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Che cosa impedisce alla destra di governare il Paese

Ciò che penalizza la destra leghista nelle sue ambizioni governative non è tanto il suo rapporto ambiguo con il passato fascista né la sua relazione contrastata con l’attuale Pontefice, quanto soprattutto il suo rifiuto ideologico dell’euro

di Sergio Fabbrini

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4' di lettura

I politici vivono nel breve periodo. Per loro, ogni elezione ha un'importanza strategica. Così è stato anche per le elezioni regionali di domenica scorsa. La sinistra ha pensato di aver superato la nottata, legittimando il suo ruolo nel governo nazionale. A sua volta, la destra ha pensato di aver solamente rimandato la conquista del governo nazionale. Le cose, però, non sono così semplici. Vediamo perché, considerando il rapporto tra l’Italia e l'Unione europea (Ue), da cui dipende il futuro dell'una e dell'altra.

Il sentiment verso la sinistra
Cominciamo dalla sinistra. Nonostante alcuni successi locali, il sentimento degli italiani non è favorevole a quest'ultima. Non lo è, perché si è diffuso (in metà del Paese) un risentimento contro i vincoli del sistema di interdipendenza europea entro cui hanno operato i governi (guidati dalla sinistra) della legislatura precedente. Gli annuali Eurobarometri (che registrano lo stato dell'opinione pubblica nei Paesi membri dell'Ue) mostrano in maniera inconfutabile la sfiducia maturata dalla metà degli italiani nei confronti di quest'ultima.

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La (s)fiducia per la Ue
Nel 2011, il 47% degli italiani aveva più fiducia nell'Ue che nelle istituzioni nazionali.
Nel 2012, a crisi economica già esplosa, il 51% continuava a considerarsi orgogliosamente cittadino europeo. Poi, con l'approfondimento della crisi, il sentimento cambia.
Nel 2013, il 71% degli italiani riteneva che le esigenze del Paese «non vengono ascoltate dalle autorità dell'Ue».
Nel 2014, il 52% si dichiarava insoddisfatto per come «funziona la democrazia dell'Ue».
Nel 2015, il 52% esprimeva una visione negativa dell'Ue.
Nel 2016, con la crisi migratoria esplosa, il 45% giunse persino a ritenere che «il Paese avrebbe un futuro migliore fuori dall'Ue».

Nel 2017, ancora il 52% dichiarava di non avere fiducia nell'Ue.
Nell’ultimo rapporto disponibile (novembre 2019), l'Eurobarometro conferma che il 52% degli italiani «non ha fiducia nell'Ue». Un sentimento di sfiducia maggioritario, peraltro, anche negli altri Paesi del Mediterraneo.

Le conseguenze politiche
È evidente che questo sentimento continuerà a favorire la destra, in particolare la Lega che ha fatto dell'anti europeismo il suo messaggio predominante. Per la sinistra europeista è difficile contrastare quel sentimento senza un rilancio economico del Paese ed un'efficace politica di sicurezza. È improbabile, però, che quegli obiettivi siano raggiunti senza una contestuale azione riformista sia interna che europea. La sinistra, ne è consapevole?

Ma anche la destra non ride
Se la sinistra non può ridere, neppure la destra è in condizioni di farlo. È vero che il sentimento anti Ue è vento nelle sue vele, tuttavia quel sentimento non è poi così acritico. Gli italiani non hanno fiducia nell'Ue, ma non al punto di mettere in discussione la partecipazione del Paese all'Eurozona. Anzi, secondo l'Eurobarometro del novembre scorso, il 61% degli italiani dichiara di avere una visione positiva della moneta singola (a fronte di una media europea del 62%).

Qui risiede il tallone d’Achille della destra leghista. Ciò che la rende unfit to govern non è il suo rapporto ambiguo con il passato fascista del Paese né la sua relazione contrastata con l'attuale Pontefice. Questi aspetti contano, ma ciò che la penalizza è il suo rifiuto ideologico dell'euro. Basti pensare al manifesto elettorale della Lega del 2018, là dove si affermava che, per l'Italia, «la condizione sine qua non per rimanere nell'Ue» è costituita dal cambiamento di tutti i trattati, così «da ritornare alla situazione precedente a Maastricht» (quando non c'era la moneta unica). «L'euro - dichiarava quel manifesto - è contrario agli interessi economici dell'Italia ed è la causa principale del suo declino economico».

L’uscita dall’Eurozona
L'Italia, continuava quel manifesto, dovrebbe negoziare una «uscita concordata» dall’Eurozona. Dopo tutto, quando era al governo, la Lega non ebbe dubbi a mettere a capo (delle due commissioni parlamentari per gli Affari economici) suoi esponenti dichiaratamente antieuro. Con tale ideologia, è difficile presentarsi come forza di governo capace di attrarre le componenti conservatrici dell'establishment italiano (di cui avrebbe un enorme bisogno). Con poche eccezioni, quell'establishment sa che fuori dall'Eurozona ci sarebbe solamente l'implosione economica del Paese.

È vero che da quando non è più al governo nazionale, la Lega ha messo la sordina al suo messaggio antieuro, però non l'ha mai ripudiato. Con la conseguenza che i mercati finanziari, oltre che gli altri governi nazionali dell'Eurozona, continuano a non fidarsi delle sue aspirazioni governative. Aspirazioni che sollevano dubbi anche in molti cittadini (che dipendono dall'euro per loro pensioni, risparmi, attività economiche). Per divenire fit to govern, la Lega dovrebbe dichiarare ufficialmente che la partecipazione dell'Italia all'Eurozona non sarà mai messa in discussione. La destra ne è consapevole?

La conclusione
Insomma, la persistenza di un sentimento diffuso anti Ue è una sfida per la sinistra. Se quest'ultima vuole divenire competitiva, non può limitarsi alla difesa dello statu quo in Italia e in Europa. Allo stesso tempo, se la destra vuole divenire governativa, deve ridefinire la sua critica all'Ue in modo da non metterne in dubbio i fondamenti monetari. L'Italia avrebbe bisogno di leader politici, non già di politici prigionieri del breve periodo.

Per approfondire:
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