Come difendersi dai prodotti chimici nascosti nei capi di abbigliamento?

Dai coloranti dannosi ai prodotti antipiega tossici, ecco come difendersi dalle sostanze chimiche pericolose usate dalla fashion industry
Come difendersi dai prodotti chimici nascosti nei capi di abbigliamento
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Dalle microplastiche rilasciate quando laviamo i nostri abiti ai milioni di indumenti che finiscono nelle discariche: sappiamo tutti molto bene quanto sia pesante l’impatto della moda sull’ambiente. Ma vogliamo parlare anche dei prodotti chimici dannosi che vengono impiegati per realizzarli, i nostri capi tanto amati?

Wilson Oryema, modello e attivista per l’ambiente, ha una missione, quella di farci capire meglio quali sono gli effetti collaterali dei prodotti chimici presenti nei nostri abiti con un suo documentario, How Toxic Are My Clothes?, visibile anche su YouTube. «I prodotti chimici sono ormai una norma nella moda»,  spiega a Vogue. «Nessuno pensa quanto possa essere pericoloso indossare indumenti che ne contengono».  

I prodotti chimici e il loro utilizzo nella moda

«I prodotti chimici vengono impiegati negli abiti per svariati scopi: per renderli più morbidi, per evitare che si formino pieghe o che si restringano, fra gli altri», spiega la dottoressa  Linda Greer, senior global fellow dell’Institute for Public and Environmental Affairs. «Sono sempre gli stessi prodotti  che compaiono continuamente, eppure esistono alternative più sicure per la nostra salute».

Il denim viene colorato in acqua bluGetty Images

I prodotti chimici da conoscere (ed evitare)

Quando Greenpeace ha lanciato la campagna Detox My Fashion nel 2011, l’organizzazione in difesa dell’ambiente aveva messo in evidenza in particolare 11 gruppi di prodotti chimici tossici utilizzati dalla  fashion industry, fra cui i trattamenti “flame retardant” (FR) che ritardano la formazione delle fiamme e gli acidi perfluoroacrilici (PFAS), utilizzati per trattamenti impermeabilizzanti e anti-macchia. Secondo la United States Environmental Protection Agency, entrambi i prodotti chimici possono interferire con gli ormoni e indebolire le difese immunitarie.

E l’elenco è lunghissimo. Gli ftalati, usati per ammorbidire i rivestimenti in plastica, possono influire sulla riproduzione, mentre i metalli pesanti presenti nelle colorazioni tessili sono altamente tossici e possono danneggiare il sistema nervoso. Il prodotto che desta più preoccupazioni è però la formaldeide, che viene usata come prodotto antipiega. Secondo il National Cancer Institute può causare l’insorgenza di tumori e irritare la pelle. «La formaldeide è un prodotto dannoso ben noto», conferma Greer.

Esistono delle leggi che regolano l’utilizzo di alcuni di questi prodotti chimici, come la REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) nell’Unione Europea, che viene applicata agli indumenti che vengono importati dai Paesi non EU, e il Toxic Substances Control Act (TSCA) in USA. Nel 2018, la UE aveva annunciato che per quanto riguarda il settore del tessile e dell’abbigliamento le regole sarebbero state ancora più rigide. «Preferiremmo delle limitazioni più stringenti, anche se le regole UE sono importanti», afferma Brigden. «Le regole attuali non riguardano tutti i prodotti chimici dannosi». 

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L’impatto sulla salute e sull’ambiente

La buona notizia è che i prodotti chimici presenti nei nostri abiti sono meno dannosi per chi li indossa. «Non c’è un impatto diretto quando si indossando gli indumenti», sottolinea il Kevin Brigden, scienziato di Greenpeace. «La maggior parte delle sostanze chimiche non viene assorbita dalla pelle».

Tuttavia, alcuni di esse, soprattutto le colorazioni, possono causare reazioni allergiche o dermatiti da contatto. Per questo motivo spesso si raccomanda di lavare gli indumenti prima di indossarli, proprio per eliminare ogni residuo chimico presente.

Ma la cosa più grave è che l’uso di questi prodotti chimici tossici durante le fasi di lavorazione, in particolare al di fuori della UE e degli USA, è un grosso rischio per i lavoratori del settore. «L’esposizione ai prodotti nocivi è davvero molto alta», spiega Greer.

E anche l’impatto sull’ambiente è rilevante. «Molte di queste sostanze nocive finiscono nei ruscelli, nei fiumi e infine negli oceani», spiega Greer. «Ed è proprio durante la fase di lavorazione che questi prodotti chimici raggiungono la concentrazione più pericolosa, ed è allora che possono refluire nelle acque e poi nella nostra catena alimentare, attraverso l’ambiente acquatico», aggiunge. 

I numeri sono impressionanti. In Cina, paese in cui il 70 % di laghi e fiumi sono inquinati, 2,5 miliardi di tonnellate di acque di scarico vengono prodotte ogni anno dall’industria tessile. E uno studio del 2012 stima che fino al 20 % dell’inquinamento totale delle acque sia causato dalle colorazioni tessili e dai processi di finitura degli indumenti, con la conseguenza che 72 sostanze chimiche tossiche vengono rilasciate nelle acque. 

Inoltre, la produzione di queste sostanze chimiche influisce anche sulla qualità dell’acqua, del terreno e dell’aria nelle vicinanze degli stabilimenti. L’industria chimica e petrolchimica è responsabile del 7% delle emissioni globali di CO2, secondo la International Energy Agency. 

Impianto di lavorazione del fosfato che scarica le acque reflue nell'Oceano Atlantico, MaroccoPhotography John Seaton Callahan/ Getty Images

È necessario agire

Per molti di questi prodotti chimici dannosi esistono alternative più sicure sul mercato. «Alcuni produttori non le usano affatto», commenta Brigden. «In generale, non ci sono giustificazioni: le alternative ci sono».

Dal punto di vista del consumatore, la situazione è un vero campo minato, perché le informazioni sulle sostanze nocive presenti negli indumenti che indossiamo sono scarse. E comprare bio non significa necessariamente acquistate capi privi di prodotti chimici. «Le fibre bio possono essere trattate con sostanze chimiche molto dannose», spiega Greer. Cercate invece lo Standard 100 by Oeko-Tex® e i simboli bluesign® che certificano che quegli indumenti ne sono privi.

Come spesso accade, i consumatori hanno il potere di indurre i brand a eliminare queste sostanze dal ciclo produttivo. «I brand tendono a non agire finché i consumatori non si fanno sentire», aggiunge Greer. «I consumatori possono esigere dalle aziende una maggiore trasparenza anche sulle loro policy per quanto riguarda l’uso di queste sostanze, perché si prendano le proprie responsabilità».