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New York in affanno tra crisi e abbandoni

Dalla retail apocalypse che ha investito insegne blasonate come Barneys ai grandi assenti in passerella come Tom Ford. Cosa succede nella Grande Mela

di Chiara Beghelli

3' di lettura

Un abito nero del 1870 accanto a una gonna “Bumster” creata da Alexander McQueen nel 1995 è un abbinamento scelto dal Met di New York per annunciare About Time, la prossima mostra del suo Costume Institute che indagherà il rapporto fra la moda e la durata nel tempo. Contrasti simbolici nei quali si ravvisa lo stato dell’industria della moda nella città che la sua amministrazione (in primis il sindaco Bill de Blasio) resta convinta sia «la capitale mondiale della moda».

The Clock, Sarah Moon, 1999; Image courtesy of The Metropolitan Museum of Art, Photo © Sarah Moon

Da Macy’s a Barneys: le vittime della «retail apocalypse»

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Come gli abiti al Met, lo storico Garment District di Midtown, il distretto manifatturiero della moda made in New York, da tempo in profonda crisi, dista solo pochi isolati da Hudson Yards, il complesso da 25 miliardi di dollari che ospita il mall più grande e lussuoso. A breve distanza, sulla 34esima, resiste lo storico negozio di , il gruppo leader dei department store che ha appena annunciato Macy’s di voler chiudere 125 negozi nel Paese. Ha già chiuso Lord&Taylor e sta per serrare definivamente i battenti anche Barneys, dopo la dichiarazione di bancarotta dello scorso agosto, accompagnato dai post su Instagram dei vecchi clienti alle prese con reparti deserti e sconti fino al 90% nella ex mecca dell’uber chic.

Saks e Neiman Marcus in controtendenza: investono a New York

Eppure, nel settore c’è chi resiste e anzi c ontinua a investire: Saks 5th Avenue sta completando il suo piano di rinnovamento da 250 milioni di dollari del flagship sulla Quinta Strada, che oggi ospita il più esteso negozio di borse di Manhattan, un ascensore firmato Rem Koolhaas e un ristorante progettato da Philippe Starck che è diventato uno dei più ambiti della città. Proprio un anno fa Neiman Marcus ha scelto Hudson Yards per il suo primo negozio a New York (tre piani costati 150 milioni di dollari); Bergdorf ha appena fatto da set per il lancio della collezione Fenty di Rihanna, da maggio parte di Lvmh.

I protagonisti della Nyfw

«I department store restano il punto di forza del sistema moda statunitense - osserva Chiara Boni, che da anni ha scelto New York come passerella per la sua linea La Petit Robe -. Sono anche una garanzia per le aziende che vi collaborano in termini di capillarità della distribuzione, numero di ordini e affidabilità nei pagamenti. Io continuo a scegliere New York perché gli Stati Uniti sono il mio primo mercato». E questo nonostante, specie nelle ultime settimane, la fashion week di New York sia stata tacciata di essere in piena crisi: «Personalmente non la avverto - prosegue -, ma certo è in fase di evoluzione. E scelte come quella di Tom Ford, presidente della Cfda, di sfilare a Los Angeles (si veda l’articolo in pagina, ndr) certamente non sono utili al sistema».

Da Tom Ford a Jeremy Scott: i grandi assenti
Come i department store sono impegnati per sopravvivere alla “retail apocalypse”, l’edizione appena conclusa della New York Fashion Week non è mai sembrata così in affanno, soprattutto a causa di defezioni celebri come quella di Tom Ford, appunto, ma anche di Ralph Lauren, che non mancava da 50 anni, o di Jeremy Scott, annunciata appena due settimane prima della sfilata. L’evento paga anche una certa complessità organizzativa, a partire dal doppio calendario, quello dell’organizzatore Img e quello del Cfda. Entrambi, peraltro, da sei anni sono in causa contro un’oscura società di ticketing, Fashion Week Inc., proprio per l’utilizzo della stessa dicitura “New York Fashion Week”, che sarebbe stata depositata legalmente dalla società nel 2013 (il nome ufficiale dell’evento è, al momento, “NYFW: The Shows”).

Il Garment District nei suoi anni d’oro rappresentato nella serie “The Marvelous Mrs. Maisel” su Amazon Prime

Il nuovo hub del made in New York
Gli scontri sono anche di natura immobiliare: dopo aver rivisto una legge del 1987 che impediva di aprire attività non attinenti alla manifattura di moda nel Garment District, l’amministrazione de Blasio ha lanciato un progetto da 140 milioni di $ per un fashion hub di 19 ettari a Sunset Park, Brooklyn, dedicato al “made in New York”. Un piano che ha suscitato le proteste delle aziende del vecchio distretto, oggi circa 400 e calate del 95% rispetto agli anni d’oro 50 e 60: gli affitti sono sempre più alti (anche a causa della vicina Hudson Yards) ed è difficile mantenere la produzione dove la paga oraria media è la più elevata del Paese (circa 18 dollari secondo il Census Bureau). Il nuovo hub dovrebbe comunque aprire entro quest’anno e proverà a dimostrare come New York, nonostante tutto, consenta ancora alla sua moda di restare «in cima alla vetta», come cantava Frank Sinatra.

Le immagini delle sfilate della Nyfw

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