Intervista

Milano Fashion Week 2020: intervista con Coco Rocha

Il Model Camp fondato con il marito James Conran e la sua passione per Elizabeth Taylor. Qui l'intervista con la modella Coco Rocha in occasione della Milano Fashion Week 2020
Milano fashion Week 2020 intervista con Coco Rocha
Steven Meisel - Vogue Italia, Gennaio 2014

In occasione della Milano Fashion Week, abbiamo incontrato Coco Rocha, qui sotto l'intervista completa

L'appuntamento è alle 12:15 presso Women Milano, in piena fashion week. Coco Rocha è puntuale: arriva vestita di nero con una paio di stivaletti che slanciano ancora di più la sua figura longilinea. Dopo le canoniche presentazioni, chiede gentilmente un cappuccino con tanto zucchero. Una dolce conferma che Coco Rocha non è avvezza all'idea di stereotipo. Sognava di fare la ballerina di danza irlandese e ora è una delle modelle più amate, anche grazie alla sua forte personalità. Tutti sanno che non è mai scesa a compromessi: non ha mai posato senza veli sul set

Un punto di riferimento importante per le nuove generazioni che hanno sicuramente più possibilità nel farsi notare, grazie all'era digitale e dei social network, ma che molto spesso si perdono, ciechi dall'ambizione. I valori sono importanti e vanno difesi: tra le parole dell'intervista si legge una volontà di non essere solo un corpo, una modella ha anche una mente, delle ambizioni e proprie idee. Insomma, non è solo un manichino che indossa abiti e accessori. Non è un caso che Elizabeth Taylor, Cindy Crawford e Iman sono delle figure importanti per lei: un'attrice e due modelle dal forte carattere che hanno fatto parlare di sé non solo per la loro bellezza.

Milano Fashion Week, evento Moncler

Stefania D'Alessandro

Hai iniziato la tua carriera come modella, molto giovane. Era il tuo sogno o avevi altre aspirazioni?

Quando ho iniziato la mia carriera come modella avevo solo 14 anni: all'epoca pensavo solo a ballare. Amavo la danza irlandese e in occasione di una gara, un model scout, presente per la figlia che partecipava, mi notò. Si avvicinò e mi chiese “hai mai pensato di lavorare come modella? ”. È successo tutto per caso, anche perché la figura della modella l'associavo all’idea di donna, io ero solo una ragazzina. Quell'agente persuase mia madre a fare delle foto. Poco dopo partii per New York e poi arrivarono i primi lavori in giro per il mondo. Più andavo avanti e più pensavo “mi piace, questo potrebbe diventare il mio lavoro”. Tutto sommato ha qualche punto in comune con la danza: la modella deve in qualche modo esibirsi come in una performance.

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Come hai vissuto questo cambiamento? Avevi solo 14 anni…

In poco tempo mi sono vista catapultare dalla scuola al set fotografico. All'epoca ero una ragazzina timida, forse anche un un po' impacciata. Grazie alla fashion industry sono diventata una persona schietta, sicura di sé e che vuole esprimere la sua opinione. Se dovessi tornare indietro di 10 o 20 anni, non avrei mai immaginato che la moda mi potesse cambiare così tanto e ne sono contenta. 

Sei riuscita a unire il tuo lavoro con i tuoi valori spirituali, una chiara testimonianza che è possibile conciliare i due aspetti…

Sì è possibile e per me sono state importanti due figure, anch'esse modelle. Cindy Crawford, perché è stata capace di creare l'idea di branding. Non è solo una modella ma una donna di successo, grazie alla sua personalità. L'altra è Iman: una volta arrivata sul set le dissero che non avevano trucchi per preparare il make-up e così pensò di creare una linea cosmetica per tutti i tipi di incarnato.

Qual è il tuo primo ricordo sul set?

Ho immagini piuttosto sbiadite ma mi ricordo che su uno dei primi set, il fotografo mi mostrò degli scatti con Gemma Ward, chiedendomi di posare proprio come una super modella anche se non lo sarei mai diventata. Un'affermazione che non mi colpì più di tanto, visto che il mio obiettivo non era quello di diventare una super star. Se ci ripenso, quella non fu una frase molto carina. E poi questa foto - ndr mi mostra uno scatto sul suo smartphone -, questo è stato uno dei miei primi lavori: avevo i capelli molto lunghi e me li tinsero per l'occasione.

