10 febbraio 2020 - 07:28

Neonati, ecco i reparti da evitare: «Sotto gli standard di sicurezza»

Da Rho a Como fino ai poli di Saronno e Iseo: le terapie intensive e le maternità messe sotto osservazione dalla Regione. Indicati undici centri per le gravidanze difficili

di Simona Ravizza

Neonati, ecco i reparti da evitare: «Sotto gli standard di sicurezza»
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Per fare nascere un bambino in sicurezza bisogna evitare certi reparti. Ciò vale anche per la Lombardia dell’eccellenza sanitaria. Lo dicono le direttive scientifiche internazionali, recepite dal decreto ministeriale 70 del 2015, voluto dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

Cosa dice la legge

Il principio è che in medicina più casi vengono trattati migliore è la qualità della prestazione perché i medici hanno l’esperienza adeguata: «Per numerose attività ospedaliere — viene spiegato nel decreto 70 — sono disponibili prove, documentate dalla revisione sistematica della letteratura scientifica, di associazione tra volumi di attività e migliori esiti delle cure». Per i parti la media è di almeno 500 l’anno, per le terapie intensive neonatali (dove vengono ricoverati i prematuri nati prima della 32 esima settimana e che pesano meno di 1.500 grammi) è di almeno 50 neonati l’anno per 8 posti letto (da riempire per l’85%). I reparti che non stanno nei parametri — come ricordato più volte dal Corriere — devono essere chiusi o riconvertiti. A eccezione, ovviamente, delle aree dove non c’è alternativa come l’alta montagna o le zone geograficamente disagiate.

Neonatologie in bilico

Dal 1° marzo non potranno più nascere bimbi sotto i 1.500 grammi a Lodi, all’ospedale Valduce di Como, a Rho e a Cremona. È una scelta che, come sempre quando viene toccato un reparto, scatena la mobilitazione di cittadini e politici locali. «I neonatologi di Cremona non potranno più dare assistenza sia ai neonati gravemente prematuri che a quelli a termine di gravidanza con l’esigenza di un supporto ventilatorio, di ipotermia terapeutica, di infusione di sostanze inotrope, di nutrizione parenterale totale. Questi bimbi dovranno essere per forza trasferiti a Brescia», viene sottolineato in una petizione come se fosse una cosa scandalosa. È un atteggiamento localista sbagliato: qui in gioco c’è la sicurezza del neonato. «In Regione Lombardia sono operativi 18 Terapie intensive neonatali (Tin) con numero di posti letto e casistica trattata (in particolare numero di neonati sotto i 1.500 grammi) molto variabili e spesso non coerenti con gli standard delle normative di riferimento — viene spiegato nella delibera dell’11 novembre 2019 “Rete regionale per l’assistenza materno-infantile” —. In rapporto ai requisiti previsti per le Tin è necessario procedere a una riorganizzazione, con un numero minore di centri che dovranno essere di dimensioni superiori e attrezzati per l’assistenza ad alta complessità. Le Tin vanno ridotte portandole a 12/14». Le terapie intensive neonatali di Lodi, dell’ospedale Valduce di Como, di Rho e Cremona saranno riconvertite in Terapie neonatali sub-intensive per casi meno gravi.

Proposta dei Centri di Medicina Materno fetale regionali

Sotto i 500 parti

Altrettanto pericolosa è l’idea di dovere partorire per forza a due passi da casa. Tra la fine del 2017 e il 2018 l’assessorato alla Sanità guidato da Giulio Gallera ha chiuso uno dopo l’altro i punti nascita dell’Istituto clinico Beato Matteo di Pavia e dell’Istituto clinico Città di Brescia, poi Oglio Po, Piario, Chiavenna e Angera. Prosegue l’attività anche se sono sotto i 500 parti all’ospedale di Sondalo e a Gravedona: per i due presidi c’è la deroga del Ministero della Salute per motivi di posizione geografica. Ma dai dati sui parti 2019 (ancora riservati ma letti dal Corriere) emergono altri 5 punti nascita senza i requisiti minimi per i quali s’imporrà nei prossimi mesi una riflessione politica. Sono l’ospedale di Saronno (484 parti), Iseo (440), Asola (485), Voghera (438) e Broni e Stradella, al limite con 499 parti. «Chiudere o riconvertire i reparti sotto gli standard minimi è una questione di sicurezza per i pazienti — ribadisce Gallera —. È il principio fondamentale che orienta le scelte politiche di Regione Lombardia nei prossimi mesi. Per decidere come comportarci sui punti nascita esamineremo il trend dei parti nell’ultimo triennio, la situazione geografica e i tempi di percorrenza per raggiungere le strutture alternative». Sullo sfondo, anche il problema di reclutamento dei ginecologi con i concorsi che vanno deserti e il trend di natalità in calo (da 95.201 nati nel 2011 si è scesi a 73.907 nel 2019, pari a -22,4 %).

La rete di offerta di Terapia Intensiva Neonatale

La rete d’eccellenza

D’ora in avanti le gravidanze più difficili saranno concentrate in 11 ospedali definiti tecnicamente Centri di medicina materno-fetale (Civili di Brescia, Papa Giovanni XXIII Bergamo, Monza, Del Ponte Varese, Manzoni Lecco, San Anna Como, Policlinico San Matteo Pavia, Poma Mantova, e i milanesi Policlinico, Buzzi, Niguarda).

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