8 febbraio 2020 - 10:05

Meazza, ecco perché l’Inter cedette (gratis) la sua leggenda al Milan

Debuttò in nerazzurro a 17 anni a 20 in Nazionale. Era tipo Roberto Baggio, con sconfinamenti nel gioco di Maradona e Pelè

di Mario Sconcerti

Meazza, ecco perché l'Inter cedette (gratis) la sua leggenda al Milan
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C’è qualcosa di strano. San Siro si chiama Meazza perchè Meazza fu giocatore di entrambe le squadre milanesi. In realtà ha giocato 367 partite nell’Inter e solo 41 nel Milan. Segnò 214 gol nell’Inter e 9 nel Milan. In sostanza fu la vera leggenda dell’Inter, dove aprì e chiuse la carriera. Debuttò in prima squadra a 17 anni su pressante invito di Fulvio Bernardini ad Arpad Weisz, il tecnico poi morto nei campi di sterminio nazisti. A venti anni Meazza debuttò in nazionale, alla sua quarta partita segnò tre delle cinque reti che dettero all’Italia la Coppa Internazionale, un piccolo ma sentito campionato europeo dell’epoca. Avversari gli ungheresi, con gli austriaci capofila della scuola danubiana. Fu un successo travolgente, tutto il paese si fermò per ascoltare la radiocronaca sui vecchi apparecchi Safar.

Un modo di giocare solo suo

Meazza aveva un modo di giocare soltanto suo. Correva sulle punte, fintava spesso, saltava gli avversari facilmente. Giovanni Arpino sosteneva che i difensori lo affrontassero rassegnati, stupiti e rapiti dalla sua differenza. Per riassumere e rendere l’idea, si può dire che era tipo Roberto Baggio, con sconfinamenti nella leggenda di Maradona e Pelè. Eppure questo grande maestro, cuore ed icona interista fu regalato al Milan quando aveva appena 29 anni, dodici dei quali passati in prima squadra all’Inter. Che Meazza si fosse trasferito al Milan si è naturalmente sempre saputo. E’ sfuggito a molti il particolare profano: non fu venduto. Fu regalato. Lo dice chiaramente il comunicato ufficiale dell’Inter uscito il 29 novembre del 1940: «I due dirigenti dell’AS Ambrosiana-Inter e il Commissario straordinario dell’Associazione Calcio Milano si sono incontrati per trattare sulla cessione del giocatore Giuseppe Meazza. L’accordo è stato raggiunto in virtù del desiderio del presidente dell’AS Ambrosiana-Inter di giovare alle migliori affermazioni calcistiche cittadine. Perché l’atto compiuto dall’AS Ambrosiana-Inter conservasse il suo alto significato di solidarietà e collaborazione sportiva, la cessione è stata fatta a titolo completamente gratuito. Il Meazza passerà dunque col 1° gennaio p.v. alle dipendenze dell’Associazione Calcio Milano». Presidente dell’Inter era Ferinando Pozzani, detto Generale Po. Il Milan era stato da poco acquistato da Trabattoni, l’uomo che lo riorganizzò e lo riportò a vincere dopo quarant’anni. Insomma, non solo Meazza regalato, ma anche lo spirito di collaborazione cittadino dei più forti ai più deboli. Un tradimento magnanimo.

Stipendio troppo alto

Quale storia si nascondeva dietro questo paradosso? Cominciamo col dire che Meazza aveva stipendi altissimi ed era abbastanza viziato. Fu il primo vero prototipo dello sportivo di successo: lusso, auto, vestiti di gran moda, popolarità alle stelle, civetterie a iosa. Pozzani già a luglio del ’39 cominciò a pensare che forse si poteva farne a meno. Il 7 luglio il Corriere della Sera dette la notizia di una trattativa conclusa con la Roma. Toccava a Meazza decidere. Meazza si stava sposando, Milano era casa sua, disse subito di no. Il Corriere aggiorna la notizia il 12 luglio e non se ne parla più. Il 22 agosto l’Inter si raduna, Meazza raggiunge la squadra, si allena, sorride, firma autografi. Ma non gioca mai, né le amichevoli, né le prime partite di campionato. La sua ultima gara risale al 25 giugno, ormai quattro mesi prima. Che succede? Non lo sa nessuno, forse nemmeno Meazza. A novembre, allora tempo di mercato autunnale, si dice lo voglia il Bologna, l’Inter smentisce, ma Meazza continua a non giocare. Il primo febbraio del 1940, dopo cinque mesi senza partite, appare sul Corriere una notizia che prende alle spalle tutta l’Italia: «Secondo un rapporto presentato dai medici curanti al commissario tecnico della Federazione e ai medici dell’Inter, il popolare giocatore Meazza non sarebbe più in grado di scendere sui terreni di gioco perché il suo piede sinistro non sarebbe in condizione, a meno di un miracolo, di riacquistare l’articolazione». Mai più Meazza, improvvisamente. Possibile? Cominciano una lunga serie di visite e consulti, tutti scuotono la testa. C’è la diagnosi. A settembre, durante la preparazione al campionato, Meazza ha subìto un infortunio che gli ha causato una lesione all’arteria del piede sinistro. Il sangue ha difficoltà a muoversi e non arriva alle dita. La conseguenza è un piede che perde sensibilità per la poca circolazione. Si parla di sindrome del piede gelato, un infortunio forse unico per un calciatore. L’Inter continua a pagargli i suoi alti stipendi, ma comincia a mettere Meazza in lista di trasferimento. Poi l’accordo col Milan. Il regalo. Migliaia di interisti non riuscirono ad accettarlo, i milanisti non ne furono entusiasti. Non si fidavano. Poi il tempo ha lentamente cancellato tutto. Ma ripensandoci oggi credo che torni a essere il paradosso del primo giorno. Meazza non si riprese veramente mai dalla sua lesione all’arteria. Fece un buon primo anno al Milan, si allenò molto, retrocesse a fare il regista, era ormai quasi solo carisma e intelligenza tattica. Ma non più il fuoriclasse di prima.

Il periodo nel Milan

Debuttò nel Milan il 12 gennaio del 1940 contro la Juve, finì 2-2, i gol di Boffi, la regia di Meazza, una grande partita. Il Milan nelle 14 gare che giocò Meazza, da terzultimo che era, finì per arrivare terzo, a un punto dall’Inter. Ma era già un altro tempo. La nuova arte era un regalo impossibile, il piede restava freddo. Meazza lasciò il Milan alla fine della stagione successiva. La gente disse che era infelice di essere milanista. Ma erano voci quasi soltanto interiste. Morì a Rapallo, da ottimo pensionato, il 27 ottobre del 1979. Pochi mesi dopo San Siro prese il suo nome.
P. S. Un ringraziamento a “1899, Milan, le storie”, di Michele Ansani, Gino Cervi, Gianni Sacco, Claudio Sanfilippo. Edizioni Hoepli, 2019

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