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Perché è scoppiata la guerra Renzi-Conte

di Lina Palmerini

(EPA)

2' di lettura

La partita a scacchi tra Renzi e la maggioranza entra nel vivo. Nel senso che ieri c’è stata una nuova escalation della tensione che è arrivata fino al Colle. Il fatto del giorno è stata l’assenza delle due ministre di Italia Viva al Consiglio dei ministri che ha dato il senso di un nuovo guanto di sfida lanciato da Renzi al Governo e a Conte. Tant’è che il premier finora silente è sbottato accusando il leader di IV di comportarsi come se fosse all’opposizione ma, soprattutto, alle cinque del pomeriggio ha alzato il telefono per chiamare Sergio Mattarella. Il succo della chiamata? Riferirgli l’intenzione di andare allo showdown viste le continue provocazioni di Renzi e verificare se c’è o no il bluff della crisi. «Faccia come si senta» è stata la risposta del capo dello Stato che a questo punto attende solo la fine dei giochi tattici.

Già perché fin qui sono stati lanciati una quantità di fumogeni che hanno reso del tutto nebbiosa la scena. E non si capisce fino a che punto Renzi possa tirare la corda. L’unica cosa chiara è che ha bisogno come l’aria di conquistare una centralità per la sopravvivenza della sua creatura politica. L’allarme rosso sembra essere scattato in Italia Viva quando hanno visto che i numeri del Pd nelle urne emiliane hanno sfiorato il 35% non mostrando segni di cedimento, come invece era nelle loro previsioni. Da lì è subito cominciato il gioco degli ultimatum per non dare al partito di Zingaretti la possibilità di consolidare quel risultato e quella vittoria nel Governo e nel Paese.

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Dunque quelle due sedie vuote alla riunione di ieri a Palazzo Chigi rispecchiano esattamente il punto in cui siamo: una crisi nei fatti anche se non ancora conclamata nei numeri e con gesti definitivi. Una guerriglia vera e propria che potrebbe servire al capo di Italia Viva per allungare il più possibile i tempi sia per consumare l’immagine del premier e del Pd – ormai i 5 Stelle vengono considerati in caduta libera – ma soprattutto per spostare la rottura in quella zona del calendario dove non si rischiano le urne subito. Infatti prima c’è la celebrazione del referendum a fine marzo, poi c’è l’esercizio della delega per ridisegnare i collegi che impegnerà altri due mesi, poi i 45-70 giorni tra lo scioglimento e le elezioni. Insomma si può facilmente arrivare a scavallare l’estate e a realizzare il capolavoro di Renzi di uscire dal Governo ma non interrompere la legislatura. I primi a non volere il voto sono gli onorevoli di IV che sanno bene come la combinazione tra taglio dei parlamentari e legge elettorale attuale li decimerebbe. Solo pochissimi sarebbero rieletti.

Il rischio però è che se si rompe questa maggioranza è arduo proseguire la legislatura con una pattuglia di responsabili. La soluzione sarebbe difficile da sostenere davanti agli italiani che vedrebbero al Governo i 5 Stelle che sono più che dimezzati, il Pd che regge ma è il secondo partito ed eventualmente un gruppo raccogliticcio di senatori che non vogliono perdere il seggio. Per questo continuano a girare voci di un arrivo di Mario Draghi. Congetture ma è quello che bolle nelle pentole dei partiti.

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