20 febbraio 2020 - 04:15

Tutti contro Bloomberg. Il «benvenuto» dei dem nel dibattito infuocato

La prima dell’ex sindaco di New York sul palco con gli altri candidati democratici. Warren cita le accuse di molestie e attacca: «Offende le donne come Trump»

di Giuseppe Sarcina

Tutti contro Bloomberg. Il «benvenuto» dei dem nel dibattito infuocato
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Dal nostro corrispondente
WASHINGTON — Sono bastati pochi minuti e Michael Bloomberg si è reso conto che il palco del dibattito televisivo di Las Vegas non era uno dei suoi spot milionari. Mercoledì 19 febbraio. Lester Holt, il moderatore di Nbc, apre la diretta e gli altri cinque candidati si avventano subito contro il nuovo arrivato. Elizabeth Warren è semplicemente abrasiva: «Mi piacerebbe dire qualcosa sulla persona con cui stiamo gareggiando: un miliardario che chiama le donne “grassone” e “lesbiche faccia di cavallo”. No, non sto parlando di Donald Trump. Sto parlando di Michael Bloomberg». Per una buona mezz’ora il fondatore del gruppo editoriale che porta il suo nome annaspa, mentre Warren e in modo spregiudicato Joe Biden, a suo tempo nei guai per i suoi comportamenti scorretti nei confronti delle donne, evocano le vicende, le cause per molestie o discriminazione intentate negli anni contro Bloomberg o la sua società. «Quante sono queste vittime?» Ha chiesto ripetutamente Warren, aggiungendo: «Alcune di loro sono state messe a tacere con degli accordi stragiudiziali. Perché lei non decide di rendere tutto pubblico?».


È stato il momento peggiore per l’ex sindaco di New York, il protagonista più atteso, al suo primo confronto pubblico con i rivali. Ha cercato di arroccarsi, prendendosi i fischi della platea: «Sono intese sottoscritte volontariamente e resteranno riservate». Ma non è finita. Ora tocca a Bernie Sanders, chiaramente eccitato dalla presenza di un billionaire in carne e ossa. Il senatore del Vermont, per il momento in testa nei sondaggi a livello nazionale, richiama la pratica dello stop and frisk, «ferma e fruga (o perquisisci)» adottata da Bloomberg per cercare di arginare la criminalità quando era il primo cittadino della Grande Mela. Un metodo che suscitò aspre polemiche perché si risolse nell’accanimento contro i giovani afro americani. «Mike», visibilmente colto di sorpresa, riesce a giocare una mano solo dopo un bel po’: «Qui abbiamo due problemi. Primo: come battere Donald Trump. Secondo: fare le cose di cui hanno bisogno gli americani».

A quel punto si è visto qualcosa dell’atteso «effetto Bloomberg». La traiettoria della discussione ha sterzato bruscamente, andando a sbattere contro la grande paura dei democratici: altri quattro anni di «The Donald». Sanders ha spiegato che «il «socialismo democratico» spazzerà via il «presidente più corrotto della storia». Bloomberg ha commentato con una smorfia: «Ma che cosa stai dicendo? Gli Stati Uniti devono buttare via il capitalismo? Questa conversazione è semplicemente ridicola. E poi eccolo qui il più noto socialista del Paese: un milionario con tre case. Se Sanders sarà il candidato dei democratici, andremo incontro a una sicura sconfitta contro Trump. E non possiamo permettercelo. Io lo posso battere».

Da oggi in poi le primarie cambiano passo. La fase decisiva si sta avvicinando. Sabato 22 febbraio si vota in Nevada e il 29 in South Carolina. Sanders potrebbe andare in fuga. Pete Buttigieg, Amy Klobuchar e Biden lottano per la sopravvivenza politica. Poi si vedrà il 3 marzo, nel Supermartedì, quando voteranno 14 Stati, California e Texas compresi. E quando entrerà in lizza anche Bloomberg.

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