LOS ANGELES. La cerimonia degli Oscar che si è appena conclusa è stata caratterizzata dalla clamorosa vittoria di Parasite, ma ha segnato parallelamente un’ennesima battaglia nella guerra in atto tra gli studios, capeggiati da Steven Spielberg, e Netflix, che ha rivoluzionato l’industria dello spettacolo entrando a Hollywood con una forza di fuoco impressionante e la grazia di un elefante in una cristalleria.

Spielberg è troppo intelligente per non comprendere che conduce una battaglia di retroguardia, ma ha l’intento di negoziare al meglio la resa, assestando intanto colpi durissimi. La strategia finora ha funzionato e l’asse tra le major ha dato ancora una volta risultati: con l’eccezione di Parasite, i premi maggiori sono andati quasi tutti ai film degli studios, lasciando le briciole a quelli della Netflix, che pure ha speso cifre enormi per le campagne pubblicitarie.

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Nella storia degli oscar, e in particolare quest’anno, la qualità rappresenta soltanto uno degli elementi utili per arrivare alla vittoria, non meno importante dell’opportunità – industriale o politica – e la nobiltà del messaggio: è il motivo che spiega scelte ed esclusioni sconcertanti, come ad esempio, tra gli attori, Eddie Murphy, Adam Sandler e Paul Walter Hauser. In questa edizione il complesso delle candidature era caratterizzato da una qualità di alto livello: Parasite, The Irishman e C’era una volta Hollywood rimarranno nella storia del cinema, e a loro va aggiunto l’ottimo quale Marriage Story. Si sono scontrati con un film ben fatto, ma derivativo come Joker, che non esisterebbe senza Re per una notte, e un virtuosismo caratterizzato più dalla forma che dalla sostanza come 1917.

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La qualità dei film si è rispecchiata nello spettacolo, che è iniziato con uno strepitoso numero musicale di Janelle Monae, la quale è passata con scioltezza tra vari generi musicali trascinando con sé l’intera audience, ed è continuata con Eminem ed Elton John, il quale ha vinto anche l’oscar per la migliore canzone. È stata un’edizione caratterizzata dalla grande attenzione per la diversità, al punto che Shia La Beouf si è fatto accompagnare sul palco da un ragazzo con la sindrome down. Grande il senso di colpa per la carenza di candidature di artisti di colore e l’assenza di registe donne: Nathalie Portman ha indossato un vestito con i nomi delle cineaste ignorate e Sigourney Weaver, prima di presentare la prima direttrice d’orchestra degli oscar, ha scatenato un’ovazione proclamando «tutte le donne sono supereroi».

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Non c’è stato passaggio in cui i presentatori non siano tornati su queste assenze: Steve Martin ha ironizzato sul fatto che in 92 edizioni l’Academy è passato da zero a una candidatura di artisti neri e Chris Rock è arrivato a lamentare la mancanza di «vagine».  Se il risultato più rivoluzionario è stata la vittoria di quattro oscar per Parasite, tra i quali quella di Bong Joon Ho come regista, il momento più emozionante è dovuto proprio a lui, quando ha citato Martin Scorsese come modello, scatenando una standing ovation per il maestro italo-americano. È troppo presto per capire se questo risultato rivoluzionario sia dovuto ad un’apertura dell’Academy a nuove proposte (il numero dei votanti è stato aumentato radicalmente, con grande attenzione alla diversità) o invece sia dovuto a una divisione di voti tra le due squadre contendenti che ha favorito l’ottimo Parasite.

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Nonostante ciò, si è assistito a una vittoria degli studios, che è iniziata con il trionfo di Brad Pitt come attore non protagonista: successo meritato per un attore spesso sottovalutato, ma le interpretazioni di Al Pacino e Joe Pesci in The Irishman non erano inferiori. Da leggere in maniera analoga la vittoria del pur bravissimo Joaquin Phoenix per Joker su Adam Driver, mentre l’altrettanto brava Renee Zellweger, premiata per Judy, ha vinto una partita tutta all’interno degli studios. Tra le poche vittorie Netflix si registra quello, impeccabile, di Laura Dern come migliore attrice non protagonista per Marriage Story, ma la sensazione provata da tutti, a Hollywood, è che questa nuova umiliazione, parallelamente alla vittoria di un outsider come Parasite costringa il colosso in streaming a trovare un accordo al ribasso con gli studios.

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