ROMA. Il primo passo è stato il più semplice: la sospensione del pagamento di imposte, cartelle esattoriali e rate dei mutui in tutte le zone interessate dall’epidemia. Il decreto ministeriale firmato ieri dal ministro Roberto Gualtieri riguarda undici Comuni: dieci sono lombardi, l’undicesimo è Vò euganeo, in Veneto. Il difficile viene ora. In molti iniziano a prevedere per l’Italia una vera recessione. «Nei prossimi giorni predisporremo altre misure, a seconda di come evolverà la situazione», dice il ministro del Tesoro. «È prematuro quantificare gli effetti del Coronavirus. Al vertice G20 di Riad abbiamo chiesto misure coordinate a livello europeo e internazionale per sostenere l'economia». I l messaggio è fra le righe: Gualtieri attende un segnale da Bruxelles per far salire il deficit concordato per quest’anno.

A Palazzo Chigi e al Ministero dello Sviluppo hanno una lunga lista della spesa pronta. Accesso facilitato al fondo di garanzia delle piccole e medie imprese, sospensione dei pagamenti dei contratti dell’energia elettrica, del gas, indennizzi per le aziende che avranno subito danni da eventuali stop alla produzione. Finora Gualtieri aveva preso tempo, e i fatti gli hanno dato ragione: l’esplosione dell’epidemia, concentrata in Lombardia e Veneto, costringe ad aiuti ad hoc. Più che un provvedimento di ampio respiro ora si impone un decreto di mera emergenza. La battaglia nel governo sarà su questo, ovvero se sfruttare l’occasione per fare altro.

Dei dettagli si discute da giorni fra i tecnici dei ministeri. Gli aiuti riguarderanno essenzialmente le imprese. Per discuterne Patuanelli ha convocato per oggi i rappresentanti di Confindustria, Rete imprese, Alleanza Cooperative Italiane e Confapi. Le associazioni chiederanno ad esempio un allargamento delle maglie della cassa integrazione, oggi garantita solo a chi impiega più di quindici persone.

L’emergenza è per le decine di imprese costrette allo stop o comunque a limitare gli accessi ai dipendenti nei propri uffici. Le più grandi, banche, assicurazioni, società di servizi, possono fare uso del cosiddetto smart working. Ieri dalle parti di CityLife, il quartiere simbolo della nuova Milano, i grattacieli delle grandi imprese erano semivuoti: Generali, Allianz, Axa Unicredit, Price Waterhouse. La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha firmato un secondo decreto per permettere a chi ha l’ufficio in aree a rischio il lavoro da casa anche senza accordo individuale del lavoratore. Di qui e fino al termine dell’emergenza basterà un’autocertificazione. Per chi lavora nella manifattura o nel commercio è tutta un’altra storia. Per loro restare a casa significa restare senza stipendio. Spiega Maurizio del Conte dell’università Bocconi: «L’emergenza coronavirus è fra le cosiddette cause di forza maggiore, quindi le aziende possono rifiutarsi di pagare le giornate di lavoro perse». Chi ne ha i requisiti, e non ha esaurito il monte ore, può attingere alla cassa integrazione. Ma che faranno artigiani e i dettaglianti? Per loro occorre introdurre deroghe. Quanto ampie? Potranno farne uso solo le aziende direttamente colpite o concedere la cassa anche a chi sta subendo danni indiretti? Dal Tesoro si premurano di sottolineare che «si farà il possibile». Il rischio di trovarsi con la questua dietro la porta di via XX settembre è alta.

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