Non solo per la bellezza ma anche per le tue scelte, sei un punto di riferimento per le nuove generazioni. Un paio di consigli che vorresti dare…

Quando ho iniziato questo lavoro avevo un termine di paragone abbastanza eguale con la generazione di modelle passate: bastava vedere gli scatti fotografici per capire cosa funzionava o meno. Ora le nuove generazioni hanno nuovi strumenti, prima di tutto i social network. Ora si ha la possibilità di fare photo editing da sole, modificare gli scatti e postarli direttamente sul proprio profilo. Sono uno strumento molto importante perché permette di autodeterminarsi con la propria scelta di foto e parole. Si comunica in modo diretto, senza filtri, offrendo la possibilità di condividere la propria idea. Tutto questo diciassette anni fa non era possibile. C'è, però, anche un'altra faccia di questa medaglia: centinaia di commenti negativi possono avere una risonanza importante, con relative conseguenze. In ogni caso, con l'era digitale la nuova generazione ha più possibilità di diventare modella grazie ai gradimenti social, quindi all'audience. La gente si è resa conto che una modella non è riducibile a un “bel viso” ma è anche intelligente e ha delle sue idee. Un punto di riferimento cui ispirarsi. C'è un senso di responsabilità nel diventare una modella.

Se tua figlia volesse diventare modella, quale sarebbe la tua reazione? 

Ho creato con mio marito un Model Camp dedicato proprio alle nuove generazioni. Ad oggi si sono presentate circa 600 aspiranti modelle, alcune delle quali sono arrivate con le rispettive madri. In questo caso è normale affrontare dibattiti e discorsi in merito all'ambiente moda e di come influisce nella crescita delle giovani ragazze. Io mi interfaccio direttamente con loro e sarebbe assurdo dirti “mia figlia non lo farà”. Rimane sottinteso che io ci tengo a curare ogni più piccolo aspetto. È anche vero che molti figli difficilmente seguono le orme dei genitori, proprio perché si cresce in un determinato ambiente: io ne sono un esempio, nella mia famiglia i più hanno lavorato nell'aviazione e io non l'ho mai desiderato. Posso però dirti che al momento mia figlia ha il desiderio di diventare una veterinaria.

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Hai un'icona di stile? 

La mia icona di stile è Elizabeth Taylor - ndr solo ora noto l'utilizzo dell'eyeliner nero in stile “Liz” -: mi piace molto il fatto che l'attrice scegliesse lei direttamente cosa indossare senza alcun supporto di styling, guardando tra capi nuovi e d'archivio. E come lei mi piace scegliere il look al di là della stagionalità del prodotto. Dopo la morte di Elizabeth Taylor, è stata organizzato un'asta con parte del suo guardaroba e questa è stata un'occasione per aggiudicarmi un pezzo. Nel dettaglio si tratta di una jumpsuit gialla firmata Givenchy che poi indossai in occasione del Met Gala - ndr del 2012 -. Un capo unico che preferisco rispetto ad alcuni nuovi pezzi moda. È curioso perché il capo era già macchiato di vino e sul red carpet alcuni fotografi gridarono “c'è ancora la macchia di vino di Liz?”. Il mondo concorderà che è la macchia più chic. 

Kevin Mazur

L'ultimo buon libro che hai letto…

Ultimamente mi capita di leggere favole per bambini - ride -. Ma c'è un libro che mi piace molto, è Rossella, il sequel di Via Col Vento.

Qual è la prima cosa che fai quando ti svegli?

Coccolo i miei figli.

Qual è la prima cosa che fai quando sei online?

Tik Tok, perché è un social network divertente. Ormai Instagram si è convertito a mezzo di lavoro. 

E l'ultima cosa che fai prima di andare a dormire? 

Controllo che tutto sia a posto, faccio un check generico sul telefono tra mail ed Instagram e verifico che i miei figli siano a letto.

Emoticon preferita o che usi di più?

Lo smile con l'occhiolino, la uso in modo molto sarcastico anche per evitare fraintendimenti.