Chiedo scusa

L’insegnante di una scuola media fiorentina confessa agli alunni: «Io Liliana Segre non la sopporto. Non fatevi fregare da questi personaggi in cerca di pubblicità. Anche mio nonno è stato in un campo di concentramento, ma non è certo andato in giro a dirlo a tutti». I ragazzi riferiscono a casa, i genitori segnalano, la preside indaga e la ministra si indigna, sino al gran finale: l’insegnante, mortificata dall’effetto delle sue parole, «avrebbe chiesto scusa». Chiedere scusa è la moda del momento. Ma di che cosa, esattamente, chiede scusa la professoressa? Di un’uscita sbagliata, di una battutaccia, di una gaffe estemporanea? Qui siamo in presenza di un ragionamento meditato: la signora ritiene che la testimonianza sia un ghiribizzo da narcisisti, la memoria un atto da piazzisti e l’essere vittime una scorciatoia per la celebrità. Concetti che pensava e continua a pensare. Le sue scuse da coccodrillo non sono per la mostruosità concepita, ma semplicemente perché, avendola espressa, teme di avere offeso qualcuno e di poter subire delle conseguenze. Vorrei tranquillizzare la prof: abbia pure il coraggio di manifestare sempre il suo pensiero e di ripetere che certe ferite della storia e della vita sarebbe meglio che ognuno le tenesse per sé. In questo modo ci ricorderà perché abbiamo ancora bisogno di chi quelle ferite si ostina a mostrarle, esponendosi anche a dei rischi, pur di aiutare gli altri a prenderne consapevolezza. E se l’ho offesa, naturalmente, chiedo scusa.

1 febbraio 2020, 07:07 - modifica il 1 febbraio 2020 | 07:14

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