dibattito a bruxelles

Le scelte dell’Italia in una Europa sovranazionale

La discussione sul futuro dell’Ue riguarda la visione, le politiche e le risorse di quest’ultima. Che Ue vogliamo?

di Sergio Fabbrini

(luzitanija - stock.adobe.com)

4' di lettura

È difficile definire le nostre strategie europee, se occorre affrontare la minaccia di una crisi politica nazionale alla settimana. Eppure, bisogna provare a farlo, perché in Europa si gioca il nostro destino. Basti considerare la battaglia in corso sul bilancio pluriennale dell'Unione europea (Ue), oppure la discussione cruciale, già avviata, sul futuro di quest'ultima. Una discussione, peraltro, alla quale il governo italiano ha contribuito, con il documento (Italian Non-Paper for the Conference on the Future of Europe, 2020-2022) presentato il 14 febbraio scorso, documento passato (però) quasi inosservato. Vediamo perché è necessario discuterlo.

La discussione sul futuro dell'Ue riguarda la visione, le politiche e le risorse di quest'ultima. Comincio dalla visione. Che Ue vogliamo? Questa domanda è sparita dal dibattito europeo almeno da quando il Parlamento francese bocciò (nell'agosto del 1954) il progetto di una Comunità europea della difesa. Da allora, gli europeisti si sono attestati su un approccio funzionalista secondo il quale l'integrazione è un processo che procede senza una meta definita. Tale funzionalismo è stato a sua volta sfidato da un realismo intergovernativo secondo il quale l'Ue è (e non può che essere) un'arena di cooperazione interstatale istituzionalizzata. Durante le crisi multiple del decennio che si è appena concluso, la visione intergovernativa è diventata dominante. Il documento italiano non fa propria la visione intergovernativa, prende le distanze dalla visione funzionalista (andare avanti come al solito “non è un'opzione”), tuttavia non fa capire quale sia la sua visione alternativa. Naturalmente, non è necessario formalizzare in un documento la propria visione, nondimeno occorre averne una per dare coerenza alle proprie proposte. Ad esempio, se si ritiene che l'Ue debba essere una confederazione intergovernativa, allora è inevitabile partire dai propri interessi nazionali.

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Se si ritiene, invece, che la logica confederale è destinata a dividere gli stati europei (come è avvenuto durante le crisi multiple) allora bisogna delineare una visione alternativa che unisca e non divida. Ciò può avvenire solamente se l'Ue è un'organizzazione distinta dagli stati che la costituiscono, dotata di una sua legittimità sovranazionale, operante attraverso istituzioni indipendenti da quegli stati (che tuttavia ne fanno parte con i loro rappresentanti), quindi sottoposte a controllo democratico. Qui, gli interessi nazionali ed europei sono distinti, anche se debbono diventare convergenti. Occorre fare un passo avanti.

Consideriamo le politiche. Se l'Ue deve essere una confederazione intergovernativa, le politiche da essa gestite non possono che essere un derivato delle esigenze nazionali. Se invece l'Ue deve essere un'unione sovranazionale, allora occorre distinguere le politiche che hanno una natura sovra-statale da quelle che hanno una dimensione nazionale (e che debbono essere lasciate alla sovranità democratica degli stati membri). L'unione sovranazionale non deve fare tutto, diventando una sorta di quasi-stato, come pure è avvenuto durante le crisi. L'esperienza dimostra che il confine tra politiche nazionali e sovranazionali non è sufficientemente protetto dal principio di sussidiarietà. Occorre rafforzarlo con un baluardo costituzionale. Il documento italiano identifica alcune politiche che dovrebbero essere perseguite sul piano europeo (come l'armonizzazione fiscale, la politica migratoria, la politica di solidarietà finanziaria, la politica degli investimenti, la politica del Green Deal), tuttavia non le presenta come parte di una proposta organica. Occorre fare un passo avanti.

Vediamo le risorse. Se l'Ue deve essere una confederazione intergovernativa, allora ne consegue che essa non potrà avere risorse proprie. Potrà avere autonomia nelle decisioni legislative che regolano il funzionamento del mercato unico, proprio perché si tratta di regolazioni che non implicano l'utilizzo di risorse (budgetarie o amministrative). La battaglia in corso sul bilancio pluriennale è un esempio della mentalità confederale. I cosiddetti “Paesi frugali” del nord insistono a tenere il bilancio europeo al livello più basso possibile (poco più dell'1 per cento dei Pil nazionali) proprio perché vogliono circoscrivere l'autonomia delle istituzioni sovranazionali (come il Parlamento e la Commissione). Avevano avuto la stessa posizione durante la crisi dell'euro, con il loro rifiuto di dotare l'Eurozona di una sua capacità fiscale, oppure durante la crisi bancaria, con la loro resistenza ad attivare il Sistema europeo di sicurezza dei depositi. La stessa logica era emersa durante la crisi migratoria, con il rifiuto dei Paesi di Visegrad a dotare l'Ue di strutture e risorse autonome per fronteggiare i flussi migratori e proteggere le frontiere di Schengen. La stessa logica sta emergendo nella discussione in corso sulla politica della difesa e della sicurezza, con l'opposizione della “coalizione confederale” a dotare l'Ue di un suo apparato militare d'intervento, sottoposto ad un comando sovranazionale. Il documento italiano prende le distanze dalla logica confederale, riconoscendo (ad esempio) che l'Eurozona “non può essere il mero aggregato di politiche nazionali distinte” oppure la politica fiscale “non può essere il puro e semplice coordinamento di politiche fiscali nazionali”. Tuttavia, è ancora troppo generico nel definire le risorse indispensabili che l'Ue dovrebbe acquisire per garantire la propria autonomia istituzionale.
Occorre fare un passo avanti.

Insomma, se si afferma la visione dell'Ue come una confederazione intergovernativa, allora il nostro Paese (e con esso gli altri Paesi del sud, compresa la Francia) sarebbe costretto a vivere in una condizione di permanente soggezione, con un malessere destinato a generare periodiche spinte sovraniste e nazionaliste. Se invece si affermerà la visione dell'Ue come un'unione sovranazionale con caratteristiche federali (cioè, con competenze e poteri limitati e distinti), allora il nostro Paese avrebbe un più ampio margine di azione, ma anche una più alta responsabilità verso le proprie scelte. Ecco perché sarebbe necessario discutere le nostre strategie europee, non solamente gli accorgimenti settimanali per neutralizzare la crisi politica nazionale che è sempre dietro l'angolo.

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