Amico fragile

Dalla sua Lorenzo Seminatore aveva la giovinezza, la bellezza, l’intelligenza e l’amore di una ragazza e di due genitori. Ma aveva anche cinquanta chili per un metro e novanta di statura, e con la maggiore età aveva acquisito il diritto di rifiutare il cibo e le cure. Lo ha esercitato fino alla fine.

Non esistevano ragioni tangibili che giustificassero il suo desiderio di non desiderarsi più. Lorenzo possedeva tutte quelle cose la cui mancanza procura sofferenza agli altri. Eppure soffriva, in mezzo allo stupore e ai pregiudizi di tanti, perché si fa ancora fatica ad ammettere che tra gli attributi di un maschio possa esservi la fragilità. I maschi dovrebbero essere sempre solidi, e le mamme sempre felici. Per questo io non accettavo la fragilità della mia. Da piccolo avevo preso il suo rifiuto della vita come una mia sconfitta personale e da adulto come uno smacco per la società. Lo stesso sta accadendo adesso ai genitori di Lorenzo. Chi assiste da vicino a questi vuoti d’aria dell’esistenza pensa, a ragione, che sarebbe stato possibile fare di più. Ma la verità è che quando si è dominati dall’istinto di sopravvivenza riesce difficile concepire che in qualcun altro - qualcuno che amiamo e che ci ama - sia più forte l’impulso di dissolvenza. Un impulso talmente irresistibile da indurlo a evaporare in una nuvola rossa, come nella canzone di De Andrè, «in una delle molte feritoie della notte, con un bisogno di attenzione e di amore». O forse soltanto di pace.

18 febbraio 2020, 07:06 - modifica il 18 febbraio 2020 | 08:32

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