia a dare i numeri. Penso anche ai tossicodipendenti: possiamo fare finta che non ci siano, ma esistono. Credo inizino a essere in crisi di astinenza, stanno male. Fare la spesa è stato difficile, domenica non si trovavano pane e latte, non dico il fritto misto. Gli anziani da soli, loro sì sono davvero in difficoltà: non possono fare una fila di due ore e mezza per fare la spesa. Non riescono a portare l'acqua su per le scale. Chi ha i parenti in altri Comuni fuori dalla zona rossa, come fa? Ci vorrebbe una deroga, in questi casi».

Uscire dalla zona rossa? Facilissimo, per Milani: «Prendi la mountain-bike, segui le strade bianche, di sera, quando cala il buio. Per 1500 euro ti spiego io come si arriva a Lodi, segui me!». E se il comico è freddamente perplesso rispetto alla soluzione del telelavoro - «Mi fa un po' ridere: questa è una zona agricola, artigianale, industriale... come fai a far funzionare la fabbrica col telelavoro?» - ritrova la sua verve ironica nell'individuare i problemi concreti che lo hanno coinvolto in prima persona:«Il barbiere cinese, non ci posso più andare! Come faccio? Ma meno male che è mio amico, gli chiedo se me li taglia lo stesso, in cortile. Ma il grande problema è la fidanzata. Faccio parte di un gruppo di ragazzi di qui, con le fidanzate fuori dai Comuni isolati. Siamo in 150. In 136 siamo già stati lasciati. Ci hanno detto: metti che poi, quando ci rivediamo, ci vogliano baciare...».

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